LA SINISTRA E LA DISPUTA SUL MERITO NELLA SCUOLA

La scuola non può essere fattore di uguaglianza sociale se non impara a valutare e premiare il merito molto più di quanto non lo faccia oggi; e il discorso riguarda, a ben vedere, allo stesso modo tutte le amministrazioni

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Articolo pubblicato su
la Repubblica il 28 ottobre 2022 – In argomento v. anche Il Pd e i poveri

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Contro l’idea del neo-ministro dell’Istruzione Valditara di porre il valore del “merito” al centro del proprio programma e addirittura nel nome del proprio dicastero la sinistra italiana sembra essersi ricompattata: dal vicesegretario del PD Provenzano al segretario dei 5 Stelle Conte, al segretario della Cgil Landini, tutti convergono nel respingerla come reazionaria. Ma vi sono degli ottimi motivi per pensare proprio il contrario: cioè che la scuola non possa essere fattore di uguaglianza sociale se non impara a valutare e premiare il merito molto più di quanto non lo faccia oggi. Più in generale, è l’intera amministrazione pubblica che ha bisogno di questa rivalutazione del merito al proprio interno; e la sinistra dovrebbe far proprio questo obiettivo perché di un’amministrazione che funziona bene hanno bisogno soprattutto i più deboli e i più poveri.

Ma torniamo alla scuola. Potenziare l’istruzione pubblica significa, certo, investire di più sull’edilizia e le attrezzature didattiche; ma significa soprattutto investire sul miglioramento della qualità dell’insegnamento, cioè sulla capacità e l’impegno degli insegnanti. Questo implica non solo una formazione migliore di questi ultimi, ma anche inviarli a insegnare dove occorre e non dove fa comodo a loro. Implica far sì che la struttura scolastica sia capace di valutarne la prestazione per poter retribuire meglio i più bravi e allontanare dalle cattedre quelli che non conoscono la materia affidata loro, o non sanno insegnarla, o più semplicemente non hanno voglia di farlo. E per valutare gli insegnanti occorre anche rilevare capillarmente l’opinione espressa su di loro dalle famiglie e dagli studenti. In altre parole, potenziare la scuola significa mettere al centro il diritto degli studenti, in particolare dei meno dotati, di quelli che non hanno alle spalle una famiglia colta.

Nella scuola pubblica italiana tutto questo finora non si è fatto, perché vi si oppongono i sindacati degli insegnanti. Oggi, dunque, se un professore insegna male o non insegna del tutto, nella quasi totalità dei casi non accade nulla: così un’intera classe viene privata per uno o più anni dell’insegnamento di materie essenziali, come l’italiano o la matematica. E questo, si osservi, accade in modo diffusissimo: quasi ogni classe ha almeno un professore – se non due o addirittura tre – che per incapacità o negligenza non svolge in modo appropriato il proprio servizio. Potenziare la scuola pubblica significa attivare una sistematica e rigorosa valutazione della qualità dell’insegnamento impartito dagli istituti scolastici pubblici; ma anche consentire loro di scegliere gli insegnanti e attirare i migliori premiandoli. Questo si deve fare se si vuole davvero stare dalla parte dei più poveri.

Una forte iniezione di “merito” occorrerebbe anche nel campo dei servizi al mercato del lavoro, perché diventassero un fattore di uguaglianza sociale, di aiuto ai più deboli. La sinistra italiana appare indifferente, distratta, di fronte allo scandalo di quel 40 per cento di nuovi posti di lavoro qualificato o specializzato – in Italia sono centinaia di migliaia! – che le imprese hanno necessità di coprire ma non riescono a farlo per mancanza delle persone idonee. È la conseguenza di un sistema della formazione professionale del quale nessuno controlla e misura in modo sistematico l’efficacia. Per farlo il modo ci sarebbe: istituire un’anagrafe della formazione professionale e incrociarne i dati con quelli delle Comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro sulle assunzioni, degli albi professionali, delle liste di disoccupazione. Sarebbe così possibile conoscere di ogni corso il tasso di coerenza tra la formazione impartita e gli esiti occupazionali effettivi, che è l’indice migliore della qualità del servizio. È previsto nel d.lgs. n. 150/2015; ma per un’intera legislatura non lo si è fatto perché una mappatura rigorosa dell’efficacia della formazione porterebbe a chiudere una buona metà dei centri che oggi vengono finanziati col denaro pubblico; e alla sinistra sembra star più a cuore la stabilità degli addetti a questi corsi che l’interesse della generalità delle persone e delle imprese a un mercato del lavoro innervato di servizi efficienti ed efficaci.

Il discorso riguarda, a ben vedere, allo stesso modo tutte le amministrazioni: se si vuole costruire l’uguaglianza di opportunità tra i cittadini e migliorare la condizione dei più deboli, l’efficienza ed efficacia dei servizi pubblici è indispensabile. È questa, a ben vedere, la coniugazione virtuosa tra merito e bisogni che Giorgio Tonini indicava l’altro ieri su questa stessa pagina come compito essenziale di una sinistra capace di fare bene il proprio mestiere.

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