Una parola che compare in prima lettura non può comparire anche nella soluzione, né può servire come materiale testuale per costruirne una che abbia la medesima radice lessicale; può, tuttavia, darsi il caso di una etimologia comune così lontana nel tempo e di una divaricazione tale dei due significati, da esclure l’applicazione del divieto
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Diciannovesima lezione del corso che viene pubblicato ogni due domeniche sulla Gazzetta di Parma, 20 novembre 2022 – V. anche la diciottesima lezione, dalla quale è possibile risalire a ciascuna delle precedenti .
Nell’ultima puntata ci siamo imbattuti in un gioco di Piero Bartezzaghi assai interessante per la storia della cultura rebussistica italiana, della quale lo stesso autore è uno dei grandi padri. Nella prima lettura di questo rebus la parola “sarde” compare come sostantivo indicante un pesce, mentre nella soluzione compare come aggettivo indicante l’appartenenza geografica alla Sardegna.
In una nota a piè di pagina della rassegna antologica proposta sul sito www.rebussisti.it, dalla quale quel rebus è tratto, si osserva come il bisenso “sarde” abbia in entrambe le accezioni non solo la stessa radice etimologica, ma anche affinità semantica (le sardine si chiamano così perché i sardi, nell’antichità, furono i primi a commerciarle, vendendole sotto sale a tutti i popoli del bacino del Mar Mediterraneo): cosa vietatissima dalla regola che ormai conosciamo bene – affermatasi dalla metà del secolo scorso con forza sempre maggiore – secondo cui una parola che compare in prima lettura non può comparire anche nella soluzione, né può servire come materiale testuale per costruirne una che abbia la medesima radice lessicale e significato affine.
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La verità è che negli anni ’50 e nei primi anni ’60 – ai quali quel rebus risale – questa regola veniva applicata in un modo meno rigoroso di quanto avvenga oggi. Anche oggi, però, il confine tracciato da questa regola fra il consentito e il vietato non è ben definito. Per chiarire i termini della questione ho ideato quest’altro rebus (disegnato da Laura Neri):
La ragazza P restituisce il quadro R al rigattiere LA, in cambio del cassettone. P, dunque, rende R se LA comò dà = Prendersela comoda. Il problema nasce dal fatto che l’origine etimologica del sostantivo “comò” è la stessa dell’aggettivo “comoda”: derivano entrambi dal latino commodus.
A sostegno dell’accettabilità dell’uso di “comò” in prima lettura per costruire la parola “comoda” nella soluzione, tuttavia, si può osservare che il percorso secolare per arrivare da commodus a “comò” è assai lungo e tortuoso: esso infatti passa per la Francia, dove fin dal Cinquecento la parola commode indicava il cassettone, per arrivare con questo significato in Italia soltanto due secoli dopo: a sud delle Alpi il lemma “comò” in questa accezione compare per la prima volta nel 1783 nel Vocabolario piemontese di Maurizio Pipino. Ed è evidente la distanza che corre tra l’area semantica propria degli aggettivi commodus/comodo e quella propria del comò/cassettone.
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Ne L’ora desiata vola. Guida al mondo dei rebus per solutori (ancora) poco abili (Bompiani) ho proposto di considerare i due significati di un bisenso, molto distanti fra loro ma con origine etimologica comune, come gli estremi dei due bracci di una Y, dove il gambo rappresenta l’origine comune alle due parole, l’etimo (e il corrispondente significato) da cui entrambe derivano. L’ammissibilità dell’uso di una di queste parole in una delle due accezioni in prima lettura e nell’altra accezione nella soluzione dipende… dalla lunghezza delle braccia, quindi dalla divaricazione dei significati, rispetto alla lunghezza del gambo della Y: se le braccia sono troppo corte, cioè il punto di divaricazione dei loro percorsi evolutivi è troppo vicino, troppo storicamente recente, non si può.
In applicazione della regola della Y, oggi probabilmente il rebus “vendette sarde” non verrebbe più accettato: la divaricazione dei due significati della parola “sarda” sarebbe ritenuta insufficiente. Oggi viene invece pacificamente considerata sufficiente la divaricazione fra i due significati di “credenza”, entrambi ascrivibili all’etimo latino credo. Stesso discorso per i due significati della parola “diligenza”, entrambi dal latino diligere; e per i due significati della parola “cancello”, derivanti entrambi dal latino cancelli, diminutivo di cancri, un plurale tantum indicante una rete o graticcio: quello che chiude uno spazio, ma anche l’intreccio di tratti di penna con cui si oblitera la parte di uno scritto che si vuole, appunto, “cancellare”.
(www.pietroichino.it – La prossima lezione sarà pubblicata domenica 4 dicembre 2022)