50 ANNI DI STATUTO DEI LAVORATORI: INTERVISTA PARALLELA A PIETRO ICHINO E TIZIANO TREU

È una legge del secolo scorso, di cui solo la parte sui diritti fondamentali della persona rimane intatta, mentre sia la parte su mansioni e licenziamenti, sia quella sulla rappresentanza sindacale è stata – come era inevitabile che fosse – interamente risritta, mentre quella sul monopolio statale del collocamento è stata drasticamente superata


Intervista parallela a Tiziano Treu e a Pietro Ichino a cura di Francesco Riccardi, pubblicata da
Avvenire il 17 maggio 2020 a – In argomento v. anche il faccia a faccia tra me e il professor Vincenzo Bavaro, della Consulta giuridica della Cgil, pubblicato il giorno prima sull’inserto La Lettura del Corriere della Sera, e gli altri interventi di cui ivi sono forniti i link; inoltre gli interventi svolti in Senato da Paolo Nerozzi, Tiziano Treu, Pietro Ichino. Maurizio Castro e Maurizio Sacconi, allora ministro del Lavoro, in occasione del quarantesimo anniversario dello stesso Statuto, il 20 maggio 2010 .
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Avvenire, 17 maggio 2020

Lo Statuto dei lavoratori resta ancora oggi un baluardo imprescindibile per la tutela dei diritti dei lavoratori o è diventato uno strumento obsoleto?
PIETRO ICHINO – Nonostante che fosse stato qualificato come “legge mal fatta”, lo Statuto era ed è rimasto un testo legislativo esemplare per chiarezza e semplicità, quindi per efficacia: 41 articoli brevi, immediatamente leggibili e comprensibili da chiunque. Tant’è vero che venne diffuso in milioni di copie dalle associazioni dei lavoratori e degli imprenditori in ogni angolo del Paese, e nel giro di due o tre mesi milioni di lavoratori e imprenditori furono in grado di capire la nuova disciplina delle mansioni, dei trasferimenti, delle visite mediche, dei permessi sindacali e così via. Fu così che questa legge cambiò la cultura del lavoro nel nostro Paese. Venne riconosciuto il «diritto alla riservatezza» del lavoratore – la privacy anglosassone -: espressione che venne usata qui, in questo significato tecnico, per la prima volta nella legislazione italiana. Inoltre lo Statuto conteneva in nuce, nell’articolo 28, una riforma del processo del lavoro, che sarebbe stata poi  portata a compimento nel 1973, assicurando tempi rapidi alle cause del lavoro e conferendo ai magistrati gli strumenti necessari per rendere effettivi i diritti istituiti dalla legge: questa avrebbe meritato di essere assunta come modello per una riforma generale del processo civile. Certo, del contenuto originario dello Statuto è rimasta intatta solo la parte dedicata alla garanzia dei diritti fondamentali della persona nelle aziende. Tutto il resto è stato modificato e in parte – quella sul collocamento – del tutto abrogato. Ma questo era inevitabile.

TIZIANO TREU – Lo Statuto del lavoro è stato, ed è, una legge fondamentale – risponde Tiziano Treu -. Ha concluso un secolo di evoluzione del diritto del lavoro e del movimento sindacale. Ma, appunto, ha chiuso e cristallizzato delle conquiste del secolo scorso e dunque è giusto porsi la questione della sua attualità ed efficacia oggi. Sbagliò chi 50 anni fa lo considerò una legge “anti-industriali”, ma è vero che furono introdotte alcune rigidità. Come ad esempio la questione della reintegra nel posto di lavoro per i licenziamenti illegittimi, il famoso articolo 18. Quella previsione nasceva solo per garantire i dipendenti dalle discriminazioni, in particolare quelle per l’attività sindacale, ma venne troppo estesa. Meglio graduare le sanzioni per i licenziamenti illegittimi, come previsto ora con il Jobs Act e le successive interpretazioni giurisprudenziali. Un altro esempio è l’articolo 13 sulla mobilità nell’azienda, che non può essere materia su cui si esprime il giudice ma va lasciata alla contrattazione.

