IL SEGNO: PER UNA SCUOLA MIGLIORE OCCORRE RESPONSABILIZZARE I PRESIDI

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI GENOVA HA RIMESSO ALL’ORDINE DEL GIORNO LA QUESTIONE CRUCIALE DEL DUALISMO DEL NOSTRO MERCATO DEL LAVORO, OBBLIGANDO LA POLITICA A PORSI IN TERMINI CONCRETI IL PROBLEMA DI COME SUPERARLO

Intervista a cura di Giuseppe Grampa, pubblicata su Il Segno, mensile della Diocesi di Milano – aprile 2011. In argomento v. anche, ultimamente, il mio editoriale I nodi dell’apartheid vengono al pettine. Sulla non inamovibilità degli insegnanti pubblici nella scuola statunitense v. in questo sito l’articolo di Antonio Funiciello, Pd, sulla valutazione della scuola prendi esempio da Obama

Pietro Ichino si batte da tempo per il superamento di quello che lui chiama l’apartheid tra protetti e non protetti nel mercato del lavoro italiano. Già il suo libro del 1996, Il lavoro e il mercato, denunciava non soltanto l’ingiustizia, ma anche l’inefficienza economica di un sistema che divide i lavoratori tra quelli di serie A e quelli di serie B, lavoratori a termine o “a progetto” e “collaboratori continuativi autonomi”, quelli di serie C, in cui lui mette le false “partite Iva”, o persino di serie D: i paria del lavoro nero. Con il disegno di legge n. 1873 presentato nel 2009 con altri 54 senatori, oggi Ichino delinea un nuovo diritto del lavoro semplificato che, almeno per i nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da ora in avanti, si applichi davvero in modo uguale per tutti, essendo al tempo stesso compatibile con i vincoli di bilancio pubblici e privati. E ora una sentenza del Tribunale di Genova sembra obbligare la politica ad occuparsi urgentemente di questa riforma.

Professor Ichino che cosa dice esattamente questa sentenza del Tribunale di Genova?
Dice questo: la direttiva europea n. 70 del 1999 vieta che il contratto a termine sia utilizzato come strumento ordinario di assunzione dei lavoratori; e impone comunque la parità di trattamento fra assunti a termine e assunti a tempo indeterminato. In applicazione di questa direttiva, il Tribunale di Genova ha condannato lo Stato italiano, che pratica come normale l’assunzione a termine dei nuovi insegnanti nella scuola e attribuisce loro un trattamento nettamente inferiore rispetto a quelli di ruolo.

Il rischio di questa sentenza per le casse dello Stato è elevatissimo, perché i precari nella scuola oggi sono oltre 150 mila. Come se ne può uscire?
Per ottemperare alla direttiva europea occorrerebbe stabilizzare tutti quanti. Questo, però, alle condizioni attuali è impossibile: non solo perché costerebbe troppo, ma anche perché il rapporto di impiego “di ruolo” è troppo rigido per potersi applicare a tutti. Quei 150 mila precari oggi portano – da soli – tutto il peso della flessibilità di cui il sistema scolastico ha bisogno. Governo e sindacati stanno studiando la possibilità di stabilizzarne soltanto una parte. Ma anche questo risolverebbe poco, perché la discriminazione vietata dal diritto europeo resterebbe in vita nei confronti dei moltissimi che rimarrebbero fuori.

Dunque qual è la sua proposta?
C’è un modo solo per uscirne: ridefinire la disciplina dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato per tutte le nuove assunzioni, in modo che essa possa applicarsi davvero a tutti, senza portare con sé costi eccessivi e in modo che la flessibilità necessaria sia ripartita in modo uguale su tutti. Solo questo può evitare una grandine di ricorsi giudiziali che moltiplicherebbe per centomila gli effetti della sentenza di Genova sul bilancio dello Stato.

