STORIA DI UN EMENDAMENTO

SECONDO I DIRIGENTI DEL PD NON SAREBBE AMMISSIBILE NEPPURE IN VIA SPERIMENTALE UNA FORMA DI COMPLEMENTARIETÀ TRA PUBBLICO E PRIVATO NEI SERVIZI PER L’IMPIEGO, ALLO SCOPO DI FAVORIRE IL REINSERIMENTO DEI DISOCCUPATI NEL TESSUTO PRODUTTIVO ATTRAVERSO IL “CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE”

Appunti su di una vicenda parlamentare di questi giorni – 21 novembre 2013

24 settembre 2013 – Pranzo al ristorante di Montecitorio con il sottosegretario al Lavoro Carlo Dell’Aringa per discutere con lui di un progetto che ho elaborato nel corso dell’estate, tendente a consentire la sperimentazione da parte delle Regioni del “contratto di ricollocazione”: uno strumento modellato sulle migliori esperienze nord-europee, volto a coniugare efficacemente le c.d. politiche passive del lavoro (erogazione del sostegno del reddito) con le politiche attive (inserimento effettivo nel tessuto produttivo), attraverso un meccanismo che garantisca la condizionalità del sussidio erogato (quella condizionalità che in Italia non ha mai funzionato; e il cui difetto è la causa principale della nostra incapacità di coniugare efficacemente politiche passive e politiche attive del lavoro). Il sottosegretario mi espone la sua preoccupazione che il progetto, prevedendo l’attivazione mediante voucher erogati dalla regione delle agenzie di outplacement private, possa tradursi in una mortificazione del ruolo dei Centri (pubblici) per l’Impiego gestiti dalla stessa Regione o Provincia; mi sembra tuttavia che anche Dell’Aringa concordi sul fatto che nessun Centro per l’Impiego è attrezzato per questo servizio di assistenza intensiva (tutt’altra cosa rispetto al puro e semplice servizio di collocamento tradizionale); viceversa, l’esperimento consente di fare del servizio pubblico uno snodo molto importante del nuovo sistema, attribuendogli il ruolo di one stop shop, di informazione e orientamento per gli utenti (essenziale per la buona scelta da parte loro dell’agenzia di cui avvalersi tra quelle accreditate), di classificazione degli stessi per grado di collocabilità (dal quale dipende l’entità del voucher), di garanzia di trasparenza e di monitoraggio circa il successo dell’operazione (dal quale dipende il pagamento all’agenzia del voucher, che si configura come un success fee). D’altra parte, in Italia le politiche passive del lavoro sono di competenza legislativa e amministrativa dello Stato, mentre quelle attive sono di competenza regionale; occorre uno strumento che consenta di coordinarle efficacemente, e il contratto di ricollocazione è proprio questo.

25 settembre – Insieme a diversi senatori di SC, PD e SVP, presento l’emendamento 3.0.301, aggiuntivo all’art. 3 del d.-l. 31 agosto 2013 n. 101 (c.d. “decreto stabilizzazione precari delle amministrazioni pubbliche”), tendente a consentire l’esperimento regionale del “contratto di ricollocazione. L’idea è che questo strumento possa consentire anche di offrire ai precari delle p.a. prospettive occupazionali assai più interessanti, rispetto alla prospettiva improbabile dell’immissione in ruolo nel settore pubblico.

2 ottobre – Intervengo in Aula nella discussione generale sulla conversione in legge del decreto, illustrando tra l’altro il senso dell’emendamento. Il mio intervento suscita qualche interesse e fa sì che si aggiungano altre firme sull’emendamento.

