BRUSCO: QUEL MANIFESTO NON È LIBERISTA, MA PRAGMATICO

LE RAGIONI (PER CERTI ASPETTI SORPRENDENTI) DELL’INIZIATIVA DEL GRUPPO DI ECONOMISTI CHE STANNO PREPARANDO UNA LISTA PER LE PROSSIME ELEZIONI CAPEGGIATA DA OSCAR GIANNINO

Articolo di Sandro Brusco pubblicato su l’Unità il 2 agosto 2012 – In argomento v. anche il testo dell’intervento preparato da Giulio Zanella per l’assemblea svoltasi a Roma il 20 luglio 2012 sul documento L’Agenda Monti al centro della prossima legislatura

Lo scorso 30 luglio, l’Unità ha pubblicato un articolo di Emilio Barucci sul ‘manifesto liberista di Giannino’, che potete leggere a fermareildeclino.it. Sono uno dei sette estensori del manifesto e delle proposte a esso associate, e vorrei offrire alcune riflessioni.
Il manifesto, a onor del vero, non è né liberista né (solo) di Giannino. È il prodotto del lavoro di un gruppo di persone, tra cui imprenditori, docenti e professionisti, e contiene una serie di proposte pragmatiche per riavviare la crescita in Italia. Tra queste proposte alcune non sono tradizionalmente associate al liberismo, come la creazione di un’assicurazione universale contro la disoccupazione e la richiesta di spendere di più in educazione e ricerca. Barucci si dichiara d’accordo sul fatto che i problemi del paese si possano affrontare solo tornando a crescere, ma trova il manifesto lacunoso sotto vari punti. Lo spazio limitato suggerisce di concentrare il mio intervento sul punto che pare il più importante anche per Barucci, quello relativo alla ‘redistribuzione via tasse’. Lo faccio qui in modo sintetico, ma quando elaboreremo in modo più approfondito il programma posso assicurare che di disuguaglianza e mobilità sociale parleremo in dettaglio, come peraltro già facciamo nei testi in questione dando al tema grande prominenza.
Ci sono tanti modi di fare redistribuzione attraverso il sistema fiscale, ed è importante capire come e perché si vuole farla. Anche in questo campo quindi un approccio pragmatico è essenziale. Facciamo un semplice esempio. A sinistra è facile scaldare i cuori parlando di imposta patrimoniale. Recentemente Pippo Civati ha suggerito un’imposta sulla ricchezza mobiliare che raccolga tre miliardi di euro l’anno. Il gettito dell’imposta patrimoniale francese, da molti considerata un modello, oscilla tra i 3 e i 5 milardi. In Italia ci sono circa 24 milioni di famiglie. Supponiamo di far pagare 3 miliardi al 10% delle famiglie più ricche, redistribuendo il gettito al 90% delle famiglie più povere. Quanto riceve ciascuna famiglia povera? La risposta è 139 euro circa. Molto poco, insomma: è possibile ottenere risultati simili, anziché con un ulteriore aumento della pressione fiscale, con tagli alla spesa e alle tasse? Nel manifesto proponiamo, per esempio, di privatizzare la Rai e abolire il canone, una odiosa imposta regressiva, che fa pagare la stessa cifra alla famiglia dell’operaio e a quella del milionario. Solo l’abolizione del canone farebbe risparmiare alle famiglie che ora lo pagano 112 euro.
La sinistra ha fatto un enorme male a se stessa perseguendo in modo astratto e ideologico politiche del ‘anche i ricchi piangano’, che hanno finito semplicemente per aumentare la pressione fiscale sul lavoro dipendente senza rendere il paese più giusto ed eguale. Ha purtroppo fatto anche un gran male al paese, favorendo in questo modo il rapido ritorno al governo di un centrodestra ottuso e incapace. Ora il ciclo rischia di ricominciare, solo con un paese più povero e sfiancato dalla crisi. Anziché concentrarsi sulla riduzione della spesa e sull’aumento di efficienza della pubblica amministrazione, la sinistra sembra essere solo capace di pensare a nuove tasse.
Non deve essere così. Da un lato perché la migliore e più efficace maniera per migliorare la condizione economica delle classi più disagiate è generando crescita e mobilità sociale, cose che richiedono ben altri strumenti che la fiscalità redistributiva per essere ottenute. Ma, anche focalizzandoci solo sulle imposte, la progressività del sistema fiscale può essere aumentata in due modi: aumentando le tasse sui più ricchi o diminuendo le tasse sui più poveri. È la seconda strada quella che secondo noi bisogna perseguire. Seguirla ovviamente richiede di abbassare la spesa e questo a volte può essere politicamente difficile. Ma di demagoghi e ciarlatani che promettono meno tasse per tutti senza spiegare come riempire i buchi di bilancio direi che gli italiani si sono finalmente stufati.
Cerchiamo quindi di essere innovativi, e cerchiamo di essere pragmatici. L’Italia ha livelli di spesa pubblica simili a quelli dei paesi scandinavi ma, a differenza di tali paesi, una rete di protezione sociale debolissima. Questo significa che gran parte della spesa pubblica italiana non aiuta gran che ad alleviare la povertà e la disuguaglianza. L’esempio della Rai è illuminante: i soldi del canone vengono di fatto usati per una redistribuzione alla rovescia, in cui le famiglie di operai e pensionati finanziano il pagamento di stipendi principeschi. Si può quindi ridurre considerevolmente la spesa (noi proponiamo una riduzione di 6 punti rispetto al PIL in 5 anni) e utilizzare i risparmi così generati per ridurre la tassazione. La riduzione va indirizzata prioritariamente a lavoro e impresa, e una grossa parte deve sicuramente andare ad alleviare la pressione fiscale sui redditi da lavoro più bassi. Questo è a nostro avviso un modo più intelligente di fare redistribuzione. È anche un modo assai più amico dello sviluppo e della crescita che il costante aumento della pressione fiscale. E di crescita, vera e tanta, c’è assolutamente bisogno se vogliamo veramente ridurre le situazioni di sofferenza.
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