CHE COSA SI PROPONGONO I PROMOTORI DEL REFERENDUM SULL’ARTICOLO 18

ANALISI DEGLI EFFETTI DEL QUESITO REFERENDARIO, CHE “MANIPOLA” IL TESTO DELLA NORMA SUI LICENZIAMENTI AL FINE DI RIPRISTINARE LA VECCHIA DISCIPLINA E ADDIRITTURA RAFFORZARE L’APPARATO SANZIONATORIO IN QUESTA MATERIA

Nel testo qui riprodotto sono evidenziate le parti del testo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dalla legge Fornero (l. 28 giugno 2012 n. 92), che il referendum promosso da SEL e IdV si propone di sopprimere – Ciascun comma del testo legislativo modificato o soppresso dal referendum è qui corredato da un mio breve commento in corsivo – Segue un commento generale circa l’ammissibilità del quesito referendario e il suo significato politico, a cura di Stefano Ceccanti, senatore Pd e professore di diritto costituzionale nell’Università “la Sapienzo” di Roma  

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I PRIMI TRE COMMI DELL’ARTICOLO 18 NON VENGONO MODIFICATI
Resta pertanto invariata la sanzione della reintegrazione più risarcimento pieno del danno per il caso di licenziamento discriminatorio, di rappresaglia, o comunque dettato da motivo illecito (primo comma), la disciplina del risarcimento (secondo comma) e l’opzione del lavoratore per le 15 mensilità al posto della reintegrazione (terzo comma).
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COMMA QUARTO

Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei
codici disciplinari applicabili,
annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore
di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello
svolgimento di altre attività lavorative
. In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità
sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.

Con i tagli “chirurgici evidenziati nel testo, il quesito referendario mira a ripristinare il vecchio apparato sanzionatorio in materia di licenziamenti illegittimi, nel quale la reintegrazione nel posto di lavoro con risarcimento del danno scattava automaticamente in qualsiasi caso di licenziamento il cui motivo – anche eventualmente in sé legito – fosse ritenuto dal giudice insufficiente per sua natura, o non sufficientemente dimostrato. L’entità del risarcimento che altrettanto automaticamente accompagna la reintegrazione – se il quesito viene accolto – è pari alle retribuzioni maturate tra il licenziamento e la sentenza di reintegrazione, senza alcuna riduzione in relazione ai redditi di lavoro eventualmente percepiti dal lavoratore durante lo stesso periodo (né tanto meno in relazione ai redditi che avrebbero potuto essere percepiti se fosse stata accettata una congrua offerta di lavoro alternativo): per questo aspetto, l’esito dell’abrogazione referendaria produrrebbe addirittura l’effetto di un inasprimento dell’apparato sanzionatorio rispetto al vecchio regime, nel quale, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, il risarcimento dovuto al lavoratore doveva essere ridotto in misura pari all’aliunde perceptum, cioè a quanto il lavoratore stesso avesse tratto nell’intervallo tra licenziamento e reintegrazione da un’altra attività lavorativa. Stesso discorso in riferimento alla corrispondente contribuzione previdenziale.
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COMMA QUINTO
Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un
minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensionI dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.

Questo comma dispone il solo indennizzo per i casi di licenziamento disciplinare non rientranti nella previsione del comma precedente. Con l’abrogazione integrale di questo comma, il referendum mira, come si è visto, a eliminare drasticamente questa distinzione estendendo a tutti i casi la sanzione massima.

COMMA SESTO
Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all’articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del
licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.

Questo comma regola il caso del licenziamento invalido per vizio formale o procedurale, prevedendo in questo caso – quando la giustificazioone sostanziale ci sia – soltanto l’indennizzo a favore del lavoratore. Con l’abrogazine totale di questo comma, il referendum mira anche qui a estendere la sanzione della reintegrazione più risarcimento ancha al caso di vizio puramente formale.

COMMA SETTIMO
Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la
manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.

Questo comma regola il caso del licenziamento per motivo oggettivo, cioè economico od organizzativo, prevedendo come regola generale l’indennizzo del lavoratore, con alcune possibili eccezioni. Con l’abrogazione integrale di questo comma, il referendum si propone anche qui di ripristinare la sanzione della reintegrazione più risarcimento anche in tutti i casi di licenziamento non disciplinare.

COMMI SUCCESSIVI
Le modifiche ai commi successivi dell’articolo 18 sono finalizzate soltanto a un coordinamento testuale, in relazione alle modifiche di cui si è detto sopra.

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UN COMMENTO GENERALE DI STEFANO CECCANTI SUL PIANO POLITICO-COSTITUZIONALE
1.       Il primo dato su cui riflettere è che in questo caso specifico il referendum rappresenta una bomba a tempo destinata necessariamente a esplodere una volta innescata. Per questo è opportuno riflettere da parte di tutti prima che avvenga l’innesco. Da dove nasce questa affermazione? Dai seguenti dati:
. a) Il terreno dei quesiti sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori è sufficientemente arato (su di esso gli elettori sono stati chiamati a esprimersi nel maggio 2000 dai radicali per abrogarlo e nel 2003 da Rifondazione Comunista per estendere le tutele anche sotto 15 dipendenti) per capire che anche il quesito di oggi, una volta raccolte le firme, sarà ammesso dalla Corte;
. b) Non ci sarà comunque in Parlamento, anche per le posizioni di pressoché tutti gli esponenti del Pd, disponibili a correggere la riforma Fornero su altri punti ma
non su quello, una maggioranza per modificarlo di nuovo in modo significativo prima dei referendum. Solo in tal caso, infatti, ai sensi dell’art. 39 della legge 352/1970 come modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 68/1978, di fronte a una legge che modifichi i principi ispiratori della complessiva disciplina e i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti, il referendum sarebbe evitabile;
. c) Il fatto che, ai sensi dell’art. 31 della legge 352/1970, non si possa votare un referendum nell’anno delle Politiche ma che esso debba slittare all’anno dopo non è in questo caso un depotenziamento dello stesso, ma anzi una precisa pietra di inciampo per una qualsiasi maggioranza di Governo che, un anno dopo il proprio insediamento, non può certo pensare di reggere dividendosi negli orientamenti di voto su un quesito di così grande significato;
. d) Non si può infatti dimenticare che la riforma di cui si discute fa parte di quel ristretto numero di misure che erano state concordate nel’Eurozona in un quadro di difesa dalla speculazione contro il nostro Paese a partire dalla nota lettera della Bce del 5 agosto 2011 che così recitava: “Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”.
Pertanto, per coerenza, qualsiasi ipotesi  di aiuto condizionato al nostro paese non potrà essere esaminato senza avere anche il mantenimento di questa norma nelle condizioni necessarie.
Dal punto di vista politico questo referendum si presenta pertanto come l’equivalente di una consultazione sul mantenimento del paese nell’Euro-zona. Una coalizione che non abbia un orientamento univoco, sempre che sia riuscita a formarsi e vincere sull’equivoco, non potrebbe comunque sopravvivere alla consultazione. Tutto si può quindi sostenere tranne il negare che le differenze su questo tema non abbiano riflesso sull’esistenza stessa di una coalizione che ambisce al Governo.

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