LE NORME CHE CONSENTONO GIÀ OGGI DI RICHIEDERE IL VACCINO

Perché una legge sull’obbligo di vaccinarsi nei luoghi di lavoro è molto utile ma, a rigore, non indispensabile affinché la misura venga adottata dalle imprese – Perché le due obiezioni dei no-vax non reggono

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Scheda tecnica pubblicata sul Foglio il 12 agosto 2021 – In argomento v. anche l’Appello a Draghi sulla vaccinazione nelle scuole, del 18 luglio precedente

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  1. Il rischio dell’infezione da Covid-19, a differenza delle altre malattie infettive, è stato qualificato dalla legge come rischio di infortunio sul lavoro in riferimento alla generalità delle aziende (articolo 42, c. 2, d.-l. n. 18/2020, convertito con l. n. 27/2020). il fatto stesso di lavorare in un’azienda insieme ad altre persone è dunque considerato dall’ordinamento come causa tipica del rischio di infezione da Covid-19.
  2. L’articolo 2087 del Codice civile impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure consigliate dalla scienza e dall’esperienza, utili per assicurare la massima sicurezza psico-fisica dei dipendenti in azienda. Il contenuto della norma è poi specificato
    – dall’articolo 15 del T.U. delle norme sulla sicurezza del lavoro (d.lgs. n. 81/2008), il quale – nei casi in cui sia possibile eradicare la fonte del rischio per la salute o sicurezza – impone al datore di non limitarsi alle misure protettive (nel nostro caso: mascherine, distanziamento, divisori in plexiglass), ma di adottare le misure idonee a eliminare il rischio alla radice (questa norma esclude che il solo rispetto dei protocolli negoziati nel marzo 2020, quando la vaccinazione non era ancora disponibile, costituisca oggi adempimento sufficiente dell’obbligo di sicurezza da parte del datore di lavoro);
    – dall’articolo 279 dello stesso T.U., che prevede in modo più specifico l’obbligo per l’imprenditore di richiedere la vaccinazione del dipendente (la previsione è bensì riferita al rischio di infezione derivante da un “agente biologico presente nella lavorazione”; tuttavia, se l’obbligo è esplicitamente previsto dalla legge per questo rischio specifico, è ragionevole ritenere che lo stesso obbligo gravi sull’imprenditore per la prevenzione di un rischio di infezione derivante da un virus altamente contagioso, del quale può essere portatrice una qualsiasi delle diverse persone contemporaneamente presenti nello spazio aziendale chiuso nel quale l’attività lavorativa è destinata a svolgersi).
  3. L’articolo 20 dello stesso T.U. testualmente recita: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”. Si tratta dunque di un obbligo sostanzialmente analogo a quello che l’art. 2087 c.c. impone al datore, rivolto a ogni lavoratore dipendente affinché faccia tutto quanto gli è possibile per la salvaguardia della salute e sicurezza propria e altrui in azienda. La norma inoltre conferma che le direttive impartite dal datore di lavoro in materia di sicurezza e igiene dell’ambiente di lavoro, se ragionevoli (cioè conformi alle indicazioni che si traggono da scienza ed esperienza), contribuiscono a determinare il contenuto dell’obbligazione contrattuale del dipendente, anche quando da esse deriva un obbligo non specificamente previsto dalla legge, né comunque imposto alla generalità dei cittadini.
  4. Il combinato disposto di queste norme legislative è evidentemente più che sufficiente per generare l’obbligo per il datore di richiedere la vaccinazione anti-Covid ai dipendenti (dovunque questi debbano lavorare in ambienti chiusi, a stretto contatto fra di loro), e per questi ultimi di sottoporvisi, salvi i casi di controindicazione medica. Non vale a contrastare questa constatazione la guideline dell’Autorità Garante dei Dati Personali che vieta al datore di lavoro – in linea generale e in assenza di una legge che imponga il vincolo – di chiedere il certificato di vaccinazione ai propri dipendenti. Laddove, infatti, il datore stesso richieda la vaccinazione nell’esercizio del proprio potere-dovere ex art. 2087 c.c., questa misura diventa oggetto di un obbligo contrattuale, il cui adempimento è in quanto tale soggetto a legittimo controllo da parte del datore, per espressa esenzione dal divieto generale disposta dal Codice per la Protezione dei Dati Personali.