Di che cosa c’è bisogno oggi per una protezione del lavoro aggiornata al XXI secolo?
PIETRO ICHINO – Oggi dobbiamo domandarci di che cosa c’è bisogno per una protezione del lavoro aggiornata al XXI secolo. Se una critica può essere mossa allo Statuto del 1970, è quella di aver fatto propria una strategia di protezione interamente centrata sulla tutela degli interessi della persona nel rapporto, trascurando del tutto i servizi nel mercato del lavoro. Nell’era dell’automazione, dell’intelligenza artificiale e della globalizzazione, nella quale il ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate è diventato rapidissimo, una vera sicurezza economica e professionale delle persone può essere data soltanto da una rete capillare ed efficiente di servizi di informazione, orientamento, formazione, assistenza alla mobilità. È la formazione efficace il vero “articolo 18” del XXI secolo. Si obietta anche che se il lavoro manca, questi servizi servono a poco. Ma in Italia alla fine del 2019 venivano censite un milione e duecentomila situazioni di skill shortage, cioè posti di lavoro che rimanevano permanentemente scoperti per mancanza di persone capaci di ricoprirli. Non era dunque il lavoro che mancava, almeno nel Centro-Nord, bensì i percorsi per far incontrare domanda e offerta, per consentire a centinaia di migliaia di persone di rispondere alla fame di personale qualificato e specializzato delle imprese.Ma si obietta che se il lavoro manca, questi servizi servono a poco.

TIZIANO TREU – Lo Statuto ha sempre riguardato solo una parte dei lavoratori, i dipendenti delle grandi imprese. Escludendo, ad esempio, i lavoratori delle aziende sotto i 15 dipendenti. Le imprese e il lavoro hanno subito un’evoluzione enorme in 50 anni e soprattutto negli ultimi due decenni. Tanto che già 20 anni fa, quando ero al governo avevamo iniziato a discutere di un nuovo Statuto dei lavori, progetto al quale si era dedicato anche Marco Biagi, per dare tutele di base a tutti i lavoratori, al di là della natura del loro contratto e della dimensione del datore di lavoro. Una base di regole comuni, fondamentali, per tutti. E poi una serie di altre tutele differenziate a “cerchi concentrici”, a seconda delle diverse tipologie e contratti di lavoro. Questo stesso sistema doveva poi comprendere anche materie come gli ammortizzatori sociali, le politiche attive, il welfare, la previdenza. In un sistema in cui alle tutele di base minime uguali per tutti si potessero poi aggiungere – grazie alla contrattazione, la bilateralità, l’apporto dei privati – altri “pezzi” per ingrandire e migliorare il “puzzle”.

Qual è l’equilibrio corretto tra legge e contrattazione collettiva?
PIETRO ICHINO – Proprio tornando a considerare la situazione di 50 anni fa si può osservare come lo Statuto sia stato varato dopo uno scontro duro tra gli “interventisti” e i contrari all’intervento legislativo: tra questi ultimi soprattutto la Cisl, che diceva “il nostro statuto è il contratto”. La Cisl paventava che l’equilibrio negoziale raggiunto tra lavoratori e imprenditori, sulla base del loro interesse comune, potesse essere spiazzato dall’oscillare degli equilibri politici influenzati dai conflitti ideologici. Temeva le norme che nascevano fuori dal sistema delle relazioni industriali.  Dalla seconda metà degli anni ’70 in poi le preoccupazioni della Cisl hanno incominciato a rivelarsi fondate: da allora la produzione legislativa è diventata sempre più ipertrofica, illeggibile, volatile e quindi inaffidabile. L’esigenza di proseguire nella semplificazione avviata col Jobs Act è ancora attualissima.

TIZIANO TREU – Se le leggi regolano le questioni fondamentali, certamente è utile allargare l’intervento della contrattazione. A patto, però, che si verifichino due condizioni. La prima è che sia ben regolata la rappresentanza, per evitare, come purtroppo sta accadendo sempre più spesso in questi ultimi anni, che cresca una “finta contrattazione”, fatta di accordi pirata, con sindacati gialli o fantasma e organizzazioni datoriali inconsistenti. La seconda è che la contrattazione di secondo livello – che oggi copre non più di un terzo dei lavoratori – sia estesa il più possibile, ad esempio tramite i patti territoriali. Ci sono però altri due aspetti che considero fondamentali. II primo, è il necessario cambiamento culturale, di imprenditori e sindacati, verso una reale partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese. D’altro canto evoluzioni come l’Industria 4.0, fortemente automatizzata e interconnessa, lo smart working e più in generale i portati rivoluzionari di progresso tecnologico e globalizzazione non possono che determinare un progresso dei rapporti tra impresa e lavoratori che vada oltre il conflitto. La seconda, è che si tenga conto della dimensione internazionale della regolazione del lavoro, a livello europeo e mondiale. Pensiamo solo a quanta legislazione proviene oggi da fonte comunitaria, e di quanta altra ne verrà in un’Unione Europea che si spera maggiormente integrata. Così pure è sempre più evidente che – in un mondo nel quale le supply chain, le catene di produzione e valore che si sono create a livello internazionale, acquistano sempre maggiore importanza – cresca la necessità di una regolazione omogenea anche in materia di lavoro.

 

 

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