DAL MINISTERO UN RAPPORTO CHE NON RISPONDE ALLE DOMANDE SULLA LEGGE FORNERO

IL DOCUMENTO FORNISCE SOLTANTO QUALCHE TABELLA CON I DATI SU ASSUNZIONI E CESSAZIONI DEI RAPPORTI DI LAVORO, SENZA ALCUN APPROFONDIMENTO METODOLOGICAMENTE CORRETTO CIRCA GLI EFFETTI PRODOTTI DALLA RIFORMA E NEPPURE UNA PRIMA VALUTAZIONE CRITICA, UN PRIMO SIA PURE APPROSSIMATIVO BILANCIO

Commento al documento Il primo anno di applicazione della legge 92/2012diffuso dal Ministero del Lavoro il 23 gennaio 2014.

Secondo quanto la stessa legge 28 giugno 2012 aveva promesso, ci si sarebbe potuti e dovuti attendere un documento contenente non solo i dati inerenti all’applicazione effettiva della nuova normativa e ai suoi effetti, ma anche una loro lettura metodologicamente corretta e almeno una valutazione iniziale sul piano della politica del lavoro. Come ha fatto la Spagna in riferimento alla propria riforma del lavoro di un anno fa.

Invece il rapporto presentato dal nostro Ministero del Lavoro omette, innanzitutto, di fornire alcuni dati di importanza cruciale, tra i quali quelli relativi
– all’impatto della legge sulla distribuzione del flusso dei nuovi contratti di lavoro tra i vari tipi contrattuali;
– alla sostituzione o no dei licenziamenti collettivi con quelli individuali per motivo oggettivo: si può ritenere che una qualche sostituzione si sia verificata o no? in quale misura?
– all’esito delle procedure di conciliazione attivate davanti alle DPL in materia di licenziamenti: quante hanno dato esito positivo? a quanto è ammontata la transazione, in rapporto all’entità dell’ultima retribuzione e all’anzianità di servizio?
– all’impatto della riforma processuale sui procedimenti giudiziali in materia di licenziamenti: c’è stato aumento o diminuzione delle impugnazioni giudiziali, in riferimento ai licenziamenti disciplinari e a quelli non disciplinari? la durata complessiva dei procedimenti è diminuita o aumentata? in quanti casi la fase di cognizione sommaria è stata seguita da impugnazione e giudizio di merito? quale il tasso di coerenza tra gli esiti del giudizio sommario istituito dalla nuova legge e quelli dei gradi successivi? quante, tra le sentenze favorevoli al lavoratore, hanno disposto il solo indennizzo e quante la reintegrazione?
Immagino l’obiezione: per rilevare tutti questi dati e poterli poi elaborare sarebbe stato necessario che venissero date disposizioni per la loro registrazione alla fonte (esattamente come si fa per le comunicazioni obbligatorie relative alla costituzione dei rapporti di lavoro); e questo purtroppo non è stato fatto all’indomani dell’entrata in vigore della legge. D’accordo: è stata un’omissione grave. Ma essa è stata rilevata fin dall’avvio del nuovo Governo (ricordo di averne parlato personalmente con il ministro poco dopo il suo insediamento); perché non  si è fatto il necessario neppure nell’ultimo anno? A che cosa è servito che la titolarità del dicastero sia stata assunta proprio da un grande esperto di statistica come Enrico Giovannini, in precedenza presidente dell’Istat, se neppure lui è riuscito a ottenere che il monitoraggio delle politiche del lavoro venisse impostato in modo corretto e congruo rispetto all’obiettivo di conoscibilità e valutabilità dei risultati, fissato dalla stessa nuova legge?

In questo documento governativo, poi, manca del tutto qualsiasi valutazione dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi: neppure una riga! Nell’Introduzione leggiamo un resoconto delle misure legislative e amministrative adottate dal nuovo Governo, con un paragrafo conclusivo su “Le priorità per i prossimi mesi: aumentare l’occupabilità delle persone e l’efficienza del mercato del lavoro per far crescere l’occupazione” (qualcuno poteva pensare che il ministero si proponesse qualche cosa di diverso?), ma senza una sola proposizione che contenga un giudizio sul primo anno di applicazione della nuova legge. La cosa più stupefacente è che  l’Introduzione si conclude così: “L’impegno… è quello di  contribuire a realizzare questi obiettivi, anche mettendo a disposizione della collettività le informazioni necessarie a giudicare l’efficacia delle politiche intraprese. A ciò serve il Sistema permanente di monitoraggio delle politiche attive del lavoro”; donde l’augurio “che questo primo contributo sia utile per l’affermazione, anche in Italia, di una cultura della valutazione delle politiche basata su dati di fatto e non solo su opinioni”. Non riesco a liberarmi dall’idea del gattopardo seduto dietro una scrivania del ministero, che scrivendo questa frase pensa tra sé e sé: “Avete voluto il monitoraggio, in funzione dell’approccio sperimentale alle politiche del lavoro? Eccovi serviti! Ora vediamo che cosa ve ne fate. Così la prossima volta non ci seccherete con queste pretese assurde: siamo in Italia, mica in Gran Bretagna o negli Stati Uniti!”

Cerco l’indicazione dell’estensore materiale di questo Rapporto, senza trovarla: dietro il frontespizio si dice soltanto che esso “è il frutto del lavoro congiunto del Comitato Tecnico e del Comitato Scientifico del Sistema permanente di Monitoraggio del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali”, composto anche da persone di grande valore (che credo la pensino come me: spero che facciano sentire la loro voce). Con l’informazione ulteriore, però, secondo cui “La copertina, il layout grafico e l’editing sono a cura di Italia Lavoro“. Così nessuno potrà negare che i 13 milioni annui stanziati per il mantenimento di questa società per azioni, controllata al cento per cento dal ministero del Lavoro,  siano spesi bene.

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