A CACCIA DI PROFETI: NOTIZIE INEDITE E PREZIOSE SU PADRE ACCHIAPPATI

“[…] Lei ha parlato di Padre Giuseppe Acchiappati come nessuno, a mia conoscenza, lo aveva fatto prima […] Ho tratto dalla lettura del libro la certezza che in Italia esistono ancora delle forze vive, uomini e donne di gran valore e moralità, che possono imprimere al nostro Paese una nuova dinamica di cui oggi più che mai esso ha bisogno […]”

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Lettera di Gianantonio Acchiappati, nipote di Padre Giuseppe Acchiappati, pervenuta il 9 settembre 2018 – Le foto della baita e della cappellina di Barmasc, riprodotte nella seconda parte del post, sono allegate alla lettera – Gli altri commenti, lettere, recensioni, foto e documenti relativi a La casa nella pineta sono raccolti nella pagina web dedicata al libro   .
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Caro Professore, sono il nipote di Padre Giuseppe Acchiappati (zio Pino da sempre per noi), fratello di mio padre  Luigi, che era più giovane di qualche anno.

Padre Giuseppe Acchiappati

Dal 1954 ho trascorso la maggior parte della mia vita lontano dall’Italia, in diversi paesi  d’Europa, parzialmente negli USA e soprattutto in Francia dove mi sono sposato nel 1966 con Pierrille e da allora viviamo a Parigi. Abbiamo una casa a Yvoire, pittoresco villaggio medioevale, sulla riva francese del lago Lemano non lontano da Ginevra, dove trascorriamo sopratutto lunghe vacanze estive. Fu lì che fu co-celebrato il nostro matrimonio. Lo zio Pino da un lato e lo zio di Pierrille – fratello di suo padre – le Père de Bertier de Sauvigny. […]

Sovente cerco di “captare” su Internet notizie o dati relativi alla mia famiglia, in Francia ed in Italia oppure ad amici che ho perso di vista. Il più spesso è alla ricerca di dati sullo zio Pino così spesso citato sulla rete, col quale, nella mia prima giovinezza, avevo trascorso a Genova e più tardi a Antagnod-Barmasc, che Lei conosce così bene, delle indimenticabili vacanze.

È durante il corso di queste mie ricerche che, all’inizio dell’estate, ho appreso che lo zio era menzionato più volte nella “Casa nella Pineta”, pubblicato da pochissimo tempo. Mi aveva particolarmente attirato la copertina con quei bei colori, accompagnati da una grafica perfetta. Ho letto in un primo tempo con avidità, sempre sulla rete, tutto ciò che si poteva scaricare: Le presentazioni dettagliate del libro da parte sua (citta e date così precisi), e le “Immagini e brani” con l’aggiunta di numerose e significative fotografie, mi convinsero rapidamente della consistenza e del valore di questo libro che dovevo assolutamente procurarmi. […]

Rapidamente mi sono applicato a leggere l’intero paragrafo Non nominare il nome di Dio invano e le pagine che seguirono sino alla pagina 122. Devo riconoscere, senza scendere nei dettagli, che con queste righe, Lei ha parlato di Padre Giuseppe Acchiappati come nessuno, a mia conoscenza, lo aveva fatto prima. Ho potuto cosi ritrovare totalmente, una persona che da tanti anni mi era mancata, ma che Lei conosceva così bene descrivendola con molto affetto.

E seguita poi da parte mia, la lettura completa del libro che ha dato un contenuto speciale alle mie vacanze estive di quest’anno. Ho l’impressione di esserne uscito rinvigorito dalla certezza – che avevo perso – che esistono ancora in Italia delle forze vive, uomini e donne di gran valore e moralità che possono e potranno imprimere al nostro Paese una nuova dinamica di cui oggi, più che mai, esso ha veramente bisogno.

