FLEXSECURITY: È OPPORTUNO IMPORRE ALLE IMPRESE UN’ASSICURAZIONE PER I COSTI DEL “CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE”?

LA PROPOSTA DI UN LETTORE E LA MIA RISPOSTA SUL PERCHÉ NELL’ULTIMA VERSIONE DEL PROGETTO FLEXSECURITY LE IMPRESE POSSONO LIBERAMENTE SCEGLIERE SE ASSICURARSI O MENO

Messaggio pervenuto il 19 novembre 2011 a seguito della pubblicazione della mia “lettera sul lavoro” sul Corriere della Sera dello stesso giorno – Segue la mia risposta

Egregio Senatore,
sono d’accordo con quanto scrive sul Corriere di oggi e ha scritto in passato; se mi posso permettere le proporrei qualche spunto aggiuntivo che corre sulla falsariga dei concetti da lei esposti.
A mio avviso è necessario introdurre un forte strumento di convenienza economica per un soggetto cardine nei suoi ragionamenti: la società di outplacement (io non mi occupo di outplacement nè ho alcun interesse nel settore, casomai le venisse il dubbio di essere interessato).
La cosa fondamentale di tutto il ragionamento che lei fa è che il lavoratore che esce dalla sua posizione lavorativa ne rientri nel più breve tempo possibile (per diversi ovvi motivi); ma i lavoratori non sono tutti uguali, alcuni sono più facile da ricollocare altri meno, occorre incentivare chi è preposto al ricollocamento.
La mia proposta: un’assicurazione da versare a soggetti “trini”, società di assicurazioni/società di placement/società di formazione.
Mi spiego: le società di assicurazione ricevono un premio da tutti i lavoratori (un quid di quanto gli viene trattenuto in busta paga) con il quale garantiscono il sostentamento di quelli che perdono il lavoro; appena perdono il lavoro l’anima “placement” e quella “formazione” della società “trina” si mettono all’opera per formare e ricollocare il lavoratore disoccupato.
Perché funziona: perché la società trina ha convenienza a erogare formazione in modo il più funzionale possibile al ricollocamento del disoccupato perché prima impara prima si ricolloca prima smette di pagargli il sussidio di disoccupazione; stesso dicasi per l’anima “placement” che opererebbe in modo sinergico con la divisione formazione di questa ipotetica società trina.
Io sono, soprattutto in Italia, piuttosto scettico che qualcosa funzioni senza un meccanismo di convenienza economica.
Non so se Lei ha avuto modo di toccare con mano la formazione finanziata in Italia, io si e ho constato che è quanto di più inefficiente ci possa essere: è una grande spartizione di fondi.
Ma se chi deve organizzare questa formazione ha un interesse affinché sia efficace allora si che si vedrà esprimere la capacità italiana, si minimizzerà il costo relativo (oggi invece si cerca di massimizzare) e si farà in modo che i partecipanti i corsi ricevano la migliore formazione per rientrare velocemente nel mondo del lavoro (così non dovranno erogare il sussidio).
Le stesse anime “placement” avranno un incentivo a ricollocare i lavoratori disoccupati, prima ricollocano prima cessano di erogare il sussidio.
Il soggetto aggregatore dovrebbero essere le società di assicurazione che dovrebbero “acquistare” le anime formazione e “placement” (per ovvi motivi dimensionali).
L’aspetto economico vien da se è quello più critico: reindirizzare in “premi assicurativi” la montagna di fondi che lo stato gestisce e distribuisce in protezione sociale (CIG, sussidi di disoccupazione, formazione finanziata, sindacati, ecc.) è probabilmente utopistico nel nostro paese.
Distinti saluti
Michele Suria

Effettivamente, in una prima versione del progetto flexsecurity (d.d.l. n. 1481/2009) avevo previsto l’assicurazione per i costi del “contratto di ricollocazione”, con premio determinato secondo il meccanismo bonus-malus. Poi, però, alcuni economisti mi hanno fatto osservare che il meccanismo dell’incentivo funziona benissimo anche senza assicurazione obbligatoria: se l’impresa non si assicura, dovrà sopportare in proprio il costo del “contratto di ricollocazione” con il lavoratore licenziato; e in questo caso avrà tutto l’interesse, per ridurre al minimo il severance cost, a scegliere le società di outplacement migliori e i servizi di riqualificazione professionale mirata più efficienti (i cui costi standard di mercato potrebbero essere coperti agevolmente dalle Regioni, con i contributi del Fondo Sociale Europeo che oggi vengono utilizzati poco e male). Questo è il motivo per cui nella versione del progetto contenuta nel d.d.l. n. 1873/2009 ho preferito lasciare libere le imprese nella scelta se assicurarsi, magari mediante convenzioni e/o contratti collettivi di settore, oppure no.
Vero è che in un caso come questo a sostegno dell’obbligo di assicurazione milita l’ineliminabile asimmetria informativa circa la rischiosità del singolo aspirante assicurato, che potrebbe ostacolare il funzionamento di un mercato lasciato a sé stesso. Però questa difficoltà potrebbe essere agevolmente superata mediante convenzioni stipulate dalle associazioni imprenditoriali per tutti gli associati e con l’intervento degli enti bilaterali di settore. La questione è comunque aperta, e sicuramente se ne discuterà nel prossimo futuro.  (p.i.)

