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L’intervista pubblicata dal Fatto quotidiano

Blocchi ai magazzini e guerra in tribunale. Carte bollate firmate da grandi avvocati e professori come Pietro Ichino e 41 facchini licenziati mentre il loro sindacato blocca i cancelli di un’azienda. Ecco la fotografia plastica, ancora una volta, del fronte caldo della logistica. È nella lunga filiera di appalti di Unes che in Lombardia si sta consumando da mesi una delle più pesanti vertenze sindacali, più per il sapore “politico” che sta assumendo che non per il contenzioso in sé. Il Si Cobas di Milano, guidato dal segretario nazionale Aldo Milani e dal sindacalista Papis Ndyae, da agosto 2021 ha preso di mira i magazzini di smistamento merci della catena di supermercati che appartiene a Finiper. In particolare quello di Truccazzano, hinterland del capoluogo lombardo, dove l’ultimo anello della catena produttiva e distributiva è gestito dalla cooperativa Lgd, amministrata da Giuseppe Ghezzi: oltre mille lavoratori che prestano servizio in varie piattaforme lombarde di Unes ma anche di Esselunga. La coop di lavoro ha macinato numeri nel corso della pandemia crescendo di quasi 20 milioni di euro in un anno, da 47 a 62 milioni di ricavi.

Il sindacato di base però accusa: pagamenti in nero, straordinari e festività mancanti, irregolarità nelle buste paga dei lavoratori. Dopo qualche sciopero e blocco ai magazzini, che fra l’estate e l’autunno provocheranno 18 diverse occasioni non consecutive di blocco, le risposte non si fanno attendere: 41 operai vengono prima sospesi e poi licenziati mentre vari lavoratori e sindacalisti ricevono un foglio di via dalla Questura per il territorio del Comune di Truccazzano, mentre ad alcuni degli autori dei blocchi vengono raggiunti dagli avvisi di garanzia della Procura di Milano per violenza privata.Della vertenza, dal lato datore del lavoro, arriva ad occuparsi Pietro Ichino, tra i massimi giuslavoristi d’Italia, già senatore Pd e Scelta civica, consulente in materia di lavoro di vari governi e membro del cda di Afol, l’Agenzia pubblica di Milano che si occupa di formazione e orientamento al lavoro. Che attacca i Cobas. “Le sembra credibile che si ricorra a una forma di lotta estrema come 18 blocchi dei cancelli – dice a ilfattoquotidiano.it – che causa danni enormi alla cooperativa e alla sua committente, per delle irregolarità in singoli rapporti di lavoro che in Prefettura sono risultate inesistenti, che comunque possono valere al massimo qualche centinaio di euro e che, se anche ci fossero davvero, potrebbero essere risolte con una denuncia all’Ispettorato, o una normalissima vertenza davanti al Giudice del Lavoro?”.E i pagamenti in nero allora? “Non ce ne sono e non sono stati denunciati neanche dal Si Cobas: le irregolarità lamentate riguardano inquadramenti e alcune indennità. Come abbiamo esposto in un ricorso al Giudice del Lavoro l’obiettivo reale del Si Cobas era ed è quello di eliminare la Lgd come operatrice nel settore”. Perché? Per indurre “le committenti, e in particolare Unes, ad avvalersi di appaltatrici più disposte ad accogliere le sue richieste di esenzione di parte delle retribuzioni, indennità varie e premi di produzione, da imposizione fiscale e contributiva”. “Il paradosso – prosegue il docente dell’Università degli Studi di Milano – è che con l’accusa di qualche irregolarità in singole buste-paga, risultata inesistente, si maschera il reale obiettivo del Si Cobas, che è quello di ottenere una irregolarità e non trasparenza generale e sistematica”. Tradotto: il sindacato protesta fintamente contro i pagamenti in nero per ottenerne in realtà molti di più.È una tesi che Ichino e la coop hanno messo anche nero su bianco. Prima in tribunale con il ricorso depositato insieme agli avvocati Marco Lanzani e Filippo Bodo dello studio Macchi di Cellere Gangemi dove si chiede ai giudici della sezione Lavoro di Milano non solo di confermare i licenziamenti degli operai in agitazione per giusta causa, ma soprattutto di definire il “comportamento tenuto da Lgd nei confronti del sindacato” come “pienamente legittimo sia sul piano civile e penale” sia su quello più “specificatamente sindacale”. Poi il 29 novembre ha scritto anche alla Commissione di Garanzia per lo sciopero nei Servizi pubblici essenziali per un “interpello in tema di nuove forme in cui si manifesta il conflitto collettivo nel settore della logistica e trasporto per la grande distribuzione” in cui si contesta in particolare il fatto che i blocchi non siano avvenuti in occasione della proclamazione di uno sciopero e che non possano dunque presentarsi in “picchetti” nel corso di uno stato di agitazione. Questo perché per le aziende e i loro avvocati non sono le irregolarità denunciate “il vero motivo di una serie impressionante di blocchi totali dei cancelli” ma, come si legge nel ricorso di Lgd, far fuori una cooperativa che aveva riportato la legalità negli appalti di Unes e della grande distribuzione organizzata.