3 ottobre – Mi telefona il ministro del Lavoro Giovannini, che in quei giorni si trova in America, per dirmi che condivide nella sostanza il contenuto del mio emendamento, ma anche per spiegarmi i motivi per cui è opportuno che io lo ritiri: una norma così importante in materia di servizi per l’impiego non deve essere inserita in un decreto sulle amministrazioni pubbliche. Il ministro si impegna comunque a introdurre questa norma innovativa in un disegno di legge apposito per la sperimentazione in materia di lavoro, o al più tardi nella legge di stabilità, che verrà presentata entro un mese. Concordiamo dunque che il Governo mi chiederà in Aula di ritirare l’emendamento, contestualmente approvando un ordine del giorno nel quale sarà sancito l’impegno di cui sopra.

10 ottobre – Nel corso dell’esame degli articoli e degli emendamenti, secondo quanto concordato, il Governo mi chiede di ritirare l’emendamento 3.0.301, che viene trasformato in un ordine del giorno con pari numero, che “impegna il Governo a promuovere l’emanazione di una norma che disponga…” esattamente quanto contenuto nell’emendamento.

30 ottobre – Nel disegno di legge di stabilità, presentato dal Governo al Senato, non c’è alcun accenno ad alcuna misura di politica attiva. Compare soltanto, nell’articolo 7, uno stanziamento di 600 milioni per il rifinanziamento della Cassa integrazione guadagni in deroga, e uno di 100 milioni per l’assistenza (sotto forma di “lavori socialmente utili) ai disoccupati di Napoli e di Palermo: solo politiche del lavoro passive, assistenzialismo vecchia maniera.

7 novembre – Presento di nuovo – insieme agli stessi firmatari SC, PD, SVP del primo emendamento, ai quali si aggiunge ora una senatrice del M5S – l’emendamento per l’esperimento regionale del “contratto di ricollocazione”, questa volta come articolo aggiuntivo all’articolo 7 della legge di stabilità. L’emendamento prevede che dei 700 milioni originariamente stanziati per le politiche passive 200 vengano destinati invece al finanziamento e sostegno di questo esperimento di politica attiva. Un modo per incominciare a dare attuazione all’impegno che l’Italia ha assunto con l’UE di spostare risorse dalle politiche passive del lavoro alle politiche attive.

19 novembre – Parlo per telefono con il ministro del Lavoro Giovannini, il quale è molto scettico circa la possibilità di spostare 200 milioni di euro dalle politiche passive del lavoro a questa forma di politica attiva. Gli propongo dunque di ridurre lo spostamento di risorse a un decimo di quanto avevamo chiesto originariamente: 20 soli milioni; vuol dire che le Regioni interessate all’esperimento dovranno arrangiarsi a trovare le risorse riqualificando la propria spesa in questo settore. Il ministro si convince della bontà della soluzione e mi invita a inviargli il nuovo testo dell’emendamento. Cosa che faccio immediatamente.

20 novembre, h. 9 – Parlo di nuovo con il ministro Giovannini, che ha ricevuto il testo corretto dell’emendamento e si dice convinto non solo della praticabilità della soluzione concordata, ma anche della bontà dell’emendamento: conveniamo sul punto che il “contratto di ricollocazione” può divenire un capitolo importante, dove l’esperimento verrà attivato, anche nel contesto del programma per l’occupazione giovanile Youth Guarantee.

20 novembre, h. 13 – Mi telefona lo stesso ministro Giovannini, dicendo che il PD oppone difficoltà insormontabili anche allo stanziamento di 20 milioni per l’esperimento regionale del contratto di ricollocazione. Gli propongo di dividerlo ancora una volta per dieci: 2 milioni, pur di non perdere l’opportunità di facilitare, con l’emanazione delle linee guida nazionali dell’esperimento, le Regioni e Provincie autonome – tra le quali Trento, Bolzano, il Friuli e il Lazio – che sono interessate a farlo partire al più presto. Ma il ministro mi dice che non c’è neppure la disponibilità per 2 milioni. E aggiunge che, in realtà, l’opposizione a questo esperimento si esprime in questa obiezione: “Se ci sono risorse disponibili, queste non devono essere destinate ai servizi offerti da imprese private, ma devono essere investite per rendere più efficienti i Centri per l’Impiego”. Gli faccio osservare che il progetto non esclude affatto che il disoccupato possa spendere il voucher  presso un servizio di outplacement in ipotesi gestito direttamente da un Centro per l’Impiego, se questo è effettivamente competitivo; ma non lo smuovo. Gli ricordo l’impegno assunto con l’ordine del giorno del 10 ottobre; mi risponde che nel prossimo futuro, forse…

