IL METODO SPERIMENTALE COME ANTIDOTO ALLO SCONTRO FAZIOSO

NESSUN FARMACO PUO’ ESSERE FATTO CIRCOLARE SE NON SIA STATO SOTTOPOSTO A UNA RIGOROSA SPERIMENTAZIONE; PERCHÉ QUESTO STESSO METODO NON SI APPLICA ANCHE NEL CAMPO DELLE POLITICHE SOCIALI E DEL LAVORO?

Articolo di Giuseppe Guzzetti (presidente della Fondazione Cariplo) e Pietro Ichino, pubblicato sul Corriere della Sera il  23  marzo 2012

Una protezione contro il licenziamento ha, oppure no, conseguenze sul tasso di occupazione? E sul tasso di disoccupazione? E sui livelli retributivi? Una riduzione selettiva dell’imposta sui redditi di lavoro delle donne ha, e in quale misura, l’effetto di incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro? A queste e altre domande analoghe siamo abituati a rispondere per partito preso. E il dibattito che ne deriva è destinato a durare per decenni senza fare passi avanti. A ciascuna di queste, e di un’infinità di altre domande, invece, potremmo trovare risposte precise ed empiricamente fondate se soltanto applicassimo nel campo delle politiche sociali e del lavoro lo stesso metodo sperimentale che applichiamo per verificare gli effetti di un farmaco. Le scienze sociali oggi dispongono di una formidabile capacità di analisi, che consente di applicare quel metodo anche nelle materie di loro competenza.
In passato, una spesa pubblica che garantiva redistribuzione (non sempre virtuosa) del reddito e conseguente crescita economica ha rappresentato il lubrificante del processo di crescita economica del nostro Paese. Ora però questa ricetta non può più essere utilizzata a causa della necessità di ridurre drasticamente la spesa per contenere il livello già elevatissimo del debito pubblico italiano. Proprio l’esigenza di contenere la spesa offre tuttavia alcune opportunità importanti per rivedere le priorità dell’azione pubblica, eliminando gli sprechi e concentrando invece gli interventi sulle azioni che si rivelano più efficaci nel raggiungere gli obiettivi previsti.
Per introdurre riforme utili, come pure per effettuare tagli di spesa oculati, serve quindi una elevata capacità dell’amministrazione pubblica di distinguere tra le politiche che producono i risultati desiderati e quelle che sono invece meno efficaci, o non lo sono del tutto. Proprio in questo campo, tuttavia, il nostro paese sconta molte difficoltà e un grave ritardo. In qualche circostanza, infatti, il dibattito sulle riforme che si potrebbero introdurre si blocca su discussioni di principio o su pregiudizi di carattere ideologico, trascurando completamente la possibilità di avviare sperimentazioni e produrre informazioni incontrovertibili sugli effetti degli interventi che si vogliono realizzare. In altri casi, i processi di riforma, che pure vengono attuati, non sono valutati con sistematicità e con metodi inoppugnabili; così si spreca l’opportunità di apprendere meglio ciò che funziona e ciò che non funziona. In altri casi ancora, le informazioni sono prodotte ma si fatica a utilizzarle perché vengono inspiegabilmente (o fin troppo spiegabilmente) occultate al dibattito pubblico.
Eppure il nostro Paese avrebbe molto da guadagnare sperimentando su piccola scala le riforme che sono necessarie nel campo delle politiche sociali, educative e del lavoro, valutando in maniera disincantata i risultati concreti delle sperimentazioni effettuate e introducendo solo le riforme che mostrano di funzionare. Proprio il confronto con i dati empirici potrebbe, in qualche caso, svelenire la discussione sulle riforme e ridurre il peso dei giudizi pre-analitici, facilitando perciò la ricerca di accordi e compromessi.
Molte delle questioni che vengono dibattute in questi giorni potrebbero trarre giovamento dall’avvio di sperimentazioni su piccola scala: dall’assunzione di nuovi insegnanti per ridurre il numero di alunni per classe (ha effettivamente un impatto positivo sul rendimento degli alunni?) alla introduzione di un insieme di vincoli al sistema di “reddito minimo” (contribuiscono a favorire la ricerca di lavoro?), dalla concentrazione e trattazione sequenziale dei processi di lavoro (possono ridurre i tempi dei processi?) al “case management” per l’accompagnamento lavorativo dei disabili (favorisce l’ottenimento e il mantenimento del lavoro?).
Per favorire l’evoluzione della nostra “cultura materiale” in questa direzione, la Fondazione Cariplo e la Fondazione Giuseppe Pera hanno promosso alcuni primi casi di sperimentazione controllata di alcuni interventi di riforma dell’educazione, del lavoro e dei servizi sociali che verranno presentati, in collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera, in un convegno il prossimo 23 marzo. È un primo passo nella direzione di un ampio dibattito pubblico sui meriti e i costi della sperimentazione al servizio delle politiche sociali e del lavoro.

jjj

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