COME SI MUOVERÀ L’ITALIA PER DIFENDERSI DALLA TERZA GUERRA MONDIALE

LA TERZA GUERRA MONDIALE È IN GRAN PARTE UNA GUERRA CIVILE, CHE SI VA DISPIEGANDO NEL MONDO ARABO-ISLAMICO,  E NON SOLTANTO LUNGO LE TRADIZIONALI LINEE DI FRATTURA TRA SCIITI E SUNNITI

Articolo di Giorgio Tonini, senatore PD, pubblicato sul Foglio del 20 febbraio 2015

.

Cento anni fa fu l’Europa a coinvolgere il mondo nella sua “inutile strage”. E non era che l’inizio: prima i nazionalismi, poi i totalitarismi, hanno fatto del Novecento il secolo delle guerre civili europee, le due guerre mondiali prima e poi la guerra fredda. È stato lasciandosi dietro decine di milioni di morti, che l’Occidente è entrato nella globalizzazione. Un secolo dopo, la “terza guerra mondiale”, per citare il papa Francesco dopo un papa Benedetto, è la prima non più eurocentrica. Stavolta è il mondo arabo-islamico l’epicentro del conflitto. Perché è quel mondo che sta cercando il suo posto, il suo ruolo, le sue gerarchie, i suoi rapporti di forza, i suoi universi simbolici, nella globalizzazione. La terza guerra mondiale è in gran parte una guerra civile, che si va dispiegando, come ripete instancabilmente Emma Bonino, nel mondo arabo-islamico: per un verso lungo le tradizionali linee di frattura tra sciiti e sunniti, ma per altro verso lungo inediti assi geopolitici trasversali, non solo rispetto ai friabili confini di Stati nazionali in gran parte artificiosi, ma alle stesse due grandi comunità culturali e religiose.

Se tutto questo è vero, e parrebbe difficile negarlo, ne discendono alcune precise conseguenze. La prima delle quali, la più importante, è che dobbiamo prendere atto che l’era dell’onnipotenza dell’Occidente è davvero finita. Noi uomini bianchi siamo più o meno un miliardo su sette che abitano la terra. Siamo ancora i più ricchi e i meglio armati, e certamente i più invidiati, ma da tempo non siamo più in grado di imporre agli altri la nostra volontà. In fin dei conti è questa constatazione realistica, che in sé non ha nulla di rinunciatario, il cuore della dottrina Obama sul mondo: basti leggere, al riguardo, l’introduzione del presidente all’ultimo documento sulla National security strategy. Non per caso, del resto, i tentativi occidentali di influenzare, di orientare, o magari di fermare la guerra civile arabo-islamica, dal Sirak alla Libia, stanno andando incontro a una serie ininterrotta di fallimenti, delusioni, frustrazioni. La verità è che al centro di quel conflitto non ci siamo noi, ci sono loro. Con buona pace dei cultori dello scontro di civiltà, noi non siamo neppure il vero nemico: siamo piuttosto l’argomento polemico, nei casi peggiori il bersaglio strumentale, ma gli obiettivi veri sono altri e hanno tutti a che fare con la lotta, la guerra per l’egemonia sul loro mondo, il mondo arabo-islamico.

La seconda conseguenza è che probabilmente la vera domanda che dobbiamo porci è, dal momento che non possiamo più essere decisivi, come possiamo però essere utili, a loro e a noi stessi. E a me pare che l’unico modo per essere utili è mettere in campo tutto il soft-power di cui disponiamo, non dimenticando che l’aggettivo soft serve il sostantivo power e non viceversa. Soft è il modo di porgere quella che è e resta la nostra vera forza. Innanzi tutto il soft-power della nostra democrazia liberale: non si tratta di imporre niente a nessuno, ma di essere ed apparire coerenti con ciò che siamo faticosamente diventati e che fa di noi quel che siamo, gente che crede che nessuna tirannia, neppure la più laica e illuminata, possa essere considerata, se non un passaggio che richiede di essere superato, verso un assetto liberale e democratico. Perché i diritti umani fondamentali sono aspirazione di tutte le persone e di tutti i popoli della terra. Non sappiamo quanto tempo e quanto sangue ci vorrà. Ma sappiamo che non c’è, perché non può esserci altra via d’uscita, per il mondo arabo-islamico, che quella di una via arabo-islamica alla democrazia, alla libertà, ai diritti incomprimibili delle persone e dei popoli. La nostra diplomazia, bilaterale e multilaterale, e la nostra cooperazione internazionale non possono che avere questo orizzonte: la convivenza pacifica, l’interscambio economico equamente vantaggioso, tra popoli accomunati da una medesima, anche se diversamente declinata, fede nella libertà, a cominciare da quella religiosa.

La terza conseguenza è che abbiamo il diritto e il dovere, carta dell’ONU e articolo 11 alla mano, come ha ricordato in Senato il presidente Napolitano, di difenderci dall’incendio, per impedirgli di estendersi fino a divorare anche noi. Rafforzando la solidarietà transatlantica e l’integrazione europea: delle diplomazie, delle forze armate, delle polizie e dei servizi di sicurezza. In particolare noi italiani non dovremmo ignorare che viviamo nel posto più pericoloso del mondo, ai confini con la terza guerra mondiale.

Stampa questa pagina Stampa questa pagina

 

 
 
 
 

WP Theme restyle by Id-Lab