LIBERO: DAVVERO LA FLEXSECURITY SI PUÒ SPERIMENTARE ANCHE IN ITALIA?

IL GAP CHE CI DIVIDE DAI PAESI NORD-EUROPEI SUL PIANO DELLE CIVIC ATTITUDES E DEL KNOW-HOW TECNICO SPECIFICO NON PUÒ E NON DEVE IMPEDIRCI DI RECUPERARE IL RITARDO, ANCHE SPERIMENTANDO I NUOVI ASSETTI E METODI CON ACCORDI-QUADRO REGIONALI E ACCORDI AZIENDALI

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata su Libero il 9 dicembre 2011 – Sono disponibili su questo sito la bozza di accordo-quadro regionale e di accordo aziendale per la transizione a un regime di flexsecurity

Mi ha colpito un passaggio del suo ultimo libro Inchiesta sul lavoro, in cui tesse l’elogio delle virtù civiche del mondo scandinavo (“quelle terre fortunate”) e parla addirittura di “abisso di civiltà e cultura che ci separa dai paesi scandinavi”. Non sono espressioni troppo forti? Siamo la seconda realtà industriale d’Europa, siamo tra i primi Paesi esportatori, non abbiamo abboccato alle tentazioni della finanza più spregiudicata… A questi dati deve pur corrispondere qualche virtù. Insomma, non ha un po’ calcato la mano sui difetti dell’Italia?
Oggi si riesce a misurare, sulla base di numerosi indici, anche le civic attitudes, cioè il senso civico di un Paese. Purtroppo tutti gli studi mostrano il gap che separa l’Italia dai Paesi del nord-Europa. C’è una bellissima lezione dell’economista Luigi Guiso, disponibile on line sul mio sito, che mostra non soltanto quel gap, ma anche quanto esso ci costa in termini economici. Esso costituisce una palla al piede del nostro sistema-Paese e contribuisce a spiegare la nostra difficoltà a tenere il passo dei nostri maggiori partner europei.

Se da sinistra il suo progetto di flexsecurity viene considerato troppo “scandinavo” per l’Italia, da destra molti lo definiscono troppo teorico, professorale, inadatto a regolare una realtà complessa e frastagliata come quella del mondo del lavoro.
Se davvero fosse così, come si spiegherebbe che appena esso è stato presentato ben 75 imprese, tra le quali numerose di grandi dimensioni, ma numerose anche di dimensioni medie o piccole, abbiano scritto al ministro del Lavoro chiedendo di poter sperimentare subito il regime delineato in quel mio progetto per tutte le loro nuove assunzioni? Aggiungo, poi, che questo progetto è stato affinato non soltanto in una ventina di seminari e convegni universitari, ma anche in centinaia di incontri con imprenditori, sindacalisti, lavoratori, studenti.

La sperimentazione del modello in alcune regioni italiane può essere la risposta a queste critiche oppure rimane imprescindibile il riferimento a un quadro normativo nazionale?
Sì. Abbiamo presentato in Senato il progetto in due versioni, delle quali una – il d.d.l. n. 1873/2009 – costituisce la riforma vera e propria del diritto del lavoro per tutti i nuovi rapporti che si costituiranno da qui in avanti; l’altra è la versione sperimentale, che consente l’attivazione del nuovo regime semplicemente con un “contratto di transizione” stipulato al livello aziendale. Ora, sulla base dell’articolo 8 della manovra di Ferragosto, la sperimentazione aziendale potrebbe essere avviata anche a legislazione nazionale invariata, soltanto sulla base di un accordo-quadro regionale che dettasse le guidelines.

Ci può dare qualche notizia sulla sperimentazione del progetto flexsecurity annunciata dalla Provincia autonoma di Trento?
Per ora l’unica notizia è che si è aperto un tavolo di negoziazione per l’accordo-quadro, su iniziativa della Provincia autonoma. La quale ha dichiarato di essere disponibile a farsi carico della copertura dei costi di mercato standard dei servizi di outplacement e di riqualificazione mirata che le imprese si impegneranno a fornire ai propri dipendenti che dovessero essere licenziati.

