LA STORIA (IMMAGINARIA) DI IRENE SPIEGA PERCHÉ L’ARTICOLO 8 VA INTERAMENTE RISCRITTO

LA NORMA INSERITA DAL MINISTRO DEL LAVORO NEL DECRETO DI FERRAGOSTO NON PRODURRÀ  ALCUN EFFETTO, NÉ NEL BENE NÉ NEL MALE: È TROPPO SGRAMMATICATA, ANCHE DAL PUNTO DI VISTA GIURIDICO, PERCHÉ UN’IMPRESA SERIA POSSA FONDARE SU DI ESSA UN PROPRIO PIANO INDUSTRIALE

Lettera sul lavoro pubblicata sul Corriere della Sera del 15 settembre 2011

Caro Direttore, chi è preoccupato per la sorte dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori può dormire sonni tranquilli, anche se l’articolo 8 del decreto di Ferragosto consente ai contratti aziendali di derogare alla legge. Nessuna impresa potrà fondare un piano industriale serio, né una qualsiasi scelta organizzativa destinata a durare, su di una deroga contrattata in azienda all’articolo 18. Provo a spiegarne il perché, raccontando un caso immaginario – ma per nulla irrealistico – di applicazione della nuova norma.

        Ottobre 2014 – A dispetto del suo nome, Irene è furibonda: le è stata appena consegnata dal ragioniere una lettera di licenziamento “per riduzione dell’attività produttiva aziendale”; ma in realtà lei sa che l’hanno licenziata perché la titolare non era affatto soddisfatta del suo rendimento. All’ufficio vertenze del suo sindacato l’avvocato cerca di tranquillizzarla:
   “Impugniamo subito in Tribunale, vedrà che la faccio rientrare in azienda con tutti gli onori e anche con un buon indennizzo. L’azienda ha 80 dipendenti e si applica l’articolo 18 dello Statuto”.
        Ma Irene non è affatto tranquilla, perché nel settembre 2011, poco prima che lei venisse assunta, in azienda il rappresentante dell’altro sindacato aveva firmato un accordo che dice: “a norma dell’art. 8 del d.l. n. 138/2011, al fine di consentire un incremento dei livelli occupazionali e di facilitare le assunzioni di nuovo personale in forma regolare, migliorando la qualità dei rapporti di lavoro, si conviene che per tutti i rapporti di lavoro destinati a costituirsi in futuro, in caso di licenziamento ritenuto dal giudice ingiustificato, l’impresa avrà la facoltà di scegliere tra l’applicazione della reintegrazione del lavoratore licenziato nel suo posto di lavoro e il risarcimento nella misura prevista dalla legge”.
   “Sulla base di questo contratto – dice Irene all’avvocato anche se vinceremo la causa l’azienda potrà comunque lasciarmi a casa. Ma le pare ammissibile che un sindacato a cui io non sono iscritta e che ha soltanto otto aderenti in azienda possa togliermi un diritto che mi è dato dalla legge dello Stato?”
   “Abbia fiducia insiste il legale, so quel che dico: vedrà che riavrà il suo posto, e anche il risarcimento”.
       Una settimana dopo viene presentato al giudice del lavoro il ricorso, nel quale si osserva che il sindacato firmatario dell’accordo aveva sì due deleghe in più rispetto all’unico altro sindacato presente in azienda; ma quest’ultimo aveva in realtà altri tre iscritti che avevano pagato direttamente la tessera senza rilasciare la delega alla Direzione aziendale. In ogni caso – sostiene l’avvocato di Irene nessuna legge può attribuire efficacia erga omnes a un contratto collettivo, neppure di livello aziendale, se non nelle forme previste dall’articolo 39 della Costituzione: viene dunque sollevata anche una questione di costituzionalità della nuova norma. Infine – si legge ancora nel ricorso   anche a voler considerare costituzionale la nuova norma, nel caso specifico il contratto non può considerarsi finalizzato al miglioramento della qualità dei rapporti di lavoro, come la norma stessa richiede, perché esso anzi riduce con tutta evidenza la stabilità dei lavoratori.
   “Vedrà – dice l’avvocato – che almeno una di queste ragioni il Tribunale la accoglierà. E se non l’accoglierà il Tribunale la accoglierà la Corte d’Appello, o la Cassazione, o la Corte costituzionale. E più lunga sarà la causa, maggiore sarà il risarcimento che accompagnerà la sua reintegrazione”.
        Intanto, però, in azienda a seguito del licenziamento di Irene è stata convocata un’assemblea, nella quale si è svolta una discussione molto accesa. Al termine, il rappresentante del sindacato che aveva firmato l’accordo si è dimesso, anche perché il triennio della sua carica era ormai agli sgoccioli. Viene designato il nuovo rappresentante, il quale, come primo atto, invia alla Direzione aziendale una lettera di recesso dall’accordo del settembre 2011.
   “E ora?” – chiede Irene all’avvocato.
   “Ora lei può stare ancora più tranquilla di prima. Non abbiamo più nemmeno il problema di sostenere la nullità di quell’accordo, perché è stato disdetto: torna ad applicarsi integralmente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”.

La realtà è che la profonda riscrittura del diritto del lavoro, di cui il Paese ha urgente bisogno, richiede un disegno organico e un legislatore che se ne assuma la responsabilità: non la si può delegare alla contrattazione aziendale, lavandosene le mani.

 

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