E’ ORA CHE SMETTIAMO DI FARE LA GUERRIGLIA CONTRO I TEST INVALSI

LE PROVE STANDARDIZZATE PER LA VALUTAZIONE DELLE SCUOLE NON POSSONO MISURARE LE INFINITE DIMENSIONI E SFUMATURE DI CIÒ CHE OGNI INSEGNANTE OFFRE AI PROPRI ALUNNI, MA, COME IL TERMOMETRO, POSSONO SEGNALARE DOVE LE COSE NON VANNO COME DOVREBBERO

Articolo di Andrea Ichino pubblicato sul Sole 24 Ore del 25 giugno 2011, in riferimento alle prove generalizzate cui il 20 giugno sono stati sottoposti i quattordicenni al termine della terza media

Quando un genitore vede un figlio che sembra ammalato, prende il termometro per misurare la febbre. La temperatura corporea evidentemente non rende un’immagine fedele e completa dello stato di malattia o di salute del bambino, che è il risultato di un’infinità di elementi complessi, non solo quantitativi ma anche qualitativi. Eppure, la osserviamo in continuazione per monitorare un paziente nel tempo e per comparare la situazione di pazienti diversi. Cose che non sempre potremmo fare sulla base di indicazioni puramente soggettive e qualitative.
Lo stesso vale per i test Invalsi: danno una misura imperfetta degli apprendimenti ma confrontabile nel tempo e nello spazio. Nessuno pretende che questa misura sia la soluzione di tutti i problemi, ma farne a meno sarebbe miope tanto quanto fare a meno del termometro durante una malattia.  Anche se eccezionalmente il termometro commette errori.
Lunedì scorso i quattordicenni italiani hanno sostenuto le prove Invalsi di Italiano e Matematica valide per l’esame di terza media che consente l’accesso alle superiori. Puntualmente si sono sollevate le obiezioni di tutti coloro che sono pronti a criticare, ma mai fanno lo sforzo di offrire soluzioni a questo problema: come confrontare tra loro studenti di scuole diverse se vengono valutati con prove non comparabili e da valutatori che non usano lo stesso “metro” per giudicare. Se i critici conoscono un metodo migliore e non più costoso di quello offerto dalle prove Invalsi ce la facciano sapere.
Quest’anno il test Invalsi è stato giudicato troppo difficile e troppo aperto a diverse interpretazioni possibili (ad esempio nella parte riguardante la comprensione di un testo di Vittorini). Può darsi. Da che ho memoria, tutti gli anni si discute animatamente delle tracce per i temi di maturità. Nessun testo d’esame è perfetto come sa bene chiunque abbia provato a scriverne uno di qualsiasi tipo per esaminare degli studenti. Il test Invalsi ha però un grosso pregio rispetto alle prove della maturità: è corretto in modo uguale per tutti. Strano che di questo importantissimo vantaggio i critici non si rendano conto.
Sottende le critiche anche l’idea che un esame debba essere alla portata di tutti. Il test invalsi sarebbe ingiusto perché un immigrato non può conoscere parole desuete come “canuto” e “repentino” o perché non tutti i quattordicenni sono tenuti a sapere che un numerino piccolo in alto alla fine di una parola indica una nota a piè di pagina dove si può trovare l’informazione che Diana è la dea della caccia. È vero: non tutti devono saper rispondere a ogni domanda, ma se tanti non sanno rispondere (soprattutto a domande ben più semplici) bisogna intervenire come quando la febbre sale.
Nessuno dei critici sembra capire che un esame per tutti superabile è un esame che non serve. Non serve allo studente che in questo modo non può capire il gap che lo separa dai migliori. Non serve alla scuola che non può capire quali studenti abbiano maggiore bisogno di aiuto. Non serve al Ministero per capire quali siano le scuole in cui intervenire per migliorare le cose e quali comportamenti virtuosi siano da incentivare e diffondere.  L’esame ideale è quello che nessun studente riesce a completare interamente, e che per questo riesce a dare un quadro della dispersione nella classe. Il migliore della classe è quello che risponde meglio anche se rispondere meglio non vuol dire rispondere a tutto.
Numerose indagini suggeriscono che molti italiani adulti non sanno leggere e interpretare testi e non conoscono le operazioni matematiche elementari. Le prove Invalsi misurano quanto questo sia vero: non perfettamente, ma meglio delle altre misure disponibili. Ci possono aiutare a capire in che misura una scuola è riuscita a migliore nel tempo le conoscenze dei suoi alunni indipendentemente dal loro punto di partenza e dal contesto sociale e familiare. Potrebbero perfino servire ai detrattori dell’attuale Ministro per misurare gli effetti dei suoi tagli, dato che, secondo alcuni docenti, proprio per colpa di questi tagli non è stato possibile coprire il programma oggetto di alcune domande del test Invalsi.
Una ricerca che sto attualmente conducendo con dati relativi al 2009-10 mostra che gli studenti italiani di quinta elementare rispondono correttamente al 71% delle domande di italiano e al 65% di quelle di matematica. Per gli immigrati le risposte corrette sono rispettivamente il 61% e il 58%. Se nel test Invalsi di terza media, che questa stessa coorte di studenti sosterrà fra due anni, troveremo che questi gap si saranno ridotti, potremo concludere, come tutti auspichiamo, che la scuola italiana sia in grado di favorire l’integrazione degli stranieri. Se i gap saranno aumentati il termometro ci dirà che qualcosa non va e che è necessario intervenire.
Certamente i test Invalsi non possono misurare le infinite dimensioni e sfumature di quello che un insegnante può offrire ai suoi alunni, ma, come il termometro, possono segnalare dove e quando le cose forse non vanno come dovrebbero e ulteriori indagini diagnostiche ed eventualmente interventi terapeutici potrebbero essere necessari.

Andrea Ichino
andrea.ichino@unibo.it

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