  5. Un’altra obiezione che viene mossa alla tesi qui sostenuta è quella secondo cui, in materia di prevenzione del contagio da Covid-19, il contenuto concreto dell’obbligo di sicurezza dell’imprenditore sarebbe stato, per così dire, cristallizzato dalla norma contenuta nell’articolo 29-bis-l. n. 23/2020 – c.d. Decreto Liquidità –, come convertito con la l. n. 40/2020, che rinvia al contenuto dei protocolli convenuti tra il Governo e le parti sociali nel marzo immediatamente precedente. L’epoca in cui la norma è stata emanata, nella quale vaccinarsi non era ancora possibile e non era neppure prevedibile quando e con quali modalità lo sarebbe stato, impedisce di dedurre dalla norma stessa l’esclusione della vaccinazione dal novero delle misure attivabili oggi dall’imprenditore per la prevenzione del contagio. Sappiamo, al contrario, come l’art. 2087 c.c. sia una “norma aperta” proprio nel senso che l’obbligo di sicurezza in esso contenuto si arricchisce di contenuti concreti via via che la scienza e la tecnica mettono a disposizione nuove misure efficaci.
  6. Per altro verso, in una nota inviata dalla sede centrale INAIL alla Direzione regionale della Liguria il 1° marzo 2021 (dunque prima dell’emanazione del d.-l. n. 44/2021, che ha istituito l’obbligo di vaccinazione per tutto il personale medico e para-medico), in riferimento al caso di un infermiere dell’Ospedale San Martino renitente alla vaccinazione e ammalatosi di Covid-19, si legge: «Il lavoratore che rifiuta di vaccinarsi e contrae il virus è comunque coperto dalla tutela infortunistica, ma non ha diritto al risarcimento perché colpevole di comportamento negligente». L’INAIL considera dunque in linea generale come negligente (a norma dell’art. 20 del T.U. sulla sicurezza nei luoghi di lavoro sopra citato) e pertanto illegittimo, il comportamento del lavoratore che rifiuta la vaccinazione.
  7. Tutti i giudici del Lavoro che si sono occupati della questione fin qui (decisioni in sede cautelare, e una anche in sede di merito, dei Tribunali di Udine, Belluno, Modena e Roma) hanno ritenuto legittima la richiesta della vaccinazione rivolta dal datore ai dipendenti a norma dell’art. 2087 c.c., e legittima conseguentemente sia la richiesta di certificazione dell’adempimento, sia la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione adottata nei confronti dei renitenti. Non si può obiettare che tutte queste decisioni siano state adottate in riferimento a fattispecie precedenti al decreto-legge n. 44/2021 (che nell’aprile di quest’anno ha imposto la vaccinazione a tutto il personale medico e paramedico), perché le decisioni stesse riguardano provvedimenti adottati dai datori di lavoro prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, in applicazione del solo art. 2087 c.c. (che infatti è posto esplicitamente a fondamento di ciascuna di queste decisioni, nelle rispettive motivazioni).
  8. Sulla base di tutto quanto fin qui esposto, ben può affermarsi che:
    – ogni datore di lavoro che ravvisi un rischio di contagio nella propria azienda ha già oggi, a norma degli artt. 2087 c.c. e 15 T.U. sicurezza, il potere-dovere di chiedere ai propri dipendenti di vaccinarsi;
    – secondo l’INAIL, ogni dipendente ha già oggi un dovere di vaccinarsi a norma dell’art. 20  del T.U., anche indipendentemente dalla richiesta del datore di lavoro, almeno ai fini del godimento dell’assicurazione antinfortunistica;
    – dove il datore di lavoro richieda la vaccinazione, egli è per ciò stesso legittimato a chiedere la certificazione del relativo adempimento, trattandosi di materia di normale esecuzione del programma contrattuale.
  9. Così stando le cose,
    la legge già oggi non solo autorizza, ma anzi richiede al datore di lavoro di attivarsi, anche unilateralmente, per la vaccinazione dei propri dipendenti, in tutti i casi in cui le modalità di svolgimento del lavoro in azienda presentino un rischio di contagio;
    – dunque l’iniziativa in questo senso già adottata dai datori di lavoro nel settore medico-sanitario anche prima del d.l. n. 44/2021, e in seguito adottata da altri nei settori dove il problema è più acuto (in particolare in quelli dello spettacolo e intrattenimentyo, della ristorazione e alberghiero), è di per sé pienamente legittima;
    – appare comunque molto sensato l’invito rivolto da Confindustria alle controparti sindacali per un accordo di aggiornamento dei protocolli negoziati nel marzo 2020, che aggiorni la disciplina dell’esercizio del suddetto potere-dovere da parte dei datori di lavoro;
    – non sembra avere alcun fondamento l’affermazione secondo cui questa materia sarebbe estranea al campo proprio della contrattazione collettiva: i protocolli negoziati nel marzo 2020 dimostrano, al contrario, la piena competenza del sistema delle relazioni industriali in questa materia;
    – l’emanazione di una norma di interpretazione autentica che elimini ogni dubbio in proposito è altamente auspicabile; ma le difficoltà di ordine puramente politico che il Governo sta incontrando su questo terreno non giustificano in alcun modo la timidezza su questo terreno degli imprenditori, e ancor meno l’inerzia del sistema delle relazioni sindacali, il quale dovrebbe, al contrario, rivendicare a sé il compito di regolare la materia.
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