NULLAFACENTI: LE SCIABOLE DEL MINISTRO BRUNETTA E I TERMINI REALI DEL PROBLEMA

15 maggio 2008
Gentile Professore, il tintinnar di sciabole che le dichiarazioni di guerra del Ministro Brunetta evocano  mi spinge a sottoporLe alcune considerazioni che, da un osservatorio privilegiato,  non posso fare a meno di formulare.

  • Licenziamento dei fannulloni. Era ora che il detentore del massimo potere decisionale in materia lo affermasse senza perifrasi. Tuttavia, a ruota, segue la domanda: come e chi identifica il fannullone? La risposta è meno ovvia di quanto potrebbe sembrare a prima vista: se il soggetto a cui la responsabilità di scelta è affidata preferisce per ignavia, per idiosincrasia nei confronti dei conflitti, per quieto vivere, per convenienza e, anche, per incapacità di valutazione, volgere il capo dall’altra parte siamo da capo a dodici. Le faccio un esempio pratico: lavoro in un’azienda ex monopolista con capitale sociale ancora interamente pubblico e organizzazione del lavoro privatistica o sedicente tale, con frotte di personale inadeguato, non riciclabile e inamovibile e nuove leve in carriera tese al raggiungimento degli obiettivi immediati che producono premi e incentivi ma totalmente prive dell’ottica di prospettiva.  In questa situazione, diciamo così, fluida, il responsabile del settore carica il lavoro da svolgere sulla parte del personale utilizzabile per il raggiungimento dei (suoi) obiettivi consentendo così a quello inservibile di trascorrere il suo tempo tra passeggiate e partite di solitario al computer. E, sia detto per inciso, l’ammontare dello stipendio che si riscuote a fine mese non è direttamente proporzionale alla produttività di ognuno, dipende dal profilo professionale, dall’anzianità di servizio, dalle indennità legate esclusivamente alla categoria di appartenza. Insomma da tutto fuorchè dalla qualità del servizio reso. In soldoni: chi controlla il controllore?
  • Individuazione del merito. Assolutamente incontestabile, ma anche qui: di quali specifiche competenze dispone chi è preposto (perdoni il linguaggio burocratico) ad individuarlo? Di quali strumenti che consentano una corretta  valutazione?  Sarà d’accordo con me che il buon senso, l’intuito, le capacità individuali non sono oggettivamente idonei per il raggiungimento di questo specifico obiettivo. L’esperienza professionale mi insegna che il merito viene quasi sempre identificato con la  disponibilità a tirar tardi sul posto di lavoro (a prescindere dall’effettiva necessità), con l’esecuzione  acritica degli ordini,  non di rado con la piaggeria. In una parola regnano gli yes men (o yes women, ovviamente).  Ho difficoltà a riconoscerli come persone meritevoli…
  • Rigidità delle disposizioni di servizio. Uno degli elementi che viene di sovente trascurato nella ricerca di interventi riformatori finalizzati a una maggiore efficienza dei servizi pubblici è rappresentato dall’emanazione di direttive di comportamento evidentemente redatte da persone che non hanno alcun contatto con la complessità dei problemi reali. E’ vero che negli ultimi anni si è a lungo predicato sull’assunzione di atteggiamenti finalizzati al problem solving ma è una predica rimasta sulla carta: prova ne sia il fatto che quando qualcuno si assume la responsabilità di mettere in campo iniziative non conformi alla disposizione scritta proprio per tentare di dare soluzione  ad un problema da cui non si uscirebbe con una pedissequa applicazione della norma, viene pubblicamente accusato, in modo soft ma proprio per questo più subdolo, di attentato all’ordine giuridico e patrimoniale dell’azienda. Fa sorridere ma questa è la sostanza.
  • Last but not least. C’è un problema di cui nessuno ha il coraggio di parlare pubblicamente ma che tutti coloro che hanno in qualche modo a che fare con le aziende pubbliche conoscono perfettamente: la casta (altro che politici!) dei delegati sindacali. Queste persone, il cui numero (viste le condizioni sempre più dure di vita a cui è sottoposto il mondo del lavoro nel suo insieme) si è gonfiato in modo abnorme, percepiscono un regolare stipendio senza che nessuno osi chiedere loro una qualsivoglia prestazione per non rischiare di vedersi intentare una causa per mobbing. Qualcuno obietta: ma forniscono un servizio al lavoratore vigilando sul rispetto dei suoi diritti da parte dell’azienda. Nulla di più falso: con le dovute (e rare) eccezioni si tratta (almeno a livello aziendale) prevalentemente di individui mediocri che coltivano il loro recinto (leggi iscritti) garantendo trasferimenti, comode assegnazioni,  trattamenti di favore e difesa dei privilegi di qualcuno a danno dei diritti di qualcun altro.  Senza tenere conto del fatto che se una determinata struttura deve adempiere a determinate funzioni, distribuirle su, per esempio, 20 persone anzichè su 25 perchè 5 sono delegati sindacali e sono sempre a tutt’altre faccende affaccendati, non è esattamente la stessa cosa.

 E’ più o meno tutto. Aggiungo solo che le osservazioni che Le ho appena sottoposto sono il frutto di una attenta e prolungata osservazione di un universo in cui si pretendono essere stati introdotti elementi di modernizzazione e di messa in efficienza. E, soprattutto, osservazione non distorta dalla presenza di motivazioni di carattere personale poiché  sono (spero) molto vicina alla pensione.

Con i miei più cordiali saluti e la mia più profonda stima.

Paola Bernardi

 

     Concordo largamente con quello che lei scrive, aggiungendo soltanto un’osservazione critica sull’espressione con la quale il ministro Brunetta ha voluto annunciare la propria iniziativa (“Colpirne uno per educarne cento”): non mi sembra che riesumare il linguaggio delle Brigate Rosse sia il modo migliore per affrontare una questione di queste dimensioni, importanza e delicatezza. Ciò non toglie che l’intendimento manifestato dal ministro debba essere salutato come un fatto positivo: purché alle parole seguano scelte serie, efficaci e incisive. Su questo tra maggioranza e opposizione  in Parlamento si aprirà tra breve un confronto molto pragmatico: si discuterà non di proclami o slogan, ma delle cose concrete da fare.

    La mia risposta all’interrogativo iniziale che lei pone è questa: dove non può essere il mercato a misurare e valutare, occorre affidare questa funzione a un organo di controllo indipendente, del tipo di quelli che funzionano in Gran Bretagna e negli altri Paesi nord-europei, che garantisca, oltre all’oggettività ed equità dei criteri di valutazione, anche la trasparenza totale della struttura: tutti i dati sul funzionamento delle amministrazioni pubbliche devono essere disponibili on line, soggetti a controllo da parte dell’opinione pubblica e, soprattutto, degli osservatori qualificati (stampa specializzata, associazioni degli utenti, ricercatori universitari, ecc.). Forse questo è il modo migliore per mettere il fiato sul collo (o, se si preferisce il sale sotto la coda) ai dirigenti e ai vertici politici, per costringere i primi a esercitare le prerogative che competono loro e impedire ai secondi di interferire indebitamente in tale esercizio.

Questo è il passaggio fondamentale del progetto Lazio, ora in fase avanzata di attuazione. La generalizzazione di questo principio di trasparenza totale è, poi, l’obiettivo di un progetto di legge a cui sto lavorando, che spero di poter presentare al Senato in tempi molto brevi. Vedremo se il ministro Brunetta è davvero disponibile a compiere questa scelta rivoluzionaria.

p.i.

 

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