La Lombardia rappresenterebbe un banco di prova notevole. Oltre alle posizioni favorevoli della Uil e della Cisl regionali c’è stata qualche apertura dagli industriali e dalla giunta regionale?
Assolombarda ha dedicato al progetto flexsecurity un convegno l’anno scorso, mostrando di prenderlo molto sul serio. La stessa Presidenza di Confindustria, del resto, lo sta studiando con grande interesse. Penso, dunque, che da parte degli imprenditori lombardi ci sarà sicuramente una piena disponibilità a discuterne apertamente. E se la Regione Lombardia sarà disponibile a coprire i costi standard di mercato dei servizi di outplacement e di riqualificazione mirata previsti nel progetto, utilizzando i contributi del Fondo Sociale Europeo che oggi utilizziamo poco e male, questo faciliterà molto il raggiungimento di un accordo. Sarebbe molto utile che l’iniziativa legislativa del Governo Monti fosse preceduta e accompagnata da un’iniziativa contrattuale di questo genere.

Qualcuno l’ha contattata per chiederle consulenze o spiegazioni?
Cisl e Uil lombarde hanno già organizzato, nelle scorse settimane, due convegni su questo tema chiedendomi di tenere la relazione introduttiva. Il 13 gennaio prossimo sarò in Veneto per una iniziativa analoga organizzata dalla Cisl di quella regione e il 20 a Napoli per iniziativa della Uil. Mi ha contattato anche un assessore della giunta calabrese. 


Se si realizzeranno questi esperimenti sarà grazie all’articolo 8 della manovra. Ex malo bonum o, in fondo, non tutto di quella misura era poi così male?
Quella norma, a mio giudizio, è tecnicamente mal fatta. Tuttavia, anche di una norma mal fatta come quella si può fare un uso buono, soprattutto se la contrattazione aziendale può collocarsi nell’alveo di un accordo-quadro regionale che aiuti imprenditori e rappresentanti sindacali a evitare i possibili errori che potrebbero impedire al contratto aziendale di funzionare.


Venendo al piano nazionale, finora di riforma del mercato del lavoro il governo ha parlato poco.
Beh, nel discorso programmatico del 17 novembre il premier ha indicato molto chiaramente la riforma che intende attuare, e lo ha poi ribadito altrettanto chiaramente a Porta a Porta martedì scorso: un diritto del lavoro capace di applicarsi a tutti i nuovi rapporti di lavoro e non più soltanto a una piccola frazione di essi, come accade oggi, e che costruisca la sicurezza del lavoratore non più sull’ingessatura del posto di lavoro, ma sulla garanzia di continuità del reddito e di investimento sulla professionalità nel passaggio dal vecchio al nuovo posto di lavoro.

Il ministro Fornero ha accennato alla possibilità di introdurre il reddito minimo garantito. Come giudica questi segnali?
Il reddito di cittadinanza potrà essere introdotto anche in Italia soltanto quando avremo imparato a far funzionare bene il principio di “condizionalità” del sostegno del reddito: cioè l’onere, per chi lo percepisce, di essere davvero disponibile per tutte le iniziative necessarie per il reperimento di una nuova occupazione. Finché non saremo in grado di attivare questo meccanismo, qualsiasi ampliamento del sostegno del reddito a disoccupati e inoccupati avrà un effetto depressivo sul tasso di occupazione effettivo. Anche per questo è importante incominciare a sperimentare i metodi della flexsecurity, attivando gli incentivi giusti perché la “condizionalità” venga fatta valere per davvero.

Che effetti avrà la manovra sull’occupazione? Lei ha giudicato abbastanza positivamente (voto 6,5) gli sgravi Irap alle imprese e ha chiesto una riduzione dell’Irpef sui redditi da lavoro. Pensa che sia sufficiente a evitare gli effetti recessivi del decreto, che molti pronosticano?
Per evitare il rischio di effetti recessivi è indispensabile che, pur con le correzioni che si stanno elaborando in Parlamento, questa manovra venga approvata al più presto dalle forze politiche della maggioranza con grande compostezza, in modo da consolidare la tendenza in atto al recupero da parte del nostro Paese della fiducia degli altri partner europei e degli operatori internazionali. Se questo avverrà, i due punti in meno di interesse sul debito pubblico che ne potranno conseguirne ci consentiranno di adottare già nei primi mesi del prossimo anno misure straordinarie di rilancio della crescita. Sarà necessario anche, ovviamente, accelerare molto sulla spending review nelle amministrazioni pubbliche e sulle dismissioni del patrimonio pubblico, per la parte in cui esso è male o poco valorizzato.

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