IL 90mo DELLA “SETTIMANA ENIGMISTICA”: QUANTA STRADA DA ALLORA!

La celebrazione di questo nuovo traguardo raggiunto dalla rivista di enigmistica destinata al grande pubblico più diffusa e di gran lunga più autorevole è l’occasione per studiare l’enorme cammino che la cultura del rebus ha compiuto da allora a oggi

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Contributo alla celebrayione dei 90 anni compiuti dalla
Settimana Enigmistica il 23 gennaio 2022 – Tutti gli altri articoli, lettere e interviste in tema di enigmistica e di rebussistica in particolare, online su questo sito, sono contenuti nella sezione Rebus

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Il 23 gennaio 1932, data palindroma, usciva nelle edicole il primo numero della Settimana Enigmistica, di 16 pagine, con una testata – disegnata personalmente dal fondatore, l’ingegnere sassarese Giorgio Sisini – la cui grafica è rimasta la stessa identica a 90 anni di distanza. Fin dall’inizio la rivista incominciò a pubblicare dei rebus, sia pure in numero molto inferiore rispetto a oggi: allora essi non costituivano ancora uno dei suoi core businesses, come lo sono oggi. E la loro “grammatica” era ancora incerta, perché assai indefinita era la cultura italiana del rebus, nonostante le sue antichissime e nobilissime origini (chi voglia conoscerne l’evoluzione nell’arco dei passati millenni può consultare Il libro dei rebus di Franco Bosio, Vallardi, 1993). La qualità scadente di quei rebus pubblicati a partire dal 1932 aiuta a comprendere l’importanza del ruolo che la stessa Settimana Enigmistica ha svolto nell’arco di questi nove decenni per la selezione e il consolidamento di un’insieme di regole che, soprattutto a partire dagli anni ’50, è andato progressivamente affermandosi.

Protagonisti indiscussi di questa evoluzione, dai primi anni ’50 in poi, sono stati Giancarlo Brighenti, in arte Briga, per quel che riguarda le regole e la qualità delle invenzioni rebussistiche, e sua moglie Maria Ghezzi, La Brighella, per quel che riguarda lo standard di qualità dell’immagine (a entrambi è dedicata una di queste lezioni, intitolata L’autoritratto di una coppia felice). Nel 1982 Briga sostituì Artù (Giancarlo Gallina), da poco deceduto, nella responsabilità della sezione rebus della Settimana Enigmistica, con la consulenza di Zanzibar (Piero Bartezzaghi, padre di Stefano e di Alessandro, che della rivista è da tempo Condirettore). Oggi il degno custode della cultura rebussistica sedimentatasi nel tempo, nella responsabilità redazionale che fu del Briga, è Bardo, Alfredo Baroni. Dal 1986, peraltro, a custodirla e arricchirla di continuo ci pensa anche l’Associazione Rebussistica Italiana, dal 1995 soprattutto con la sua rivista Leonardo.

Ma veniamo ai primi rebus pubblicati dalla Settimana Enigmistica. Dobbiamo alla cortesia di Bardo e della rivista la possibilità di riprodurre proprio il primo, che risale dunque al 1932. La soluzione è:

Uno F ama Lea cento (la C è qui intesa come numero romano) = Uno fa male a cento

Ora, se a questo gioco si applicassero le regole attuali, esso verrebbe rifiutato: innanzitutto perché – come abbiamo visto nella lezione precedente – è inaccettabile la chiave “uno” come numero in prima lettura e come pronome nella soluzione, essendo la radice lessicale delle due parole in tutto e per tutto la stessa; ma ancora più grave – visto con gli occhi del rebussista contemporaneo – è il fatto che il nome della ragazza sia stampato sulla sua spalla,  mentre è regola oggi assolutamente inderogabile che una chiave non possa mai comparire scritta nell’immagine: quando nell’immagine compare una parola scritta si può stare certi che essa non è utilizzabile in prima lettura e ancor meno può comparire nella soluzione. Osservo, infine, che oggi molti rebussisti probabilmente storcerebbero il naso di fronte all’abbinamento di un numero con una lettera per individuare o costituire una stessa chiave (1F); ma questo sarebbe davvero il difetto minore, ammesso che difetto sia.

In un altro rebus pubblicato dalla S.E. nello stesso anno 1932 compaiono due uccelli in volo su uno stagno, con un grafema V collocato su ciascuna delle ali del primo, e un grafema A collocato su ciascuna delle ali del secondo. Per la soluzione, in linea con la retorica del tempo,

Vi V ali, tali A = Viva l’Italia.

Oggi non si ammetterebbe mai che uno dei due primi grafemi si legga “vi” e l’altro “v”: o tutti e due in un modo o tutti e due nell’altro. Inoltre nell’immagine le A sulle seconde due ali di un uccello sono due, mentre nella soluzione ne viene utilizzata una sola: anche questo sarebbe oggi inammissibile.

Già negli anni ’50, invece, si osserva un nettissimo salto di qualità. Ne propongo come esempio uno dei primi rebus stereoscopici (probabilmente di Briga, che fu l’inventore di questo genere di rebus) pubblicati sulla S.E. Le due immagini ritraggono entrambe la stessa sala di un ristorante, nella quale uno dei tavoli è contrassegnato con il grafema O; nella prima, su questo tavolo compare un vaso con un fiore, contrassegnato con M; nella seconda lo stesso vaso compare su un altro tavolo. Per la soluzione:

Su O c’era M; ora lì sta = Suocera molesta.

Qui, pur in presenza di un rebus che si avvicina molto agli standard attuali, osserviamo però ancora un difetto che oggi con tutta probabilità verrebbe eliminato: il grafema O che contrassegna il tavolo compare in entrambe le immagini, cosicché il solutore non sa se l’azione-chiave principale (quella per la quale è stato necessario fare ricorso alla doppia immagine) vada coniugata al passato o al futuro. Nei rebus stereoscopici che verranno pubblicati sulla S.E. almeno dagli anni ’70 in poi,  invece, la regola è che l’azione-chiave va coniugata al futuro se i grafemi sono nella prima immagine, a un tempo passato se sono nella seconda.

Propongo questi due esempi per mostrare come la cultura rebussistica si sia evoluta nel tempo; altrove ne ho proposti altri tre per mostrare quanto si sia evoluta nel tempo la qualità artistica del disegno delle immagini dei rebus, soprattutto per merito di Maria Ghezzi, La Brighella. Tutto ciò lo dobbiamo in gran parte alla rivista di cui in questi giorni si celebra il novantesimo anniversario della nascita. Alla quale non possiamo dunque che augurare – soprattutto nel nostro interesse – almeno altri novant’anni, altrettanto proficui.

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