LA REPLICA DI MICHELE SURIA
Egregio Senatore, nutro qualche perplessità sul funzionamento del meccanismo assicurativo in mancanza di obbligarietà per almeno due motivi:
   1. L’asimmetria informativa (da lei citata); si assicurerebbe chi prevede di averne bisogno con la conseguenza che il premio sarebbe inevitabilmente molto più elevato rispetto alla situazione in cui tutti si assicurano con la ulteriore nefasta conseguenza che, dato l’elevato costo, le aziende più deboli (magari in situazione di pre crisi) possano voler correre il rischio di non assicurarsi e non essere in grado, nel momento in cui sono costrette a licenziare, di sopportare il severance cost.
   2. La capacità delle piccole/medie imprese di scegliere la società di outplacement migliore per minimizzare il costo mi lascia perplesso, soprattutto per le piccole che magari non hanno neanche un direttore del personale; mi sembra parente di quella “razionalità dei mercati” che spesso (anche ultimamente) hanno dimostrato una spiccata irrazionalità.
Mi permetto di approfondire/riassumere l’idea del “trittico” con i risvolti sistemici che a mio avviso potrebbe avere:
   1. L’anima assicurazione gestirebbe la raccolta premi/erogazione sussidi in modo probabilmente più efficiente rispetto ad ipotesi tipo INPS.
   2. L’anima placement avrebbe un interesse diretto a collocare i propri assicurati in cerca di un nuovo impiego nel minor tempo possibile.
   3. L’anima formazione punterebbe sui temi che massimizzano le probabilità di ricollocare le persone, riducendo l’infrastruttura che ora gestisce la formazione finanziata (riducendone i costi) e utilizzando le risorse disponibili esclusivamente per “formare”; anche qui l’interesse diretto farebbe si che l’azione formativa sia il più efficace possibile.
   Il “trittico” come motore dell’economia – le società che opereranno in questo settore avrebbero come mission occupare le persone curando tutta la catena del valore, soggetti con un forte interesse con capacità di generare reddito inversamente proporzionale al tasso di disoccupazione; immaginiamo la capacità di innovare italiana applicata alla massimizzazione dell’occupazione (accordi con imprenditori per assumere condividendo per un certo periodo il costo, formazione specifica sull’esigenza di un’azienda con l’impegno ad assumerne i partecipanti, ecc.). Questo avrebbe un risvolto anche a livello macroeconomico: maggiore occupazione>maggiore spesa>maggiore PIL>maggiore introito fiscale>minore debito. Un altro risvolto macroeconomico: la maggiore flessibilità del lavoro porterebbe a maggiore competitività delle nostre imprese non più obbligate a ricoprire un ruolo di tutela sociale (il posto fisso) che le svantaggia rispetto alla concorrenza internazionale con conseguenze positive ipotizzabili sull’economia (e quindi PIL, introito, debito),
   Ipotesi giovani – Si potrebbe ipotizzare un ulteriore risvolto a questo modello che esporrei con un esempio: un papà sta cercando un lavoro al proprio figliolo alla ricerca del primo impiego; fallita la ricerca di una raccomandazione si rivolge a una società “trittico” che offre un prodotto che fa al caso suo: si paga una fee a fronte della quale il trittico fornisce un triplice servizio: placement integrando eventualmente della formazione e trascorso un certo lasso di tempo eroga un sussidio (assicurazione).
Tutti questi spunti dovrebbero essere “monetizzati” per verificarne l’effettiva fattibilità. Per es. quanto dovrebbe essere una “fee giovani” per rendere economicamente conveniente al trittico proporre un siffatto prodotto? E sarebbe gestibile dalla famiglia media alla ricerca di un lavoro per il figliolo?
Se mi posso permettere un’osservazione sul suo progetto di legge: è ancora molto articolato per poter essere gestito senza consulenti, come dice lei la semplicità della normativa è fondamentale per la competitività di un sistema paese. Cordiali saluti
Michele Suria

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