PURI PURINI: IL TRENO DELL’EUROPA È PARTITO, MA L’ITALIA POLITICA NON SE NE ACCORGE

È URGENTE CHE LE FORZE POLITICHE IMPEGNATE PER LA STRATEGIA EUROPEA DISEGNATA DA MARIO MONTI ENUNCINO IN MODO FORTE E INCISIVO LA PROPRIA DETERMINAZIONE A PERSEGUIRLA ORGOGLIOSAMENTE E SENZA ESITAZIONI ANCHE PER TUTTO IL PROSSIMO DECENNIO

Editoriale di Antonio Puri Purini pubblicato sul Corriere della Sera il 7 novembre 2012 – In argomento v. anche il documento L’Agenda Monti al centro della prossima legislatura, del 10 luglio scorso, e il documento Ichino-Morando Il Pd e l’Agenda Monti presentato all’assemblea del 29 settembre

Mi domando se i partiti italiani si siano accorti che il treno europeo è ripartito. Rispetto alle incertezze dei mesi scorsi, appare chiaro che un’Unione integrata è il solo strumento per uscire dalla crisi finanziaria e dare fiducia ai suoi 500 milioni d’abitanti. Si lavora alacremente a un meccanismo che garantisca la stabilità dell’eurozona (un’unione bancaria, un ministro del Tesoro della zona euro). Sarà un passaggio difficile ma decisivo verso un’Europa veramente unita. Ne seguiranno altri. A giudicare dai comportamenti non pare che abbiano colto questa novità. Dopo la prova di confusione e irresponsabilità espressa dalle elezioni in Sicilia, appare ancora più chiara l’incapacità della politica di proporre un progetto per il Paese. Non bisogna quindi stupirsi se l’Europa, invece di essere protagonista, è assente dal dibattito nazionale. Con l’avvicinarsi delle elezioni diventerà anzi l’obiettivo preferito dei populismi ribaldi della Lega e di Beppe Grillo. A volte si ha l’impressione che l’Italia politica viva come se il mondo esterno non esistesse. Esso incalza invece da vicino. Lo sanno benissimo le industrie del Centro-Nord che possono guardare con fiducia al futuro perché vivono in uno spazio integrato dove la barriera delle Alpi non esiste. La situazione è paradossale. L’Unione Europea costituisce il solo fermo ancoraggio cui può aggrapparsi l’Italia. Eppure viene ancora additata da molti come sorgente dei nostri mali (ad esempio la mancata crescita economica) come se governi, partiti, imprenditori e sindacati non fossero esenti da responsabilità.
Gli italiani sono frastornati. D’altra parte, in cosa possono credere? Nessuno disegna un futuro, nessuno spiega che l’unità europea tutela contro le incognite della globalizzazione. Diventa impossibile proporsi delle mete. Le sfide del presente – cambiamenti climatici, nuove energie, innovazione, immigrazione – dovrebbero essere poste al centro dell’attenzione perché affrontano temi che creano lavoro qualificato e sono fondamentali per il futuro di tutti, soprattutto dei giovani. Vengono invece ignorate o trattate in maniera marginale. In questa maniera, la gente non riconosce il buono che ci circonda e sprofonda nello sconforto.
Qualcuno dovrà pur battersi per portare l’Europa al centro della discussione, smuovere i giovani dalla loro pigrizia, fronteggiare il tema della condivisione della sovranità in coerenza con la posizione storica dell’Italia. Per decenni (governi Berlusconi a parte) l’Italia ha spinto per una maggiore integrazione. Adesso che l’unione politica comincia ad acquisire visibilità non possiamo certo dire che abbiamo scherzato. È quasi impossibile, fatta eccezione per i soliti – ma per fortuna autorevoli – nomi (Giuliano Amato, Mario Monti, Giorgio Napolitano), leggere discorsi articolati sull’Europa di esponenti politici. Mi ha colpito l’intervista rilasciata pochi giorni orsono al Corriere dal candidato della Spd alla cancelleria federale, Peer Steinbrück. Dovrebbe fare riflettere: s’intuisce che conosce bene l’Europa di cui parla con slancio, si capisce che, al di là delle diverse fisionomie politiche, esiste una convergenza europea fra i partiti tedeschi e che il futuro del vecchio continente è al centro di un dibattito politico reale in Germania. Sarebbe ingeneroso ridurlo all’esclusiva ossessione per il rigore di bilancio. Perché l’Italia non dovrebbe essere capace di fare altrettanto?
Un rilancio dell’Europa costituisce anche lo strumento per non lasciarsi prendere dallo sconforto di fronte alla miseria della vita pubblica nazionale. Non dovrebbe essere difficile configurare un duplice e parallelo percorso.
Il governo dovrebbe innanzitutto blindare la propria politica europea attraverso l’illustrazione di una piattaforma di breve e medio termine. Dovrebbe essere basata su punti che abbiano un valore pedagogico: non si torna indietro sulle misure e impegni presi dal governo Monti; la capacità decisionale dell’Unione va rafforzata; la sovranità nazionale ha cessato d’essere una protezione; può essere tutelata solo a livello comunitario; non bisogna temere proposte innovative (fra cui quella tedesca di rafforzare i poteri del commissario agli Affari economici sui bilanci nazionali); non esiste solidarietà senza prestazioni e viceversa; l’Europa crea sviluppo. I partiti che sostengono il governo (con l’aggiunta dei radicali) dovrebbero contestualmente prendere una forte iniziativa europea. Dovrebbe consistere in un solido patto elettorale condensato in un documento incisivo di una pagina (altrimenti si divaga), centrato su pochi argomenti, senza retorica (gli Stati Uniti d’Europa) o fughe in avanti (elezione diretta del presidente della Commissione). Sarebbe l’occasione per dimostrare che l’unità europea è un patrimonio-progetto nazionale. Va attuato con urgenza. Non posso immaginare che i segretari dei partiti accettino di lasciarsi logorare dal risentimento antieuropeo dei movimenti d’opposizione o di parte del Pdl. Dovrebbe essere evidente il vantaggio di buttarsi nella mischia e spiegare ai giovani che l’Europa rappresenta un’opportunità per tutti. Una proposta comune eleverebbe il profilo dei promotori, piacerebbe a Bruxelles, spiazzerebbe le opposizioni. Indicherebbe soprattutto la volontà di creare un consenso bipartisan sulla politica europea. Quale migliore segnale di ritorno alla grande politica di cui l’Italia ha vitale bisogno?
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