A CHE COSA SERVE LA RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI

LA CASSA INTEGRAZIONE DEVE ESSERE USATA PER TENERE LEGATI I LAVORATORI ALL’IMPRESA NEI PERIODI DI CRISI TEMPORANEA O RISTRUTTURAZIONE – QUANDO INVECE È CERTO CHE IL LAVORO NON RIPRENDERÀ IN QUELL’AZIENDA, OCCORRE ATTIVARE UN TRATTAMENTO DI MOBILITÀ CHE INCENTIVI LA RICERCA DELLA NUOVA OCCUPAZIONE

Articolo pubblicato nella rubrica Lavorare cambia del sito web Tuttosullavoro, 20 febbraio 2012

     Nella regione Veneto, che ha meno di 5 milioni di abitanti, nel corso del 2011 sono stati stipulati 145.600 contratti a tempo indeterminato ordinario, cui se ne sono aggiunti 515.000 a termine e 27.600 di lavoro domestico (per dati più analitici v. le slides di una mia recente lezione all’Università di Firenze, La riforma del lavoro e le contraddizioni della nostra cultura in questo campo). Il Veneto è la regione italiana economicamente più vitale, in questo momento; ma nel resto d’Italia nello stesso anno si stima che siano stati stipulati oltre sei milioni di contratti di lavoro. Anche in un anno di crisi, dunque, di lavoro ce n’è.
     Ancora nel Veneto, nel corso del 2011 sono stati licenziati 34.478 lavoratori. Negli ultimi due anni, il 40 per cento di quelli che hanno perso un nuovo posto lo hanno trovato in un mese; il 60 per cento entro tre mesi; l’81 per cento entro un anno. Non, però, chi è stato collocato in Cassa integrazione: in questo caso la disoccupazione può durare anche sette anni, come è accaduto e accade ai dipendenti della Fimek di Padova, o a quelli della Iar Siltal di Bassano del Grappa. Lo stesso accade normalmente in tutta Italia: la durata del periodo di disoccupazione tende a coincidere con quella dell’integrazione salariale.
     Questo è il motivo per cui il ministro del Lavoro oggi invita imprenditori e sindacati a ripensare il modo in cui usiamo affrontare le crisi occupazionali aziendali: è il tema di cui si discute oggi alla sede del ministero di via Veneto. La Cassa integrazione è uno strumento prezioso; ma serve per tenere i lavoratori legati all’azienda nelle situazioni di crisi temporanea, o di ristrutturazione, nelle quali vi è motivo di ritenere che il lavoro potrà riprendere nell’azienda stessa. Dunque, non può essere la Cassa integrazione lo strumento giusto per sostenere i lavoratori nella ricerca di una nuova occupazione, in un’azienda diversa. Invece, ogni volta che si verifica una crisi aziendale con necessità di ridurre il personale o addirittura chiudere l’unità produttiva, la prima misura che tutti immancabilmente concordano di adottare è la Cassa integrazione; in questo modo si fa il danno dei lavoratori, perché li si tiene legati a un’impresa che non potrà più dare loro lavoro. Si congela la situazione senza affrontare il problema; anzi lo si aggrava, perché è dimostrato che, quanto più lungo è stato il periodo di inattività del lavoratore dopo la perdita del posto, tanto più è difficile ricollocarlo.
     A chi perde il posto occorre dare un sostegno del reddito anche più robusto di quello offerto dalla Cassa integrazione: la proposta è di aumentare la copertura dell’ultima retribuzione al 90 per cento per il primo anno e alzare il “tetto” mensile a 3000 euro. Ma questo intervento deve essere coniugato con un’assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione e deve essere condizionato alla disponibilità effettiva del lavoratore. Il dato relativo al Veneto non si discosta dalla media nazionale: se dunque, come si è visto, otto lavoratori su dieci senza particolari aiuti ritrovano il posto entro un anno, con una buona assistenza intensiva si può realisticamente puntare alla ricollocazione entro un anno almeno di nove lavoratori su dieci. E del decimo entro il secondo anno. Come accade da tempo nei Paesi più avanzati del nostro.
     Ci guadagneranno i lavoratori, in termini di maggiore sicurezza economica e professionale. Ci guadagneranno le imprese, in termini di maggiore facilità dell’aggiustamento degli organici e quindi flessibilità delle strutture produttive. Ci guadagneranno gli uni e le altre in termini di riduzione dei contributi previdenziali e del costo del lavoro, con conseguente possibilità di aumento delle retribuzioni nette.

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