LIBERO: SE TROVANO LAVORO TARDI E MALE LA COLPA NON È DEI GIOVANI

NON POSSONO ESSERE I SINGOLI INDIVIDUI A USCIRE DALL’«EQUILIBRIO MEDITERRANEO» CHE CARATTERIZZA IL NOSTRO SISTEMA PER PASSARE A QUELLO NORD-EUROPEO: OCCORRE UN INSIEME ORGANICO DI MISURE, CHE SOLO LA BUONA POLITICA PUÒ PROMUOVERE EFFICACEMENTE

Intervista a cura di Alessandrio Giorgiutti, pubblicata su Libero il 10 febbraio 2012

Le parole del premier Monti sul posto fisso hanno suscitato molte polemiche. Lei però ha scritto che un sistema non più fondato sulla ricerca del posto “a vita” è vantaggioso non solo per i giovani che devono trovare un lavoro ma anche per chi un lavoro protetto ce l’ha già. Perché?
La possibilità di muoversi, di scegliere, rafforza il potere contrattuale del lavoratore nei confronti dell’imprenditore. Non c’è legge, giudice, sindacato o ispettore che garantisca meglio la libertà, la dignità e la professionalità di chi lavora di quanto le garantisca la possibilità di andarsene sbattendo la porta da un’azienda perché ce ne è un’altra che offre un trattamento migliore. Per questo occorre un mercato del lavoro fluido non solo nella sua metà non protetta, ma anche in quella del lavoro regolare a tempo indeterminato: quella metà che oggi invece è molto vischiosa.

Forse, dietro il mito del posto fisso non c’è solo la ricerca di una sicurezza economica, ma di una sicurezza sociale “calda”, garantita cioè non da leggi ma da reti di solidarietà familiari e locali che una mobilità continua, anche geografica, rischierebbe di strappare. Che cosa c’è di sbagliato in questo approccio?
Questo modo di vedere la sicurezza corrisponde a quello che le scienze sociali hanno individuato come il “modello mediterraneo” di welfare e di mercato del lavoro. Questo modello ha una sua logica; ma, rispetto a quello nord-europeo, ha molti difetti, che stanno aggravandosi negli ultimi due decenni. Fra questi, le difficoltà di accesso dei new entrants e la peggiore allocazione delle risorse umane nel tessuto produttivo: tra nord e sud d’Europa sta allargandosi il differenziale di produttività media del lavoro.

Molte polemiche sui giovani: finiscono troppo tardi l’università, vogliono un posto sicuro e vicino alla casa dei genitori… C’è un po’ di accanimento o tra i problemi del mercato del lavoro italiano è giusto sottolineare anche le scelte sbagliate compiute dai giovani (e dai loro genitori)?
Dare la colpa di questo stato di cose ai giovani è sbagliato, perché loro da soli possono fare poco per cambiarlo. Quando si parla di “modello mediterraneo”, si parla di un equilibrio complessivo della nostra società; e, per definizione, da un equilibrio complessivo non possono essere i singoli individui a uscire, per volontà propria. Cambiare equilibrio richiede un insieme organico di misure, in molti campi diversi, che è compito della buona politica progettare e attuare.

La proposta di “robusta manutenzione” dell’articolo 18 cui sta lavorando la Cisl (oltre a processi più veloci per le cause di lavoro, estensione della legge 223 sui licenziamenti collettivi anche ai casi individuali) è un compromesso soddisfacente dal suo punto di vista?
È un passo avanti importante nella direzione giusta, se significa scambiare il controllo giudiziale sul motivo economico del licenziamento con la maggiore sicurezza del lavoratore nel passaggio dal vecchio posto al nuovo. Occorre, però, evitare di cadere dalla padella nella brace. Oggi l’articolo 18 si applica anche ai licenziamenti collettivi: sia per quel che riguarda il criterio di scelta dei lavoratori da licenziare, sia per quel che riguarda l’adempimento da parte dell’imprenditore di una procedura molto complessa e irta di trabocchetti. Il diavolo si nasconde nei dettagli.

Se alla fine non si trovasse un’intesa sull’articolo 18 sarebbe un fallimento totale oppure pensa che la via delle deroghe aziendali e regionali potrà portare comunque, lontano dai clamori mediatici, al cambiamento e al superamento del tabù?
Se non si troverà un’intesa tra Governo e parti sociali, la partita si sposterà in Parlamento. Ma mi sembra probabile che un accordo si trovi. Potrebbe essere che le cose più interessanti vengano collocate nel capitolo “sperimentazione”; e non sarebbe un male. Fin qui tutti, a destra e a sinistra, hanno riconosciuto che il modello scandinavo è il first best, obiettando che in Italia non lo si può sperimentare per mancanza di risorse per il sostegno del reddito e i servizi di outplacement; ma dove le risorse ce le mettessero le Regioni e le imprese interessate alla sperimentazione, perché non provare?

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