MARIO BARBI: IL MIO VOTO A RENZI

TRE MOTIVI SERI PER CUI I PRODIANI DOC VOTERANNO ALLE PRIMARIE PER IL SINDACO DI FIRENZE, PUR CON ALCUNE RISERVE E ALCUNI INTERROGATIVI IRRISOLTI

Dichiarazione pubblica di voto di Mario Barbi, deputato Pd, 14 novembre 2012

Le primarie consentono un confronto utile e necessario. Creano un senso di appartenenza e di condivisione. Lo abbiamo visto l’altra sera su Sky, nonostante il format rigido e il respiro corto sulle grandi questioni del paese. Se le primarie si fanno lo dobbiamo alla sfida che Renzi ha lanciato a Bersani, svolgendo oggettivamente una positiva funzione sistemica: sì, perché le primarie richiamano una certa idea di democrazia dei cittadini e di sistema politico bipolare. Se queste primarie sono limitate alla “piccola coalizione” che evoca la sinistra storica social-comunista  lo dobbiamo invece a Bersani e alle scelte pro-ditta dell’attuale gruppo dirigente del Pd. Se queste primarie, convocate per scegliere il candidato-premier del “centrosinistra”, potrebbero però non deciderlo è a causa della politica della segreteria di Bersani che ha assecondato la formazione di un quadro politico post-bipolare, frantumato e  “organizzato” da una legge elettorale in fieri di tipo proporzionale e “grecizzante”. Se poi Bersani si presenta alle primarie come Segretario candidato per conto e in nome della “ditta”, e pressoché tutto l’apparato sta con lui, lo dobbiamo alla concezione del partito che è riuscito a promuovere e al blocco “doroteo” che lo sostiene. Questo riconoscimento del ruolo sistemico di Renzi, in contro-tendenza rispetto alla cultura politica del conformismo bersaniano, è già un motivo per me sufficiente a votarlo. Tuttavia, non nascondo che mi sarei aspettato che Renzi avesse fatto qualcosa di più per promuovere una diversa e più larga idea di coalizione così come per ottenere la neutralità dell’apparato (regole delle primarie). Mi sarei aspettato anche una “battaglia ideologica” più consapevole sull’identità “democratica” del Pd (da non ridursi e non riducibile a quella della sinistra storica), e comunque radicata nell’orizzonte post-novecentesco delle giovani generazioni del dopo guerra fredda. Ma nonostante quelli che a me appaiono come alcuni limiti, considero la campagna di Renzi come l’espressione positiva di una rete di soggettività culturali, sociali e amministrative che resiste al fatto compiuto della definitiva trasfigurazione del Pd in partito della vecchia sinistra italiana e che è piuttosto impegnata a tenere aperta la prospettiva di un largo campo democratico necessario per la modernizzazione politica e istituzionale del Paese. In questa sfida, Renzi ha però un serio svantaggio competitivo rispetto a Bersani che, come segretario del Pd, ha la possibilità di determinare fatti e condizioni politiche che sono volte ad accreditare la sua strategia come unica possibile (alleanza “progressisti” e “moderati” in un sistema parlamentare). Nell’opporsi a questa strategia, rifiutando l’alleanza con Casini o evocando un sistema elettorale maggioritario, Renzi non può che apparire sulla difensiva e giocare di rimessa: ha subito la definizione della coalizione e non ha prospettato con chiarezza una sua diversa idea di centrosinistra; quando è chiamato a esprimersi sulle alleanze se la cava rifugiandosi nell’idea della vocazione maggioritaria o di auto-sufficienza del Pd per la quale mancano sia le basi di consenso che le condizioni istituzionali. Forse bisognerebbe avere avuto la capacità, che non ho colto, di proporre con la necessaria enfasi e drammaticità l’urgenza di un cambio di sistema (che vuole dire una profonda riforma costituzionale). Sul programma di governo – che pure resta, nell’imponderabilità del quadro elettorale-istituzionale di riferimento, il formale oggetto di confronto delle primarie – la campagna in corso non ha sciolto i dubbi che avevo già avuto modo di formulare in una lettera a Renzi qualche settimana fa. Il dibattito ha reso tuttavia più netta e chiara, e a mio avviso positivamente, la presa di distanza di Renzi dal governo Monti: come si fa, si è chiesto per esempio il sindaco di Firenze, ad aspettarsi che la “riforma della burocrazia” possa essere fatta dai “tecniconi” di Monti che di quella burocrazia da rivoluzionare sono espressione e rappresentanti? Interrogativo che potrebbe essere esteso ad altri settori. Resta dunque sul piano programmatico un impianto innovativo con spunti interessanti (risparmi di spesa pubblica, aumento dei redditi da lavoro, alienazione del patrimonio pubblico non strategico…), ma con alcuni buchi neri e risposte insufficienti sulle due effettive emergenze del paese (debito pubblico e pressione fiscale) e sulla capacità di immaginare un modo per sciogliere il groviglio micidiale di un debito insostenibile e di una pressione fiscale crescente. Quei buchi neri non sono una prerogativa del solo Renzi, il quale ha invece dalla sua la consapevolezza che non siamo in una condizione in cui la ripresa arriverà con un aumento della spesa pubblica né che l’occupazione ripartirà grazie al ripristino dell’articolo 18. Quindi, in definitiva, voto Renzi per tre ragioni: 1. per il coraggio e l’energia di cui ha dato prova nell’imporre  al centrosinistra le primarie e l’inizio di un pubblico confronto sul programma di governo; 2. perché la sua iniziativa tiene aperta l’idea di un campo democratico più largo della sinistra storica e non subalterno alla sua cultura politica e  alla sua storiografia; 3. perché fa avanzare la consapevolezza di un rinnovamento necessario, generazionale certo ma soprattutto politico, anche se lo fa con un termine rozzo come rottamazione e lisciando il pelo in modo assai antipatico a pulsioni qualunquistiche che usano e abusano di termini sommari e indistinti quali “casta” e “politica”. Allo stesso tempo, non riconosco (ancora?) in Renzi la capacità di avanzare una proposta politica compiuta e di suscitare una speranza corrispondente alla difficoltà dei tempi e che per me ebbero, in tempi non remoti, l’Ulivo e la Casa dei riformisti di Prodi. Credo che di un nuovo Prodi, di un Prodi davvero prodiano, ci sarà di nuovo bisogno. Ecco, è in questo contesto che io vedo la battaglia di Renzi nelle primarie, una battaglia difficilissima da vincere ma che non sarebbe comunque persa se servisse a fare maturare la prospettiva di una riforma profonda radicale della Repubblica e se non si riducesse alla nascita di una nuova corrente del Pd (l’ala destra) che si accontenta di posti  e che prelude a nuove consociazioni di partito e/o di governo.

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