LA FUGA DEI PROFESSORI DAL NORD

Se non si vuole decentralizzare la contrattazione dei livelli retributivi, che almeno si modulino i minimi tabellari secondo un indice del costo della vita regionale o provinciale

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Primo editoriale telegrafico per la
Nwsl n. 504, 8 luglio 2019 – In argomento v. anche l’articolo di Tito Boeri, Andrea Ichino, Enrico Moretti e Johanno Posch, Il lato perverso della contrattazione centralizzata, pubblicato originariamente sui siti vox.eu e lavoce.info, tratto dallo studio degli stessi Autori Wage Equalization and Regional Misallocation: Evidence from Italian and German provinces .
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da la Repubblica, 4 luglio 2019

Ricordate i 160.000 professori assunti in occasione della riforma “la buona scuola”, tra il 2015 e il 2016? Per la maggior parte vennero destinati alle scuole del Nord, che avevano molte cattedre scoperte. Da allora sono passati tre anni: il tempo che deve passare prima che si possa chiedere il trasferimento. E, puntualissima, è arrivata la valanga delle richieste di trasferimento dei neo-assunti al Sud. È ovvio: dello stipendio netto di 1.350 euro, il neo-assunto a Milano spende la metà solo per l’affitto di un monolocale in periferia e gli restano 20 euro al giorno per tutto il resto: una miseria; mentre a Ragusa la stessa paga vale il 34 per cento in più. Il problema è, però, che le cattedre scoperte sono al Nord, non al Sud. Se la scuola fosse prioritariamente al servizio degli studenti, il trasferimento non dovrebbe essere concesso, perché altrimenti la cattedra abbandonata resta scoperta e un’intera classe viene condannata alla (ahimè consueta) girandola dei supplenti. Se questa enorme massa di domande di trasferimento viene accolta, è perché il nostro sistema scolastico è di fatto prioritariamente al servizio degli addetti, non degli studenti. Con questo non voglio dire affatto che i professori al nord debbano continuare a fare la fame. Ma un sistema che paga il professore esattamente con lo stesso stipendio nominale al Nord e al Sud, ignorando la notevole differenza del costo della vita tra le regioni, non soltanto compie un’ingiustizia, ma si espone alla disfunzione grave di cui proprio in questi giorni osserviamo una manifestazione acuta. Quando incominceremo a capire che un primo rimedio indispensabile è la correzione delle tabelle stipendiali secondo un indice regionale o provinciale del costo della vita? I sindacati fanno muro contro questa idea tuonando contro le “gabbie salariali”; ma non è una “gabbia” assurda proprio questa falsa eguaglianza, che fa “parti eguali fra diseguali”, perché tiene conto solo del valore nominale delle retribuzioni e non del loro potere di acquisto reale?

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