Desidero qui di seguito evocare alcuni episodi e date relativi allo Zio e che risalgono alla mia prima giovinezza. Li ho potuti più facilmente ricostruire e completare nella mia memoria, grazie a una lettura attenta del Suo libro di cui alcuni particolari brani, mi hanno commosso…

Genova

Premetto, prima di iniziare questo capîtolo, che sono nell’impossibilità di indicare/situare il periodo a partire dal quale, lo Zio fu nominato a Genova. Penso, ma non ne sono sicuro, appena poco prima della guerra. Ricordo le mie prime vacanze – tre settimane estive – con lo zio Pino che risalgono al periodo in cui era ancora a Genova e più precisamente negli anni 1948 e ’49. Nostro Padre ci aveva fatti portare da Milano in via Lomellini, sede della Congregazionee della Parrocchia San Filippo Neri (una delle più belle chiese barocche di Genova di cui lo Zio era l’allora Preposto, assistito da alcuni sacerdoti (4 o 5 non ricordo bene) tra i quali Padre Gaggero. Fu cosi che con mio fratello ebbimo l’occasione di conoscerlo molto brevemente. Ricordo una persona, semplice, assai simpatica, giocando persino al calcio con noi e con gli altri ragazzi dei quali si occupava particolarmente nostro Zio. Erano figli di gente del quartiere che non aveva mezzi per mandarli in vacanza e che pure (due fra di loro se ben ricordo) avevano i padri in prigione. Non va dimenticato che la Congregazione si trovava nella zona storica di Genova non lontana dalla via del Pre (e di altri “caruggi” genovesi) già all’epoca conosciuta per i suoi traffici soprattutto di contrabbando di sigarette ai quali si aggiusero la droga e la prostituzione. Questa via era divenuta da anni purtroppo infrequentabile.

Lo Zio Pino ci portava a nuotare con altri sacerdoti dell’Oratorio, sempre con i suoi ragazzi, mentre però lui non si allontanava troppo dalla riva perché non sapeva nuotare…

Padre Andrea Gaggero

Mi ricordo che all’epoca Padre Gaggero non ci parlò mai delle sue sofferenze durante i suoi periodi di deportazione, che risalivano a solamente alcuni anni prima. Solo l’anno dopo, ci rendemmo conto che durante il nostro soggiorno a Genova, non era più presente come l’anno prima. Non ne fecemmo gran caso perché l’atmosfera in via Lomellini era sempre allegra e molto particolare in quella comunità nella quale si sentiva che Padre Acchiappati aveva un carisma particolare.

Era comunque assai esigente e di carattere difficile, qualità che potevano portarlo ad essere severo sino, in certi casi estremi, irascibile. Le sue messe e soprattutto le sue prediche erano ascoltate a Genova dove aveva molti ammiratori ed amici. So che alcuni di essi lo aiutavano per le sue “opere” presso i giovani e le loro famiglie, senza che chiedesse mai nulla. Ricordo ancora la regia particolare ed esigente della celebrazione delle sue messe (addobbi dell’altare, decorazioni fioreali, la stola, i paramenti sino alla musica erano sempre scelti da lui personalmente con una cura particolare). Questa sua esigenza, fu un’abitudine che lo accompagnò durante tutta la sua esistenza sacerdotale. La riscontrai persino nelle celebrazioni a Barmasc nella piccola cappella.

Vorrei ritornare sulla vicenda di Padre Gaggero. Verso la primavera del 1950, in una delle numerose visite che lo Zio effettuava da noi a Milano, sempre fonti di gioia intensa (abitavamo all’epoca in via Fatebenefratelli all’angolo con la via dei Giardini), appresi a “mezza voce” dal papà che la situazione dello Zio a Genova cominciava a essere “intenable”.

La personalità e la volontà di “assoluto non allineamento” con la Chiesa, di padre Gaggero, avevano purtroppo complicato ancor più la sua situazione personale e quella della comunità nella quale viveva sino ad allora a Genova. Fu alla fine di quell’anno, che la sua decisione, alla quale lo zio Pino si era fermamente opposto, cercando di fargli cambiare idea ma senza successo, di partecipare al Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace a Varsavia, fece precipitare la sua già precaria situazione. Padre Gaggero, al suo ritorno a Genova, fu allontananto definitavamente dall’Oratorio, chiamato a Roma e dopo due anni, “défroqué” dall’autorita’ Vaticana.

Andrea Gaggero durante un intervento a una conferenza

Di questi problemi, che purtroppo aggravarono indirettamente i suoi rapporti con il Cardinale Siri, lo zio non ne parlò mai (salvo beninteso ai nostri genitori all’occasione  delle sue frequenti visite a Milano). Si limitò invece a  raccontarci un giorno, non ricordo in quale occasione, un aneddoto riguardante la prigionia di Padre Gaggero; il quale, per soddisfare il suo vizio del fumo durante la cattività, aveva dopo molti ripensamenti, sacrificato alcune pagine marginali del suo breviario per potersi confezionare qualche sigaretta…

