GLI ERRORI DA NON COMPIERE NELLA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEL JOBS ACT

GLI ERRORI DA NON COMMETTERE NELLA VALUTAZIONE DI (PROBABILI) EFFETTI PARADOSSALI – LA PROSPETTIVA CHE QUESTA RIFORMA SI RIVELI LA PRIMA MISURA DI POLITICA DEL LAVORO VERAMENTE EFFICACE NELL’ULTIMO MEZZO SECOLO

Appunti in tema di monitoraggio degli effetti del decreto sul contratto a tutele crescenti (D.L. 4 marzo 2015 n. 23), pubblicati su il Foglio, 23 marzo 2015 – Sulle tecniche e i problemi della misurazione e valutazione degli effetti delle misure di politica del lavoro v. il convegno internazionale promosso dalla Fondazione Pera a Lucca, marzo 2011,  il seminario delle Fondazioni Cariplo e Giuseppe Pera sulla sperimentazione, del marzo 2012, l’articolo di Andrea Ichino Tornare al metodo galileiano per le riforme, maggio 2013, e un mio intervento del settembre 2014

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Se la riforma del lavoro sarà efficace, essa produrrà una riduzione del numero dei nuovi contratti. E ci sarà motivo di rallegrarsene. Vediamo perché.

Nell’ultimo quinquennio, il numero dei nuovi contratti di lavoro stipulati in Italia è stato di circa dieci milioni ogni anno: questo dato impressionante, fornito dal Sistema delle Comunicazioni Obbligatorie del ministero del Lavoro, è la conseguenza del fatto che per cinque sesti si è trattato di contratti a termine, molti dei quali venivano rinnovati tra le stesse parti più volte in un anno; oppure del fatto che l’impresa, per non assumere una persona in forma stabile, era costretta ad assumere in sequenza due o tre persone diverse sullo stesso posto nell’arco di un anno. Se ora ciascuna di queste posizioni sarà occupata da una sola persona assunta una volta sola a tempo indeterminato, questo determinerà un calo del numero delle assunzioni. Per valutare gli effetti della riforma occorrerà dunque tenere d’occhio soprattutto il numero delle assunzioni a tempo indeterminato, che negli ultimi anni sono andate diminuendo: ultimamente, dai due milioni all’anno (dato 2011) a un milione e mezzo (dato 2014) e che – queste sì – ora devono invece aumentare in misura rilevante.

Potrà anche accadere che nella prima fase di applicazione della riforma, se essa produrrà risultati coerenti con gli intendimenti del legislatore, aumenti il tasso di disoccupazione. Questo aumento, infatti, potrebbe significare che, essendosi rimesso in moto il mercato, anche per effetto delle nuove norme, molte persone scoraggiate dalla crisi, che negli ultimi tempi avevano smesso di cercare un’occupazione, hanno ricominciato a cercarla senza trovarla immediatamente. Il dato più significativo da tenere d’occhio sarà piuttosto quello relativo al tasso di occupazione; ma anche qui con l’avvertenza che non sapremo in quale misura la sua variazione sia dovuta al mutamento della congiuntura economica generale, in quale misura alla riduzione drastica del cuneo fiscale e contributivo, e in quale misura alla riforma dei licenziamenti.

La riduzione del cuneo fiscale e contributivo è entrata in vigore con la legge di stabilità il 1° gennaio di quest’anno; la nuova disciplina dei licenziamenti è entrata in vigore, invece, il 7 marzo: questo consentirà di osservare eventuali variazioni nella dinamica delle nuove assunzioni in corrispondenza con queste due date e trarne qualche indicazione interessante. Ma occorrerà comunque tener conto degli effetti distorsivi che potrebbero essere stati generati anche dall’attesa dei nuovi provvedimenti: per esempio, molte imprese potrebbero aver evitato di assumere in novembre o dicembre per assumere a gennaio beneficiando della riduzione del prelievo fiscale e della fiscalizzazione totale dei contributi. Allo stesso modo, molte imprese potrebbero aver evitato di assumere in gennaio o febbraio in attesa che entrasse in vigore il decreto sulle tutele crescenti.

L’osservazione di gran lunga più utile e interessante per la misurazione dell’effetto della nuova disciplina dei licenziamenti sarà invece quella che riguarda la differenza di crescita dei contratti a tempo indeterminato nel settore delle imprese sotto la soglia dimensionale dei 16 dipendenti, dove la disciplina dei licenziamenti è rimasta quasi del tutto invariata, rispetto alle imprese che si collocano subito sopra quella soglia, molto simili alle prime per ogni altro aspetto, ma per le quali il mutamento della disciplina è stato rilevantissimo.

Se risulterà che l’occupazione è sensibilmente aumentata di più nelle imprese sopra quella soglia rispetto a quelle che si collocano al di sotto; che essa si è trasformata da occupazione prevalentemente a termine in occupazione a tempo indeterminato; e che quella soglia non ha più l’effetto di inibizione alla crescita delle aziende piccole –  ben visibile fin qui anche se in molti lo hanno negato –, beh, allora occorrerà convenire che la riforma sta producendo davvero dei risultati importanti. Se sarà così, sarà la prima volta in mezzo secolo che una misura di politica del lavoro avrà prodotto risultati coerenti con gli intendimenti del legislatore, e in misura non omeopatica.

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