PERCHÉ DIMINUISCONO LE ISCRIZIONI ALL’UNIVERSITÀ

IL CALO DELLE IMMATRICOLAZIONI NEGLI ATENEI È UN EFFETTO DELLA RECESSIONE ECONOMICA E A SUA VOLTA IMPOVERIRÀ IL PAESE – COME POSSIAMO TORNARE A INVESTIRE EFFICACEMENTE SULLA NOSTRA ISTRUZIONE SUPERIORE

Articolo di Pietro Ichino e Daniele Terlizzese pubblicato sul Corriere della Sera il 1° febbraio 2013

Nonostante il Paese non cresca da vent’anni e da cinque sia entrato in una profonda recessione, laurearsi in Italia ancora conviene rispetto all’alternativa di fermarsi al diploma. Secondo l’Istat, i maschi tra i 30 e i 64 anni guadagnavano il 26% in più dei diplomati nel 2008 e addirittura il 29% in più nel 2011. Per le donne la differenza è inferiore, ma comunque rilevante (21%). Il beneficio di una laurea si estende anche alla probabilità di trovare lavoro: il tasso di occupazione per i laureati è stato pari a circa il 91% in questi anni, contro l’86% per i diplomati (le cifre corrispondenti per le donne sono 81% e 67%). Questi vantaggi non sono solo un ricordo del passato e valgono anche per le nuove generazioni: se confrontiamo i giovani laureati e diplomati che sono entrati da poco nel mondo del lavoro, il vantaggio relativo dei primi sui secondi è analogo a quello degli adulti, sia in termini di retribuzione sia di accesso a un lavoro. Al netto dei costi, le stime più attendibili (Cingano e Cipollone 2009, Banca d’Italia), mostrano che il rendimento del capitale per laurearsi è circa pari al 10%, molto maggiore del rendimento di un portafoglio medio di azioni e obbligazioni (3.6%). L’OCSE ottiene stime di poco inferiori.
Perchè allora sono calati del 17% gli studenti immatricolati nelle università italiane? Forse perchè conseguire una laurea è un investimento più rischioso che fermarsi al diploma: conviene in media, ma se si è avversi al rischio, l’incertezza frena l’investimento. Poiché tutti i dati mostrano che l’avversione al rischio aumenta nelle recessioni, soprattutto ai livelli più bassi di reddito, questo potrebbe spiegare, crediamo, il calo delle iscrizioni.
È certamente un danno per il Paese, perché gli studi universitari oggi non intrapresi avrebbero prodotto un beneficio che invece va perso. Se potessimo ridurne il rischio, o almeno assicurare chi non vuole correrlo, aumenterebbe il benessere dei cittadini: grazie alla laurea, avrebbero un futuro migliore.
Sarebbe però sbagliato concludere che la soluzione sia aumentare indiscriminatamente il numero dei laureati, con borse di studio a fondo perduto, per finanziare l’accesso di qualunque liceale agli atenei di cui oggi dispone il Paese. La nostra stessa Costituzione (art. 34) riserva il diritto di «raggiungere i gradi più alti degli studi» ai «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi». È una qualificazione importante e spesso trascurata: non per tutti, solo per i capaci e meritevoli.
Servono quindi strumenti che assicurino i migliori studenti contro i rischi dell’investimento in una laurea: li possiamo chiamare “borse di studio restituibili” che i giovani di talento dovranno rendere, una volta laureati, solo se avranno raggiunto un reddito sufficientemente alto e in proporzione alla parte di reddito che ecceda una certa soglia. Senza quindi rischi di insolvenza, a differenza di quel che invece accade per un mutuo. Alcuni di loro non riusciranno a restituire tutto (e non sarà un problema), ma il successo della maggior parte degli altri basterà a rendere l’operazione finanziariamente sostenibile, proprio perché la laurea è, in media, un investimento redditizio. Se uno studente grazie alla laurea diventa un professionista ben pagato, perché non dovrebbe restituire ciò che la collettività gli ha dato per prepararsi a una brillante carriera?
Mettere i migliori studenti nelle condizioni di scegliere l’università che preferiscono, con poco rischio, ha anche il vantaggio di affiancare un meccanismo di mercato alle procedure di valutazione centralizzata dell’ANVUR. Può contribuire a indirizzare maggiori risorse verso le migliori università, quelle che possono davvero consentire i benefici maggiori. Per questo bisogna consentire agli atenei che vogliono accogliere questi giovani di aumentare le rette universitarie e concedere loro completa autonomia per costruire una proposta educativa davvero eccellente.
Rischia invece di essere poco produttivo ammettere oggi, in atenei che spesso arrancano, molti studenti non adeguatamente addestrati da una scuola che ha difficoltà a preparare il terreno su cui l’insegnamento universitario deve seminare. Queste aree di parcheggio, in cui studenti svogliati attendono un’offerta di lavoro, producono, nella migliore delle ipotesi, il fenomeno della over-education: giovani che hanno conseguito titoli di puro valore legale, per svolgere compiti per i quali basterebbero qualifiche inferiori. Senza contare poi che aver aumentato il numero di studenti universitari, assimilando gli atenei ai licei, ha richiesto la proliferazione di master e dottorati, che svolgono oggi le funzioni di una laurea del passato, al costo di tenere forse troppo a lungo i giovani fuori dal sistema produttivo.
Sembra invece più efficace concentrare le risorse dove meglio possono dare buoni frutti: e poi con la torta prodotta da quelle risorse potremo redistribuire e finanziare anche il resto.
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