LETTERA 43: CORREGGERE E COMPLETARE LA RIFORMA FORNERO

È POSSIBILE, ANCHE IN TEMPI BREVI, PURCHÉ LA NUOVA MAGGIORANZA DECIDA LA DIREZIONE IN CUI INTENDE MUOVERSI – LA MIA PROPOSTA VA IN DIREZIONE DI UN DIRITTO DEL LAVORO PIÙ SEMPLICE, MENO RIGIDO E MENO COSTOSO PER L’IMPRESA, MA CAPACE DI DARE MAGGIORE SICUREZZA ALLE PERSONE CHE LAVORANO

Intervista a cura di Antonietta Demurtas pubblicata su Lettera43.it il 4 maggio 2013

Dal premier Letta al neo ministro del Lavoro Giovannini, sino a Brunetta, tutti hanno parlato di rigidità della riforma definendola “Una legge in cui ci sono alcuni punti che in una fase recessiva stanno creando dei problemi”, ha detto Letta in conferenza stampa a Parigi.
La riforma Fornero «è stata disegnata in modo molto coerente per una economia in crescita, ma puo avere problemi per una economia in recessione. Bisogna capire cosa modificare, ma il mercato del lavoro ha bisogno di stabilita delle regole”, ha detto Giovannini.
 
Professore Ichino, le chiedo un contributo alla discussione: secondo lei è giusto apportare delle modifiche?
Ci sono alcuni errori da correggere nelle norme di contrasto al precariato; ma soprattutto la riforma va completata, mettendo a disposizione di imprese e lavoratori un rapporto di lavoro dipendente meno costoso – a parità di retribuzione oraria – e meno rigido, meno soffocato dalla bardatura normativa che oggi grava su tutti i rapporti di lavoro subordinato.

Insomma che cosa si è sbagliato?
Si è sbagliato nel fare le cose a metà: si sono poste soltanto le norme di contrasto al precariato, senza predisporre un rapporto di lavoro dipendente regolare che potesse essere utilizzato per le centinaia di migliaia di collaborazioni continuative autonome fasulle, senza choc di costi e di rigidità per le imprese. Intendiamoci: la modifica dell’articolo 18 non è affatto acqua fresca, la disciplina dei licenziamenti è cambiata per davvero. Ma questa riscrittura dell’articolo 18 non basta certo per consentire la migrazione di centinaia di migliaia di collaborazioni autonome nell’area del lavoro subordinato senza perdita di posti.

Può indicarmi quali sono i cambiamenti che si possono fare alla riforma?
Occorre innanzitutto ridurre drasticamente il cuneo fiscale e contributivo che fa sì che il costo del lavoro per l’azienda sia doppio rispetto alla retribuzione netta che il lavoratore percepisce. Poi occorre consentire che per i primi due o tre anni il rapporto si risolva senza controlli giudiziali sul motivo e con un costo di separazione basso per l’impresa, facendo poi crescere gradualmente questo costo negli anni successivi. Solo così si può ottenere che il contratto a tempo indeterminato torni a diventare la regola, invece che l’eccezione. Io propongo anche una nuova disciplina del contratto a termine, che sostanzialmente lo liberalizza entro i primi tre anni di durata del rapporto, ma lo equipara a quello a tempo indeterminato per quel che riguarda il costo di separazione.

Come si possono fare, ovvero modi e tempi?
Ho presentato, con gli altri senatori di Scelta Civica, un disegno di legge che contiene tutte queste nuove norme, proponendole non come riforma generale della materia, ma come oggetto di sperimentazione che può essere attivata dall’impresa ma non è obbligatoria. I tempi dell’iter parlamentare potrebbero anche essere molto brevi, se il nuovo ministro del Lavoro decidesse di far sua questa proposta.
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