Come funzionano allora questi appalti? Per le persone normali da mal di testa: prima del 2019 Unes appaltava la gestione amministrativa e operativa delle piattaforme logistiche a Truccazzano, Vimodrone e Segrate alla società Flexilog che a sua volta subappaltava alla Lct Igea Logistics. In seguito venivano conferite le attività di scarico, controllo, pesatura e stoccaggio del prodotto alla Brivio & Viganò Logistics, colosso di settore guidato dal presidente Giovanni Viganò e detenuto dalla holding delle due omonime famiglie lombarde. Vale 155 milioni di fatturato nel 2020 (in crescita di 16 milioni) e un utile a bilancio da 5,9 milioni che ha fatto segnare un aumento monstre di quasi tre volte nell’anno della pandemia. Brivio & Viganò a sua volta subappalta il contratto alla cooperativa guidata da Ghezzi insieme alla quale ha costituito una società consortile di nome STL. Amministrata dallo stesso dirigente, domiciliata allo stesso indirizzo dell’azienda di logistica, la Stl vede nel capitale sociale anche la presenza della Giuseppe Ferrari srl (azienda acquisita nel corso dell’anno da Brivio & Viganò), la BVB srl e infine la Autotrasporti Brivio & Viganò srl.

Lungo questa catena si gioca la vera partita su chi debba assumersi le responsabilità di prendere decisioni definitive. Nel corso delle prime interlocuzioni avvenute in Prefettura fra le varie parti erano state infatti proposte soluzioni light per “raffreddare”, grazie anche all’intermediazione degli avvocati di Finiper che a breve dovrà rinnovare l’appalto, giunti in prima battuta a rappresentare la committenza finale per chiudere la faccenda in fretta. E che poi hanno preferito chiamarsi fuori visto che le questioni non li riguardano. La proposta di mediazione dei Cobas si basava sul continuare a pretendere il reintegro di tutti i 41 operai licenziati ma in documento da loro presentato si impegnavano a fornire un maggiore preavviso prima di intraprendere azioni e dichiarare lo stato di agitazione e, in caso di “contenziosi derivanti da eventuali differenze retributive”, si concordava di agire “tempestivamente per confronti specifici che coinvolgano i rispettivi consulenti, al fine di affrontare nel modo più oggettivo possibile l’applicazione del Contratto Collettivo Nazionale e degli accordi di secondo livello”.

La proposta di Pietro Ichino aveva invece come cuore una diversa visione delle cose: “Lgd in quella sede ha confermato la propria disponibilità a revocare i licenziamenti – dichiara l’ex senatore – a patto che i lavoratori interessati e il Si Cobas riconoscessero l’illegittimità dei blocchi effettuati”. Ma “questo riconoscimento non c’è mai stato – prosegue –. Anzi, nelle lettere di risposta alla contestazione disciplinare i lavoratori hanno sostenuto la piena legittimità di quel comportamento, così riservandosi di porlo in essere ancora in futuro in qualsiasi momento”. “Certo – risponde secco il segretario del Si Cobas Aldo Milani – firmiamo quella carta in cui dichiariamo il nostro sciopero illegittimo e il giorno dopo ci ritroviamo una richiesta di risarcimento economico in sede civile per i danni economici provocati dalle proteste. Ichino lo sa e ci gioca”. Danni che Lgd quantifica in milioni di euro.

Non sarebbe una novità in effetti: ai Cobas è già successo. Per esempio a Pavia, dove un giudice ha detto no alla causa intentata dalla multinazionale della logistica Xpo che chiedeva due milioni di euro a quattro sindacalisti per scioperi e blocchi delle piattaforme avvenuti anni fa. Richiesta rigettata, e nella sentenza c’è scritto che alcune delle persone coinvolte non erano nemmeno presenti nel luogo dello sciopero pur essendo leader sindacali. Ma è questo il sogno delle aziende della logistica, almeno alcune: sancire il principio che se lo sciopero reca un danno economico consistente qualcuno debba pagare. Ci provano ormai da tempo girando di tribunale in tribunale.