INTELLIGENZA COL NEMICO

LA FIGURA DELL’ISPETTORE CON CUI SI SVOLGE IL LUNGO DIALOGO DEL MIO ULTIMO LIBRO È NATA QUANDO HO MESSO INSIEME LE CENTINAIA DI MESSAGGI DI DISSENSO, ANCHE TALORA UN PO’ AGGRESSIVI, PERVENUTIMI DA SINISTRA IN QUESTI TRE ANNI E MEZZO DI LEGISLATURA

Articolo pubblicato nella rubrica Lavorare cambia, sul sito Tuttosullavoro.it, il 10 novembre 2011

È andata così. Fin dall’inizio di questa sedicesima legislatura hanno incominciato ad arrivarmi, insieme a molti altri, alcuni messaggi politicamente un po’ aggressivi. Arrivavano da persone di sinistra che consideravano abusivo da parte mia rappresentare in Senato la maggiore forza politica di centrosinistra, qual è il Partito democratico.
Quando, poi, nel novembre 2009, ho presentato con altri 54 senatori dello stesso Pd (più della metà del Gruppo parlamentare) i due disegni di legge contenenti il nuovo Codice del lavoro semplificato, ispirati al modello della flexsecurity nord-europea (d.d.l. n. 1872/2009 e n. 1873/2009), quei messaggi si sono infittiti e in qualcuno di essi è comparsa questa incredibile imputazione: “intelligenza col nemico”! Non sempre era chiaro se “nemico” dovessero considerarsi i “padroni”, oppure il Governo di centrodestra. Ancor meno chiaro era dove stesse l’“intelligenza” con questo nemico, dal momento che per due anni il ministro del Lavoro Sacconi ha mostrato una chiusura totale nei confronti di quel mio progetto, fino a quando, due settimane or sono, il capo del suo Governo non ha deciso di farlo proprio. Quanto ai “padroni”, è solo da quest’anno che dalle associazioni imprenditoriali maggiori si sono avuti i primi segni concreti di disponibilità e interesse a discutere di quel progetto.
A quei messaggi ho sempre risposto, uno per uno. E li ho conservati tutti, soprattutto quelli più aggressivi, perché mi sono parsi manifestazione di un fenomeno politico molto più generale, che va studiato. Più precisamente, vedo in essi la tendenza di una parte della sinistra italiana a isolare ed espellere chi mette in discussione i suoi vecchi schemi o “verità rivelate”. Col risultato di arrivare troppo sovente con uno o più decenni di ritardo a capire i segni dei tempi.
Quando, nel novembre dell’anno scorso, sei dirigenti della Cgil di Ferrara iscritti al Pd hanno restituito la tessera alla segreteria del partito per protesta contro il fatto che la Provincia (governata dallo stesso Pd) aveva affidato a me la relazione introduttiva a un convegno sul mercato del lavoro, ho deciso di pubblicare i più significativi tra i messaggi di dissenso raccolti. Non solo quelli aggressivi, ma soprattutto quelli più seri e argomentati; ovviamente con le mie risposte. Ho incominciato a dividerli per argomenti; e, una volta messi in fila, mi è parso che potessero anche essere attribuiti tutti a una sola persona, un immaginario interlocutore impegnato a contestare da sinistra la compatibilità delle mie idee con quelle del partito che ho contribuito a fondare e nelle cui file sono stato eletto. Così è nato il libro Inchiesta sul lavoro (Mondadori), che da martedì scorso è in libreria.
La speranza è che esso possa servire a fare chiarezza sui grandi temi della politica del lavoro: dall’apartheid fra protetti e non protetti al “contratto unico a protezioni crescenti”, dalle vicende della Fiat di Marchionne al grande accordo interconfederale del giugno scorso, fino al famoso articolo 8 del decreto di Ferragosto. E anche che esso contribuisca a una riflessione del Partito democratico sugli errori che in questi tre anni hanno reso così difficile al centrosinistra presentarsi come alternativa credibile a un centrodestra fin qui disastroso.

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