LA STAMPA: LO SNODO CRUCIALE DELLA RIFORMA

IL PUNTO ESSENZIALE, SUL QUALE SI STA DETERMINANDO IL DISSENSO NETTO DELLA CGIL, E’ IL PASSAGGIO DA UNA CONCEZIONE STATICA A UNA CONCEZIONE DINAMICA DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI

Testo integrale dell’intervista a cura di Luigi Grassia pubblicata, con alcuni tagli per ragioni di spazio, su la Stampa del 19 marzo 2012

La riforma del lavoro è ancora in gestazione, e i no sembrano forti tanto dalla Cgil quanto da Confidustria e altre associazioni di imprese. Tutti troppo conservatori?
Non è il caso di scandalizzarsene. La riforma a cui il governo sta lavorando segna un netto cambiamento di equilibrio generale nel nostro mercato del lavoro e tessuto produttivo. Come tutti i cambiamenti di equilibrio, anche questo suscita delle resistenze e dei dissensi: nessuno può sorprendersene.

Ma a suo parere c’è una direzione di marcia identificabile o siamo ancora in alto mare?
La direzione di marcia mi sembra molto chiara. La reintegrazione nel posto di lavoro è un istituto giuridico che corrisponde a una concezione proprietaria del posto stesso. Coll’escludere la reintegrazione nei casi di licenziamento economico, la riforma mira ad abbandonare questo regime di sostanziale job property, per passare a un regime nel quale la sicurezza del lavoratore sia garantita nel mercato più che nel singolo posto di lavoro. È una svolta di enorme rilievo per lo sviluppo del Paese.

Perché?
Il diritto di proprietà del lavoratore sul posto di lavoro rischia spesso di imporre la conservazione di strutture obsolete, dando luogo nei casi limite a posizioni di sostanziale rendita, comunque ostacolando la necessaria evoluzione del tessuto produttivo. Inoltre il disallineamento, per questo aspetto, del nostro ordinamento rispetto a quelli dei maggiori Paesi europei costituisce un ostacolo per l’afflusso degli investimenti stranieri.

Per quello che si vede al momento, quanto c’è dell’eredità di Biagi in questa riforma?
Il disegno di Marco Biagi comprendeva anche una svolta del tipo di quella perseguita con questa riforma. Poi, però, la riforma degli ammortizzatori sociali scomparve dall’agenda del governo di centrodestra; con la conseguenza inevitabile che, sulla riforma dell’articolo 18, le cose andarono come tutti sappiamo.

E lei che giudizio dà del progetto del governo attuale?
Mi sembra che il governo stia affrontando la questione in modo organico ed equilibrato. Anche se su alcuni punti avrei preferito la soluzione delineata nel mio progetto di riforma.

Su quali punti?
Soprattutto sul sostegno del reddito di chi perde il posto. Qui, a mio modo di vedere, il problema più difficile da risolvere non è quello delle risorse, ma quello di condizionare l’erogazione alla disponibilità effettiva del lavoratore. Occorre attivare gli incentivi giusti perché le cose funzionino correttamente: altrimenti, il rischio è di produrre un allungamento dei periodi di disoccupazione corrispondente all’allungamento del trattamento economico.

Come?
La mia proposta prevede che il trattamento di disoccupazione sia solo per metà garantito da una assicurazione generale; e che per l’altra metà esso sia invece un trattamento complementare, erogato direttamente dall’impresa ex-datrice di lavoro. In questo modo l’impresa stessa sarebbe responsabilizzata per il buon funzionamento dei servizi di assistenza al lavoratore licenziato. Ci sarebbe un forte incentivo economico a sia fatto tutto il necessario per ricollocarlo nel periodo più breve possibile. Con il vantaggio, poi, di responsabilizzare maggiormente le imprese, premiando quelle più capaci di un buon manpower planning e che quindi licenziano con minore frequenza.

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