L’INGANNO DELLA CASSA INTEGRAZIONE IN DEROGA

DOBBIAMO VOLTAR PAGINA RISPETTO A UN MODO PROFONDAMENTE SBAGLIATO DI AFFRONTARE LE CRISI OCCUPAZIONALI AZIENDALI

Intervento svolto nella sessione pomeridiana del Senato del 16 luglio 2013, nella discussione generale sulla conversione in legge del decreto-legge n. 54/2013 – In argomento v. anche gli interventi di Maurizio Sacconi, Anna Cinzia Bonfrisco, del Governo e miei, estratti dal resoconto stenografico della sessione antimeridiana del Senato del 17 luglio 2013, il commento di Mario Monti sulla sua pagina facebook dello stesso giorno e l’articolo di Italia Oggi pubblicato in data odierna

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Signor Presidente, Sottosegretario, Colleghi,
per ragione di competenza personale non intervengo sulla parte fiscale di questo decreto-legge. Sulla quale mi limito a proporre un’osservazione elementare: per rimettere in moto un’economia soffocata dal debito pubblico e dalla pressione fiscale, logica vorrebbe che si destinino le risorse pubbliche disponibili prioritariamente alla riduzione delle imposte su chi produce, dunque su lavoro e impresa (Irpef e Irap), in secondo luogo su chi consuma (Iva), e solo in terzo luogo su chi possiede (Imu). L’auspicio di Scelta Civica e mio è che a queste priorità – sia pure con i compromessi che le promesse elettorali di un partito della maggioranza impongono – si ispiri l’azione del Governo nelle prossime settimane e mesi.
Quanto alla parte del decreto dedicata al lavoro, il suo contenuto più rilevante è costituito dal rifinanziamento della cosiddetta “Cassa integrazione in deroga”, essendo altre misure sul mercato del lavoro rinviate al decreto-legge n. 76, la cui discussione è incominciata oggi in Commissione. Sulla Cassa integrazione in deroga abbiamo sentito questa mattina il Relatore Maurizio Sacconi dire che essa ha la funzione di “garantire la continuità del legame tra il lavoratore e l’azienda” nelle situazioni di crisi temporanea nelle quali il lavoro deve essere sospeso. Se davvero la Cassa integrazione venisse utilizzata – almeno nella maggioranza dei casi – per questo scopo, essa svolgerebbe soltanto una funzione utile per evitare che gli shock passeggeri producano la dispersione di capacità professionali, la chiusura di aziende ancora vitali. Il fatto è, però, che nel nostro Paese, nonostante le norme legislative che imporrebbero di utilizzare la Cassa integrazione soltanto per questa finalità, questo strumento viene attivato sistematicamente anche in situazioni nelle quali è certo ed evidente che i lavoratori interessati non riprenderanno mai il lavoro nell’impresa da cui formalmente ancora dipendono. Quando questo accade, quando cioè la Cassa integrazione viene utilizzata per differire il problema fingendo che il rapporto di lavoro prosegua, ovvero nascondendo una situazione di sostanziale disoccupazione, non si fa soltanto un cattivo uso di questo strumento, ma si produce anche un danno grave al lavoratore interessato: lo si tiene, infatti, legato all’azienda di origine, inducendolo a non attivarsi per la ricerca di una nuova occupazione e causando un allungamento del suo periodo di inattività che a sua volta produce una progressiva riduzione della collocabilità effettiva del lavoratore stesso.
Ora, la possibilità introdotta cinque anni or sono di erogare la Cassa integrazione anche “in deroga”, cioè in assenza dei requisiti normalmente applicabili per legge, ha sostanzialmente favorito una ulteriore diffusione del cattivo uso di questo ammortizzatore sociale, in situazioni nelle quali avrebbe dovuto essere invece attivato il trattamento di mobilità o di disoccupazione. Lo stesso relatore Sacconi questa mattina ci ha detto che in molti casi l’integrazione salariale in deroga è stata erogata a persone che erano già “sospese” dal lavoro da più di cinque anni; in realtà, l’Inps ci ha recentemente fornito una tabella dalla quale risulta che la Cig in deroga è stata diffusamente erogata anche in situazioni in cui le prestazioni di lavoro erano cessate da oltre sei, sette, otto, nove, dieci anni e oltre! Tutte situazioni, queste, in cui nessuno può ragionevolmente pensare che esista la pur minima probabilità di una ripresa del lavoro nella stessa azienda, alla quale il lavoratore è stato mantenuto fittiziamente legato per periodi così lunghi.
La verità è che il concetto stesso di “Cassa integrazione in deroga” è intrinsecamente in contraddizione con quello di “previdenza”. Il termine “previdenza” indica la sicurezza che deriva dalla prevedibilità di un trattamento; l’integrazione “in deroga”, invece, è una cosa per definizione imprevedibile: dipende dalla discrezionalità piena dell’assessore regionale di turno.
La Cassa integrazione “in deroga” poteva considerarsi un provvedimento eccezionale, e come tale appropriato, all’indomani del fallimento di Lehman Brothers, cioè nell’immediatezza della gravissima emergenza dello scoppio della grande crisi; ma a cinque anni di distanza non può più essere questo il modo in cui si affronta questo problema. La legge Fornero del luglio 2012 indica il modo giusto in cui il problema deve essere affrontato: quello, innanzitutto, di chiamare le cose con il loro nome. E trattare le situazioni di disoccupazione con gli strumenti appropriati. Quella legge – oltre a ricondurre, in prospettiva, la Cassa integrazione alla sua funzione essenziale – ha istituito un trattamento di disoccupazione universale di livello europeo, l’ASpI, che eroga il 75 per cento dell’ultima retribuzione, in combinazione con gli interventi necessari per il reperimento della nuova occupazione, e sotto condizione della disponibilità effettiva del lavoratore interessato. Le risorse di cui disponiamo dovrebbero essere destinate semmai ad allargare il possibile campo di azione di questo strumento, non della Cassa integrazione, se vogliamo evitare davvero che i nostri lavoratori coinvolti in crisi occupazionali siano destinati a restare per sette, otto o dieci anni “congelati” nel freezer di un trattamento che non ricolloca e non può per sua natura ricollocare nessuno!
Nel nostro emendamento 4.20 noi proponiamo che almeno un terzo delle risorse disponibili siano destinate a questo uso, visto che certamente non meno di un terzo dei casi oggi coperti dalla Cassa in deroga – anzi, probabilmente molti di più – sono casi di effettiva disoccupazione. Non comprendiamo il motivo per cui la Commissione Bilancio ha ritenuto di bocciare questo emendamento, che non comporta ovviamente alcun onere aggiuntivo per l’Erario. Se questo emendamento deve essere ritirato per esigenze di sollecito varo della legge di conversione, con questa motivazione siamo disponibili a ritirarlo; ma chiediamo che il Governo si impegni a muovere al più presto nella direzione che quell’emendamento e il buon senso indicano. Per voltar pagina rispetto a un modo profondamente sbagliato di affrontare le crisi occupazionali, che ha già fatto fin troppi danni al nostro Paese.

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