20 novembre, h. 15.30 – Sono in Commissione Lavoro, dove si discute della conversione in legge del nuovo d.-l. 31 ottobre 2013 n. 126, recante “misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali ed interventi localizzati nel territorio”. Tra queste misure ne compare una – articolo 2, comma 17 – che consiste nell’aumento da 11.700.000 euro a 13.000.000 del finanziamento a fondo perduto di Italia Lavoro, un “ente strumentale” controllato al 100 per cento dallo Stato, il quale peraltro si fa pagare lautamente dalle Regioni per servizi di consulenza in molti casi di assai dubbia efficacia. Chiedo conto al Governo, rappresentato in questa occasione dal sottosegretario Dell’Aringa, di questo stanziamento davvero molto generoso, in rapporto ai risultati fin qui prodotti dall’attività di Italia Lavoro; il sottosegretario risponde che lo stanziamento non solo va mantenuto, ma va aumentato in funzione delle nuove politiche attive del lavoro e in particolare per il programma Youth Guarantee. (Il mio intervento e quello di numerosi altri membri della Commissione porterà in via di compromesso a un voto di maggioranza nel senso della riduzione dell0 stanziamento a 12 milioni.)

20 novembre, h. 16 – In una pausa dei lavori della Commissione mi intrattengo con il sottosegretario Dell’Aringa, chiedendogli il motivo per cui il Governo allarga generosamente i cordoni della borsa per finanziare Italia Lavoro, senza alcuna verifica della produttività di questa spesa, ma non è disposto a investire neppure un euro sull’esperimento del “contratto di ricollocazione”, sul quale diverse Regioni e Provincie autonome hanno manifestato grande interesse; gli faccio osservare che non si tratta di una “riforma”, con la pretesa di determinare il nuovo assetto dei servizi per l’impiego, ma soltanto di un esperimento facoltativo e limitato. Il sottosegretario mi risponde che questo progetto “urta diverse sensibilità”, in particolare quelle di chi (nel PD, ma è una “sensibilità” che il sottosegretario stesso mostra di condividere personalmente) non accetta che si destinino risorse pubbliche per servizi gestiti da imprese private. Insomma, non se ne fa nulla perché quella parte del PD, e con essa il sottosegretario, non vogliono. Dopo trent’anni di chiacchiere totalmente improduttive sulla riqualificazione dei servizi per l’impiego, non è dunque consentito neppure sperimentare un modo nuovo di servire i lavoratori e le imprese nel mercato.

20 novembre, h. 19 – Le agenzie danno notizia che in Commissione Bilancio del Senato lo stanziamento per i “lavori socialmente utili” di Napoli e Palermo è stato aumentato a 110 milioni.

21 novembre, h. 9 – Leggo sui giornali che ieri il commissario straordinario per la spending review Cottarelli ha accennato alla necessità di un meccanismo capace di riqualificare i dipendenti degli uffici pubblici destinati a essere chiusi, in funzione della mobilità verso il tessuto produttivo generale, con garanzia di continuità professionale e di reddito: l’allusione al contratto di ricollocazione è trasparente. E incomincio a capire da dove nasce l’ostilità all’emendamento che questo prevede.

Fatto sta che nella legge di stabilità non si destina un solo euro alle politiche attive del lavoro; non si cambia di un millimetro lo schema seguito fin qui, della distribuzione ai disoccupati di soldi a pioggia senza alcuna condizionalità né alcun costrutto. Poi ci lamentiamo perché la Commissione Europea denuncia il nostro ritardo nelle riforme sulle quali ci siamo impegnati.

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