Un anno dopo, il Cardinale Siri obbligava lo zio Pino ad abbandonare la Congregazione genovese, i suoi “ragazzi” che amava tanto, i suoi numerosi amici obbligandolo ad esiliarsi definitivamente a Milano. In pochi mesi, lo zio, aveva dunque perso tutto e dovette ri-orientare completamente la sua vita sacerdotale. Ricordo alcuni amici di sempre che lo aiutarono e che andava spesso a trovare: Padre Bevilacqua, filippino come lui e responsabile dell’Oratorio di Brescia (che fu fatto cardinale nel 1965 dall’allora Papa Montini). O ancora Padre Davide Turoldo a Milano al quale lo Zio era pure molto legato. Penso anche a don Do, che incontrai forse due volte, non ricordo bene, a Saint Jacques.

È interessante la Sua osservazione alla pagina 117 del libro – prime due righe – che fu “il solo fra i grandi profeti di qull’epoca a non volere lasciare nemmeno una riga scritta” . In effetti i suoi succitati e ascoltati tre amici, per citarne i principali, lasciarono differenza di lui una considerevole massa di scritti. […] Concluderei che le parole di Padre Acchiappati, sono servite a preparare e precisare i contorni della profonda riforma della Chiesa attuata con il Concilio Vaticano II.
[…]

Milano (solo una parentesi)

Furono, a partire da quel momento, i suoi amici milanesi come il gruppo di Rinascita cristiana, nel quale Sua Madre era così attiva e presente, e probabilmente lei soprattutto, che lo aiutarono a trovare quel modesto  alloggio presso le suore del Cenacolo in Via Monte di Pietà. cosi ben situato nel centro di Milano. Fu lì che poté preparare le sue prediche, durante così tanti anni prima di andare ad abitare, negli ultimi tempi della sua esistenza – potrei dire in un certo senso “immeritatamente travagliata esistenza” – all’istituto La Nostra Famiglia.

Antagnod

A partire dall’anno 1950 e fino al ’53 andai a passare una parte delle mie vacanze estive ad Antagnod/Lignod. Alloggiavo al’epoca all’Hotel Miravalle (oggi completamente abbandonato) offertomi da mio padre, mentre mio fratello che amava il mare, mi accompagnò una sola volta. […]

Padre Acchiappati con il nipote Gianantonio sulla Testa Grigia (Val d’Ayas), 1952

In quel periodo feci con lo Zio, e spesso con amici suoi e i figli di questi (più o meno della mia età), genovesi quasi tutti e per citarne alcuni (i Sitia, i Calissano… ad eccezione degli Aymone Marsan che erano torinesi) delle magnifiche escursioni; avevano tutti case ad Antagnod. Ricordo, si iniziava per allenarsi, con il Monte Zerbion (2700 m.) proprio sopra Barmasc. Era, all’epoca, e posso immaginare che lo sia ancora, una delle mete le più frequantate della Valle d’Ayas, che, sull’altro versante, dà sulla Val Tourmanche. Dalla sua vetta si potevano ammirare i massicci del Monte Bianco, del Rosa e del Gran Paradiso. Dettaglio importante: arrivati in cima si era attratti  dalla grande statua della Madonna delle Alpi eretta negli anni 1930. Era quello un  momento di raccoglimento, dopo lo sforzo della salita, che sembrava poterci apportare nuove energie…

Con partenza da Champoluc, una montagna particolarmente ardua, e che mi procurò la prima volta non poche vertigini, fu la Testa Grigia. Dal cui culmine, che era a 3.300 m., si godeva con un’ampia vista a 360°, oltre a tutta la Valle di Gressoney, il Cervino e la catena del Monte Rosa. La foto in bianco e nero, rappresenta lo zio Pino e  me sulla vetta. Da questa montagna ricordo un suo particolare modo di discesa nel quale eccelleva: si serviva del bastone, agguantandolo con le sue due forti mani, per frenarsi. Ridendo ad alta voce, correva giù da questa discesa ripidissima che, a differenza delle altre montagne, era tutt’altro che  rocciosa ma ricca di pietre friabili e quindi abbastanza pericolosa. […]

 Val d’Ayas – Brusson – Champoluc – Antagnod – Barmasc

Quest’estate, dopo molti anni, Pierrille e io siamo tornati in questa magnifica Valle, circa tre settimane fa. Su consiglio di amici, venuti a trovarci, e che la conoscono bene, avevamo prenotato un albergo a Brusson, stazione intermedia e meno affollata di Champoluc.

