GLI ERRORI ESTIVI DI LETTURA DEI DATI ISTAT SULL’OCCUPAZIONE

Fact checking sulla leggenda delle assunzioni degli ultracinquantenni e le preoccupazioni per la qualità della nuova occupazione

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Numero 19 del periodico della Fondazione Anna Kuliscioff,
Mercato del Lavoro News, a cura di Claudio Negro, 1° settembre 2017 – Su questo sito sono disponibili anche il n. 13 e il n. 9 dello stesso notiziario periodico     .
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Fondazione KuliscioffI dati ISTAT sul mercato del lavoro aggiornati a Luglio confermano una tendenza già evidente da qualche tempo: l’aumento delle persone al lavoro porta l’occupazione ai livelli pre crisi del 2008, come già accaduto in Lombardia nei mesi scorsi. L’inconfutabile chiarezza dei numeri ha anche il merito di indirizzare la critica dei media su questioni reali e serie, quali la qualità della nuova occupazione dal punto di vista dei contenuti professionali e della retribuzione, anche se persiste ancora una certa incapacità di leggere i dati sull’occupazione riferiti alle fasce di età, per cui La Stampa titola “a trovare il lavoro sono solo gli over 50” e Oscar Giannino su Radio1 sostiene la stessa cosa. Bisogna ricordare che l’ISTAT non monitora gli avviamenti al lavoro, ( non le nuove assunzioni che si desumono dalle Comunicazioni Obbligatorie e che invece vengono illustrate dai report dell’Osservatorio INPS) ma semplicemente quante sono le persone occupate in un certo periodo, e confronta questo dato con quello del periodo precedente, in assoluto e dividendole per fasce di età. Questi numeri sono influenzati in modo significativo dalla dinamica demografica, per cui un lavoratore che a fine Giugno abbia compiuto 50 anni a Luglio non viene più computato nella fascia 35-49 ( e quindi quella fascia “perde” un occupato) mentre la fascia 50-64 ne “guadagna” uno. Poichè nella nostra società la distribuzione della popolazione nelle fasce di età non è uguale ma è più larga nelle fasce di età più anziane il ricambio (ingresso di nuovi soggetti nelle fasce più giovani) non è equivalente all’uscita di giovani verso le fasce più anziane. C’è quindi un invecchiamento degli occupati più o meno equivalente all’invecchiamento della popolazione complessiva: che le aziende assumano prevalentemente over 50 è un effetto ottico dovuto alla dinamica demografica. Del resto basterebbe prendersi la briga di leggere le tabelle dell’ISTAT fino in fondo per scoprire l’ultima (e benemerita) tabella “Variazioni Tendenziali al Netto della Componente Demografica”, dalla quale si desume che nella fascia 15-34 gli occupati sono aumentati di 1,7% e i disoccupati diminuiti del 3,2%, in quella 35-49, apparentemente penalizzata dai dati grezzi, gli occupati aumentano del 0,9% (anzichè diminuire, come nell’ “effetto ottico”, dell’1,2%) e i disoccupati calano del 2,3%, mentre nella fascia 50-64,  quella “privilegiata”, l’occupazione aumenta del 1,8% contro il 3,7% e, guarda un po’, la disoccupazione aumenta del 15,4%!

Del resto ci aiuta a rimettere a fuoco le cose il report relativo al primo semestre 2017 pubblicato dall’Osservatorio sul Precariato (INPS): qui, come detto prima, si conteggiano assunzioni e cessazioni e questo permette quindi di osservare i flussi del mercato del lavoro e non solo il saldo finale. Per quanto concerne le assunzioni (ossia assunzioni di giovani al primo impiego, di disoccupati, di lavoratori provenienti da un’altra azienda) sono state (considerando contratti a tempo indeterminato, a termine e di apprendistato) 1.124.831 per la fascia 15-30 anni. Due istruzioni per l’uso di questi dati: le fasce di età prese in considerazione da INPS non combaciano con quelle di ISTAT, ma dai 49 anni in su corrispondono, e questa è la fascia i cui dati servono al nostro ragionamento. Secondo: i numeri di cui stiamo parlando riguardano gli avviamenti al lavoro, non il saldo occupazionale (quello che illustra l’INPS); quindi il milione e rotti di avviamenti al lavoro va confrontato coi numeri delle cessazioni (pensionamenti, dimissioni, licenziamenti e, soprattutto, scadenza di contratto a termine). Ciò detto, vediamo le assunzioni per le altre fasce di età: da 30 a 49 anni sono 1,482,788; sopra i 49 anni, cioè nella fascia in cui secondo alcuni media avvengono quasi esclusivamente le assunzioni ce ne sono solo 529,169! Sono contratti a tempo indeterminato, che confinano il “precariato” dei contratti a termine nelle fasce d’età più giovane? Assolutamente no: le assunzioni a tempo indeterminato sono il 26% del totale contro il 24% della fascia precedente. Le “nuove assunzioni” non vengono fatte prevalentemente tra gli over 50 ma, al contrario, tra le fasce d’età più giovani. L’occupazione della fascia over 50 si gonfia per effetto dell’invecchiamento dei lavoratori già occupati e del prolungamento dell’età lavorativa,

 

Più fondate paiono le obiezioni riguardo alla “qualità” dell’occupazione che si è creata. Ovviamente bisogna capire come determinare la qualità di un posto di lavoro: non abbiamo trovato dati che diano conto, se non per microaree o situazioni singole, dei contenuti della job description o almeno dell’inquadramento dei nuovi assunti, e la semplice ripartizione tra operai, impiegati, quadri e dirigenti non dice nulla di significativo. Gli unici dati oggettivi cui possiamo attenerci sono quelli relativi alla retribuzione e all’orario.

Quanto alla prima (anche qui usiamo i dati INPS sul primo semestre) effettivamente occorre constatare  che, mentre la retribuzione dei neo assunti a tempo indeterminato sia rispetto al 2015 che al 2016 è in crescita (+6,7% sul 2015) diminuisce quella dei contratti a termine (-2,4%). Quanto all’orario, bisogna osservare che il 40% delle nuove assunzioni a tempo indeterminato sono in part time (in calo rispetto al 42% del 2016),  così come lo sono il 39% di quelle a termine (in aumento dal 37% del 2016). Non abbiamo ancora per questo periodo il dato su quanti siano i part time involontari, ma nel trimestre precedente erano in calo.

Un’osservazione a caldo su questi pochi parametri parrebbe indicare che si consolida un’occupazione meglio retribuita e full time tra i lavoratori a tempo indeterminato, mentre tra i tempi determinati la tendenza è inversa. Il fatto che le assunzioni a termine siano in  aumento (66% degli avviamenti nel 2017 contro il 62% del 2016) può indurre a pensare che siamo di fronte al principio di un fenomeno di working poors. In realtà questo allarme va ridimensionato: innanzitutto il lavoro a termine rappresenta solo il 14% dell’occupazione totale, esattamente come la media UE, ma inferiore per esempio al dato di Francia, Svezia e Olanda.

Tuttavia si tratta di una questione che merita di essere approfondita anche in relazione all’occupazione giovanile,visto che per le fasce fino a 29 anni i le assunzioni a termine rappresentano ben il75% del totale. ( a cura di Claudio Negro)

Milano, 4 settembre 2017

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