BARBERA: SULLO SCIOPERO NEI TRASPORTI IL PD NON RESTI IN MEZZO AL GUADO

APPLICARE IL PRINCIPIO MAGGIORITARIO ALLO SCIOPERO NEL SETTORE DEI TRASPORTI NON E’ INCOSTITUZIONALE E ALLINEA IL NOSTRO ORDINAMENTO A QUELLI DEI PRINCIPALI ORDINAMENTI EUROPEI

Fondo di Augusto Barbera (professore di diritto costituzionale ed ex-parlamentare del PCI e del PDS) pubblicato sul  Messaggero il 3 marzo 2009

I processi alle intenzioni non hanno mai aiutato a individuare le soluzioni ai problemi. Lasciamo dunque da parte  i retro-pensieri sulle presunte manovre di Maurizio Sacconi o del governo per “spaccare l’unità sindacale e colpire la CGIL”.
Discutiamo invece nel merito dell’unico tema che interessa davvero milioni di cittadini, tutti coloro che, italiani o stranieri, spesso sono costretti a bivaccare negli aeroporti e nelle stazioni italiane a causa di agitazioni scomposte o improvvise di piccoli gruppi di lavoratori. Non si tratta solo di lavoratori pendolari o di vacanzieri,  ma talvolta  di persone che, soprattutto nelle città, non hanno altro mezzo per muoversi che l’autobus o il tram. Non mettersi in sintonia con questa parte del Paese è lesivo anzitutto per i partiti che aspirano al consenso degli elettori.

 

 Partiamo da un dato di fatto: la legge 12 giugno 1990, anche dopo le modifiche intervenute nel 2000 sul funzionamento dei pubblici servizi nel settore del trasporto aereo, ferroviario e urbano non ha funzionato. I motivi sono molti, principalmente riconducibili alla presenza di troppe sigle sindacali in concorrenza fra di loro. Le grandi centrali sindacali sono pressate ai fianchi da sigle aggressive e minoritarie. Ma spesso, scopo di queste ultime non è quello di raggiungere un accordo con le controparti, ma  acquistare visibilità e colpire i concorrenti. Un circolo vizioso che, partendo magari da comitati spontanei, fa crescere le sigle come funghi in autunno.
Se invece fosse stato davvero applicato (nello spirito, se non nella lettera, ormai invecchiata)  il mai attuato articolo 39 della Costituzione, i sindacati avrebbero dovuto registrarsi e disporre di poteri contrattuali in proporzione al numero degli iscritti.
In questa direzione va del resto un progetto di legge, in pochi articoli, presentato in Senato da alcuni senatori del Partito democratico, primo firmatario Pietro Ichino. Esso prevede che gli scioperi possano  essere proclamati da una organizzazione – o da una coalizione di esse – che rappresenti il cinquanta per cento più uno dei lavoratori dell’impresa, della categoria o dell’unità produttiva interessata. Se l’organizzazione non è “maggioritaria” bisogna procedere a un referendum preventivo tra i lavoratori interessati. La bozza di delega del governo dice che deve trattarsi di  organizzazioni  che abbiano raggiunto determinate soglie di iscritti, e che il consenso nella consultazione referendaria debba ottenere almeno il 30% dei consensi. Forse la soglia prevista è troppo alta, ma il principio è giusto.
Mi chiedo: dove starebbe l’incostituzionalità subito avanzata dalla Cgil e da alcuni costituzionalisti? Io  non riesco a vederla. L’articolo 40 afferma che il diritto  di sciopero  si esercita “nell’ambito delle leggi che lo regolano”. L’art. 39 – ma anche la legislazione in  materia – non esclude che le organizzazioni sindacali siano differenziate in base alla loro rappresentatività. Inoltre per legiferare il governo non ha scelto la strada della decretazione d’urgenza, ma la legislazione delegata, che mantiene in capo al Parlamento la fissazione di “principi e criteri direttivi”.
Non si vuole conferire una delega generica?  Il Parlamento  può sempre  rivendicare, in sede di discussione, una più puntuale  indicazione di tali principi, evitando che governo e parti sociali possano invadere, nell’attuazione della delega, gli ambiti riservati al Parlamento in una materia che riguarda l’esercizio di un diritto costituzionale. Il Parlamento potrebbe, peraltro, decidere di disegnare compiutamente la materia: il progetto Ichino, per inciso, consta di tre soli articoli.
Ciò detto, le domande di fondo sono due. L’Italia deve mantenere il primato degli scioperi in Europa nel settore dei trasporti (i dati consultabili nel sito del ministero dei trasporti sono impressionanti)  o seguire la strada scelta dalle grandi democrazie europee? Procedure analoghe sono previste nel Regno Unito (per Statuto delle Trade Unions e, dal 1993, per legge), in Germania attraverso l’istituto dello Streikurabsbstimmung, in Spagna fin dai primi anni del ritorno alla democrazia. Per quanto mi consta, i dipendenti del settore dei trasporti in quei Paesi godono di diritti e salari migliori di quelli garantiti ai colleghi italiani.
Seconda questione: perché il Partito Democratico non ha spinto per mettere all’ordine del giorno il tema lasciandolo invece all’isolata iniziativa di alcuni sia pur autorevoli parlamentari o, come sostengono alcuni, al “complotto” del governo? Vuole il Pd avere su questo, come su altri temi, una propria posizione autonoma, da partito riformista, oppure continuare a subire i veti della Cgil? Capisco i problemi interni di Guglielmo Epifani, pressato dalla Fiom, a sua volta sensibile alle cosiddette organizzazioni di base. I problemi del Paese sono però un’altra cosa.

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