La baita-eremo di Padre Acchiappati a Barmasc (Valle d’Ayas) è quella in secondo piano, sulla sinistra

Da lì, l’indomani siamo saliti a Champoluc – che ho trovato ancora molto cambiata dall’ultima volta che la avevo vista una decina di anni fa – proseguendo poi per Antagnod. Per salire a Barmasc, oggi tutto è cambiato! Esiste purtroppo una strada asfaltata (che ha rimpiazzato l’antica mulattiera attraverso la quale si arrivava in nemmeno mezz’ora) e che sbocca, dopo un  centinaio di metri, su un grande parcheggio; e ci sono persino un maneggio e un ristorante un poco più in basso! A dieci metri da questo ristorante, luogo divenuto insolito e per me così cambiato, posso però affermare che, come lo mostrano le foto a colori prese da me, che allego,  nulla è cambiato!

Dopo aver ordinato  una “polenta concia” squisita, accompagnata da un piatto di salumi e formaggio locali – ho fatto sedere Pierrille su una panchina proprio accanto alla cappellina – dove lo Zio celebrava la messa ogni mattino – mentre mi sono diretto verso le tre baite situate a una ventina di metri e fra le quali ho ricononosciuto facilmente, malgrado il loro stato di “délabrement”, quella dove lo Zio abitò!

Accanto a questa, in un’altra baita più grande, ho avuto una fortuna immensa di trovare gli anziani coniugi Mauro e Caterina Becha, che conoscevano benissimo padre Acchiappati! Mauro è il figlio di Evaristo, grande amico dello zio – che  pure conobbi –  che gli aveva messo a disposizione negli anni della Resistenza 1944 e ’45, la piccola baita dove lui, ricercato, si nascose e dalla quale, per un anno prima della Liberazione, non uscì più. Fu proprio lui che gli procurò, in questo periodo, tutto quanto gli occorreva per la sua sussistenza. E ancora lui che gli affittò per almeno 25 anni dopo fino agli utimi anni della sua esistenza, la medesima baita tutte le estati.

Mauro Becha con la moglie Caterina, a Barmasc: suo padre Evaristo affittò la Baita a Padre Acchiappati per oltre 25 anni

Ci raccontammo a proposito dello zio Pino tanti episodi e aneddoti – taluni assai divertenti – vissuti in quel lontano periodo. Parlammo pure dello stato di quasi abbandono attuale di quelle che furono delle belle baite. […] In particolare, per quella dello zio, avevo proposto loro di aiutarli per ripristinarla. Particolare commovente: i coniugi Becha continuano da anni, durante la bella stagione e quando le giornate sono soleggiate, a lasciare Antagnod la mattina per passare tutta la giornata a Barmasc dove dispongono, per dissetarsi come ai vecchi tempi, della la loro fontana… Ci lasciammo, dopo due ore, con la promessa di riprendere reciprocamente contatto.

La cappellina di Barmasc, a due passi dalla baita di Padre Acchiappati

Cosa che feci alcuni giorni fa proponendo a Mauro Becha, di essere l’iniziatore nell’estate del 2019 di una giornata a Barmasc, in ricordo di Padre Acchiappati. Ho pensato alla celebrazione di una messa – devo prendere contatto con il parroco di Antagnod che ha le chiavi della cappellina e che non abbiamo potuto visitare – per ottenere il suo beneplacito. Alla fine di questa, nel ristorante che si trova proprio accanto, organizzerei una colazione “valdostana” per i vecchi amici che lo conobbero. Non solo questa idea gli piacque, ma aggiunse che aveva parlato con suo fratello, oramai novantenne, della nostra visita, e che questo sarebbe disposto, a far “riparare” la piccola baita che ospitò lo zio per così tanti anni. Gli risposi che ero particolarmente “touché” da questa proposta ma che avrei più che volentieri contribuito personalmente a questa “riabilitazione”.

Si avvicina cosi’ la fine del mio messaggio che spero non l’abbia troppo tediata. Ho cercato, prima di scriverlo, di disporre di un tempo di riflessione, per smaltire un’accavallarsi di così tanti miei vivaci ricordi che nuoce ad una ricostruzione serena della memoria. Ma non penso di esserci veramente riuscito…

La ringrazio infine per avermi dato l’occasione di leggere questo Suo libro, che mi ha apportato tanto. […] Con i miei riconoscenti sentimenti,

Gianantonio Acchiappati

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