L’IDEA DELLA “STAFFETTA GENERAZIONALE” È ANCORA ATTUALE

La riduzione dell’orario degli anziani, con affidamento ad essi del compito di guida e accompagnamento di giovani neo-assunti, può dare buoni frutti sul piano micro, purché sia una opportunità incentivata e non un vincolo; e purché non alimenti l’idea che, sul piano macro, il lavoro degli anziani porta via lavoro ai giovani

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Messaggio pervenuto il 22 giugno 2019 – In argomento v. anche, oltre al disegno di legge citato nella mia risposta, l’editoriale di Maurizio Ferrera sul
Corriere della Sera del 9 dicembre 2012, e quello di Alberto Alesina sul Corriere della Sera del 22 maggio 2013.
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Gentile professore, mi ero ripromessa di non iniziare la lettera con i complimenti, ma è impossibile. La seguo da tempo e apprezzo il suo pensiero politico, non senso più pieno del termine, quello rivolto alla società civile e al vivere quotidiano dei cittadini. Peraltro, per ragioni di lavoro, ho conosciuto suo padre, legale della società, uomo che, con altri professionisti di allora, mi rendo conto oggi, all’età di 56 anni, ha lasciato in me uno stile unico, che ho acquisito senza neppure accorgermene. Altri tempi.
Veniamo alla domanda che vorrei porle su un tema che è stato anche oggetto di una sua proposta qualche anno fa.
Le chiedo se a suo avviso sarebbe sostenibile dallo Stato e dalle aziende una soluzione di questo genere. Obbligare le imprese con più di 10 (o 5 o 7, numero da determinare in base al risultato che si vuole o si può raggiungere) a ridurre le ore di lavoro al 20% dei loro dipendenti, sui dipendenti piu anziani di età (o secondo altri criteri da individuare) e ad assumere un numero di dipendenti con età fino a 30 anni, tale da coprire le ore ridotte (part time o tempo pieno).
Un’azienda con 20 dipendenti dovrebbe ridurre l’orario a 4 dipendenti, poniamo di 2 ore al giorno, quindi dovrebbe assumere 1 persona a tempo pieno.
Lo Stato potrebbe farsi carico del costo della riduzione cosi da non diminuire lo stipendio al dipendente e dare un incentivo sulla nuova assunzione.
Potrebbe essere un obbligo o una facoltà, comunque in funzione del costo totale che lo Stato può sostenere e i fondi che potrà stanziare.  L’accordo con i sindacati, per le aziende di maggiori dimensioni, sarebbe indispensabile anche per garantire una corretta applicazione della norma.
Non avendo a disposizione i numeri nazionali (quante aziende con quanti dipendenti, quale sarebbe il risultato finale ed i costi), non riesco a capire se la mia idea è una sciocchezza o meno.
Il tema è sempre quello che mi sta molto a cuore:  il passaggio generazionale in azienda, non quello di cui si parla anche troppo (e si realizza poco), ma quello che riguarda la risorsa più importante di una impresa e cioè la sua forza lavoro (o pensiero). Inoltre una soluzione per i giovani non occupati va trovata:  non possiamo avere persone che a trent’anni sono ancora emarginate dal mondo del lavoro, significa avere, anche, cittadini immaturi, che non comprendono le dinamiche di quel mondo, cosa significa far parte di una comunità lavorativa, con conseguenze personali e sull’intero paese che oggi, a mio parere, sono sottostimate (ma dove sono finiti i sociologi, i filosofi, gli storici e via dicendo? ).
La ringrazio per l’attenzione e la saluto cordialmente
Simonetta Parravicini (Milano)

Del progetto della “staffetta generazionale”, con riduzione dell’orario per i sessantenni e affidamento ad essi di un ruolo di coach per i giovani neoassunti, sono stato un sostenitore nel corso delle due passate legislature, presentando anche un disegno di legge (nella XVII: d.d.l. 15 marzo 2013 n. 199) in proposito. Sono convinto che possa portare buoni frutti sul piano aziendale, a patto però che il progetto sia impostato non nei termini di un vincolo, ma di un’opportunità offerta alle imprese e ai lavoratori, con un congruo incentivo pubblico, che almeno in parte si autofinanzierebbe con il gettito fiscale derivante dall’aumento dell’occupazione giovanile. E a patto che questo progetto non alimenti l’idea (tanto diffusa quanto sbagliata) secondo cui, sul piano macro, il lavoro degli anziani toglie possibilità di lavoro ai giovani.    (p.i.)

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