CAOS PER UNA RIFORMA INESISTENTE

PERCHE’ IL GOVERNO, DOVENDO “TAGLIARE”, NON HA NEMMENO PROVATO A DISTINGUERE TRA STRUTTURE BUONE E CATTIVE? E PERCHE’ CHIAMA “RIFORMA DELLA SCUOLA” CIO’ CHE E’ SOLTANTO RIDUZIONE (SENZA ALCUN CRITERIO) DELLA SPESA PUBBLICA?

Articolo di Andrea Ichino, pubblicato sul Sole 24 Ore il 25 ottobre 2008

Un marziano che giungendo in Italia provasse a capire cosa sta accadendo al nostro sistema universitario farebbe fatica a trovare risposte ragionevoli ad alcune semplici domande. In primo luogo si chiederebbe perché un governo solido che proclama di voler premiare il merito prima getti nel buco nero di Alitalia almeno 300 milioni di euro destinati al sistema universitario e poi, volendo giustamente ridurre gli sprechi, decida però di tagliare indiscriminatamente i fondi per l’istruzione terziaria senza nemmeno provare a distinguere gli atenei, le facoltà e i dipartimenti meritevoli da quelli che invece hanno prevalentemente gettato al vento fondi pubblici.
Con il risultato, davvero apprezzabile per un grande comunicatore come Berlusconi, di alienarsi l’appoggio anche di coloro che, all’interno del mondo universitario, si sono impegnati per razionalizzazioni e risparmi e che ora sono accusati dai loro colleghi spreconi di essere “becchi e bastonati”. Ancor più sorprendente è la disposizione per cui le università possono assumere un nuovo dipendente solo se cinque vanno in pensione, indipendentemente da qualsiasi altro criterio. Così facendo il governo premia le cicale che più hanno gonfiato, magari inutilmente, gli organici nel passato e manda al Paese un messaggio molto chiaro: “Non sono in grado di valutare chi è bravo a insegnare e chi no, chi sa fare buona ricerca e chi non ha mai pubblicato una riga, e quindi posso solo fare di ogni erba un fascio”. Anche volendosi tappare il naso sulle altre vergogne di questo governo, proprio non si riesce a capire la ragione di queste scelte e tanto meno si riesce ad appoggiarle.Ma la sinistra non è da meno. In primo luogo, molti si chiedono se il Governo Ombra e il suo Ministro dell’istruzione Garavaglia siano come l’Araba Fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia – e soprattutto cosa faccia in tema di istruzione – nessun lo sa. In secondo luogo, del popolo di sinistra colpisce il fatto che esso si senta “più garantito” da un’università interamente pubblica anche quando chi governa è espressione di una maggioranza di cui non condivide gli ideali e che potrebbe, a buon diritto, trasformare la scuola pubblica in qualcosa di molto diverso da ciò che la sinistra sogna. Questi nipoti del ’68 non hanno imparato la lezione guardando a quello che è successo alla televisione pubblica? Come possono rifiutare la scuola privata ma immaginare una scuola pubblica fatta solo come piace a loro?
E poi, perché gli studenti che si proclamano in lotta per la difesa delle pari opportunità trovano accettabile che le tasse universitarie siano basse per tutti, anche per i ricchi che potrebbero pagare ben di più? Questo davvero non trova spiegazioni: il 24% degli studenti universitari italiani proviene dal 20% delle famiglie più ricche, mentre solo l’8% proviene dal 20% delle famiglie più povere. È la favola di Robin Hood al contrario: i poveri pagano l’università ai ricchi, attraverso la fiscalità generale. E il danno per i poveri non si ferma qui. Una scuola pubblica governata centralmente che miri a offrire la stessa istruzione a tutti impedisce al sistema scolastico di compensare e possibilmente annullare le differenze di retroterra familiare. Negli USA, con un sistema scolastico prevalentemente privato, avere un padre laureato aumenta di 6 volte la probabilità relativa di laurearsi, mentre in Italia l’aumento è di 25 volte rispetto al caso in cui il proprio padre non sia laureato (vedi Checchi, Ichino e Rustichini, “More Equal But Less Mobile?”, Journal of Public Economics, 1999). Come mai c’è più mobilità sociale negli Usa che non in Italia?
Sempre guardando agli USA, non si riesce a capire perché l’ingresso di denaro privato nella scuola pubblica sia tanto temuto dalla sinistra italiana, soprattutto nello stesso momento in cui si lamentano carenze di fondi. Si sente dire che i privati ricatterebbero i ricercatori obbligandoli a fare ricerca solo su ciò che ha interesse commerciale. Tuttavia sembra che lo Stato non sia da meno se si pensa, ad esempio, ai Paesi che finanziano largamente la ricerca sugli armamenti, cosa che certo alla sinistra non piace. Chi ci assicura che lo Stato, espressione non di tutti ma di una maggioranza, ricatti meno o meglio dei privati? E poi è bene ricordare che esiste l’overhead, ossia un prelievo che un ateneo può operare su ogni finanziamento privato o pubblico ottenuto dai suoi ricercatori, e che può essere in vari modi ridistribuito. Proprio grazie a questo tipo di ridistribuzione anche il dipartimento di Lettere antiche è felice se quello di Ingegneria elettronica funziona bene e riceve tanti fondi. Solo per citare uno di mille esempi in cui un interesse commerciale privato può utilmente combinarsi con quello collettivo, che male c’è se i privati finanziano progetti come The Harvard-Google project, mediante il quale verranno digitalizzati milioni di libri in numerose biblioteche universitarie per renderli accessibili sul web (http://hul.harvard.edu/hgproject/)?
Ma ciò che più sorprende l’extraterrestre, mentre risale sulla sua astronave, è che una non-riforma fatta di pochi interventi marginali e sconclusionati possa aver suscitato tutto questo marasma. Cosa succederebbe nel caso di una riforma vera?

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