ILVA DI TARANTO: LE ANOMALIE DI UNA CRISI

IL SEQUESTRO DELLO STABILIMENTO SIDERURGICO PUGLIESE È L’ENNESIMO CASO DI SUPPLENZA DEL GIUDICE PENALE RISPETTO A DIFETTI DELLE AMMINISTRAZIONI – LA CONCILIAZIONE TRA GLI INTERESSI AMBIENTALI ED ECONOMICI IN GIOCO DEVE ESSERE PERSEGUITA CON L’ALLINEAMENTO GRADUALE RISPETTO AI MIGLIORI STANDARD EUROPEI

Intervista a cura di Luciano Pignataro, pubblicata dal quotidiano Il Mattino il 28 luglio 2012

Professor Ichino, la vicenda dell’Ilva di Taranto riporta la mente alle grandi mobilitazioni degli anni ’70 e ’80 al Sud contro i primi segnali di deindustrializzazione. Quali sono secondo lei le differenze?
La deindustrializzazione incipiente di quegli anni era un fenomeno di dimensioni mondiali. Il problema dell’Ilva di Taranto, oggi, è invece un problema tipicamente italiano.

In che senso?
Qui oggi abbiamo un intervento giudiziale, di portata drammatica per una grande azienda e per la vita di decine di migliaia di persone, motivato da un danno ambientale che è sotto gli occhi di tutti e che, in un Paese civile, avrebbe dovuto essere oggetto di controllo in sede amministrativa molto prima che intervenisse un giudice penale.

Ma la Regione ha stipulato un accordo con l’impresa su questa materia.
Più d’uno, se è per questo. Senza però esercitare in modo rigoroso i propri poteri di controllo circa l’adempimento di quanto dovuto e di quanto concordato. Il problema è sempre quello: in Italia il ruolo dei giudici si dilata innaturalmente perché essi svolgono una funzione vicaria rispetto ad amministrazioni che funzionano poco e male. Anche questo intervento dei giudici, suscita qualche interrogativo.

Per quale aspetto?
Dal punto di vista delle emissioni nocive, la situazione dell’Ilva è oggi molto migliore rispetto a dieci e ancor più rispetto a venti anni fa. Se il reato c’è oggi, lo stesso reato c’era anche in tutti gli anni passati, e in misura più grave. Per spiegare un insieme di provvedimenti giudiziali così gravi e improvvisi, occorre pensare che i giudici abbiano scoperto qualche cosa di più: per esempio frode e corruzione.

Qui comunque l’alternativa di fondo è tra lavoro e salute. Cosa bisogna scegliere in questi casi?
Anche al netto della frode e della corruzione, l’impatto di un grande stabilimento siderurgico sulla salubrità di qualsiasi territorio non è mai positivo. Il problema è stabilire il grado di sacrificio della salubrità della zona che siamo disposti a sopportare, pur di avere il lavoro e il benessere.

E come si stabilisce, secondo lei il grado di sacrificio accettabile?
L’unico vantaggio che abbiamo per il fatto di essere un Paese un po’ più arretrato rispetto ai nostri partner europei sta nella possibilità di fare riferimento a quel che fanno loro. La cosa più sensata che possiamo fare è proporci di allineare l’impatto ambientale di uno stabilimento come l’Ilva a quello di stabilimenti analoghi in Germania o in Svezia.

E se il gap rispetto a quei Paesi è troppo grande per essere superato dall’oggi al domani?
Dobbiamo imporci un superamento graduale, ma il più possibile accelerato, di quel gap. Questo, però, è cosa di competenza di una amministrazione regionale o statale, non di un giudice penale.

Il tema della salute e dell’ambiente non dovrebbe essere il primo impegno di un sindacato?
Sulla protezione della salute non si possono accettare compromessi: ce lo vieta, oltretutto, il diritto europeo. Sulla protezione dell’ambiente, invece, qualche compromesso è inevitabile, a tutte le latitudini e longitudini. Nessuno stabilimento siderurgico può avere un impatto ambientale nullo. Ma il bilanciamento tra interessi economico ed ecologico non può essere affidato al giudice: questo è compito del governo centrale e locale.

Ieri l’Unità ha proposto un parallelo tra la scelta che devono affrontare oggi i lavoratori dell’Ilva di Taranto con quella che due anni fa hanno dovuto affrontare i lavoratori della Fiat di Pomigliano.
Non scherziamo. Dal punto di vista della protezione della salute e sicurezza delle persone, il nuovo stabilimento di Pomigliano costituisce un’eccellenza assoluta, a livello mondiale. Lì il referendum riguardava soltanto alcune marginali modifiche della disciplina contenuta nel contratto collettivo nazionale in materia di orario, di pause e di trattamento di malattia. Credo che tutti in Puglia oggi, compreso Niki Vendola, sarebbero felici se potessero sostituire lo stabilimento dell’Ilva con dieci stabilimenti come quello di Pomigliano!

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