Questo discorso vale anche per le altre amministrazioni?
Sì. L’apartheid fra protetti e non protetti è ormai pratica largamente consolidata in moltissimi comparti del settore pubblico: i “precari permanenti” in questo settore sono oltre 500 mila. La nuova regola dovrebbe essere questa: tutti a tempo indeterminato, a tutti le protezioni essenziali, ma nessuno inamovibile.

Che cosa, vuol dire, in concreto, ‘nessuno inamovibile’?
Significa, innanzitutto, che può esserci un periodo di prova adeguatamente lungo. Poi significa che se occorre l’impiegato può essere trasferito da un posto a un altro; e che, nel nuovo regime, se la sua prestazione non serve più, può anche essere licenziato, con attivazione di tutti i meccanismi necessari per garantire la sicurezza della persona nel passaggio dalla vecchia occupazione a una nuova. Come accade pacificamente nelle scuole inglesi, statunitensi o dei Paesi scandinavi.

Ma per praticare questo nuovo regime occorrerebbe una dirigenza scolastica che sapesse esercitare davvero prerogative manageriali.
Come nei Paesi che ho citato sopra, i dirigenti scolastici che non sanno esercitare con rigore ed efficienza le loro prerogative dovrebbero essere i primi a perdere il posto. Oggi è possibile valutare obiettivamente la performance di un istituto scolastico, quindi anche fissare ai presidi obiettivi precisi e misurabili, ai quali condizionare la prosecuzione del loro incarico. Se non entriamo in questo ordine di idee, la qualità della nostra scuola non può migliorare.

La direttiva europea che lei ha citato si applica anche al settore privato. Che cosa propone per questo settore?
In estrema sintesi: da qui in avanti, se si escludono i casi classici di contratto a termine per sostituzioni o punte stagionali, tutte le nuove assunzioni in posizione di sostanziale dipendenza dall’impresa avvengono con un contratto a tempo indeterminato. Ma per i licenziamenti determinati da motivi economici, tecnici od organizzativi il controllo giudiziale è sostituito da un regime di responsabilizzazione dell’impresa circa la sicurezza del lavoratore nel passaggio alla nuova occupazione, entro un limite di tempo e di costo predeterminato. Anche qui, tutti a tempo indeterminato, a tutti le tutele essenziali, ma nessuno inamovibile. Per i dettagli devo rinviare al mio sito: www.pietroichino.it, o al disegno di legge che ho presentato al Senato.

In che cosa si distingue questa proposta da quella del “contratto unico” di Tito Boeri(1)?
Io non propongo un “contratto unico”, ma un diritto del lavoro unico, capace di applicarsi veramente a tutti i nuovi contratti di lavoro che si stipuleranno da ora in poi, estendendo a tutti i lavoratori le protezioni necessarie per la sicurezza della persona e ripartendo su tutti la flessibilità necessaria all’impresa.

***

(1) IL “CONTRATTO UNICO” PROPOSTO DA TITO BOERI
Il disegno di legge n. 2000/2010, presentato al Senato da Paolo Nerozzi e altri senatori del Pd, prevede che tutti i lavoratori in posizione di dipendenza economica dall’azienda, esclusi i casi tradizionali di contratto a termine (sostituzioni di malattia, punte stagionali, ecc.), vengano assunti con un unico tipo di contratto a tempo indeterminato, nel quale per i primi tre anni, in caso di licenziamento, si applicherà soltanto un indennizzo proporzionato all’anzianità di servizio. Maturati i tre anni, secondo il progetto Boeri, torna ad applicarsi la disciplina del licenziamento oggi vigente, contenuta nell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La differenza rispetto al progetto Ichino (d.d.l. n. 1873/2009) sta nel fatto che quest’ultimo lascia in vita i diversi contratti di lavoro possibili, pur assoggettandoli tutti, e per tutta la loro durata, a una disciplina dei licenziamento del tutto nuova, basata su una indennità proporzionale all’anzianità e un trattamento complementare di disoccupazione a carico dell’azienda che licenzia.

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