HAI NASCOSTO QUESTE COSE AI SAPIENTI

Nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani esce un libro che forse più di tutti gli altri precedenti sul Priore di Barbiana consente di capire il vero miracolo da lui compiuto in quel luogo perduto tra le giogaie del Mugello

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Prologo di Riccardo Cesari al proprio libro,
Hai nascosto queste cose ai sapienti. Don Lorenzo Milani, vita e parole per spiriti liberi (Giunti, 2023, pp. 634, € 24) – V. anche, tra i numerosi altri post dedicati a questo tema, l’intervista del giugno 2020 (In extremis omnia sunt communia) nella quale rispondo alla domanda sul perché io consideri attualissima la predicazione del Priore di Barbiana

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Cara lettrice, caro lettore

se saprai trovare un po’ di tempo e di concentrazione per leggere, con la guida di questo libro, i tanti passi cruciali delle lettere e degli altri scritti di Don Milani, qui ampiamente commentati e contestualizzati e comparati col nostro tempo, ti prometto che non te ne pentirai. Don Milani, infatti, ha anticipato il futuro, ha messo a nudo tante questioni, interiori ed esteriori, spirituali e sociali, ha mostrato con voce limpida e fatti molto concreti la sua puntuale risposta, spesso imprevedibile, sempre profonda, coerente, intelligente, evangelica.

Non occorre che tu sia credente perché ha parlato, anche sulle cose intime, un linguaggio laico, comprensibile, semplice, qualche volta sboccato, spesso così bello da toccare i vertici – contro la sua stessa volontà – della più bella letteratura. Ma non è letteratura: è vita, è coscienza, è responsabilità, è umanità.

Poi, dopo che l’avrai letto, ti succederà spesso di trovarti a sfogliare un giornale, ad ascoltare una radio, un podcast o a guardare una tv o quello che vuoi, e ti renderai conto che quella stessa questione che hai davanti l’aveva raccontata, analizzata, risolta, prevista, discussa Don Lorenzo Milani in anni che  sembrano – ma solo in apparenza – lontani.

Ti verrà voglia di rileggerlo e rimeditarlo, e ci troverai così nuovi aspetti e nuove considerazioni, che non avevi visto o avevi dimenticato e che diventeranno come dei pali, profondi e ben piantati, per muoverti e orientarti, da persone umane responsabili, nell’unica vita terrena che hai. Faccio un solo esempio, tra i mille possibili. Luana D’Orazio, 22 anni, è morta dopo la Festa dei lavoratori, il 3 maggio 2021, stritolata dal macchinario in una fabbrica di filati di Montemurlo, vicino a Prato. Tre mesi prima la stessa fine era toccata a Sabri Jaballah, stessa età, stesso lavoro, stessa zona. La loro storia è già tutta raccontata nella Lettera a don Piero, che Don Milani scrisse alla fine del 1953 e che nessuno gli pubblicò, finché non la mise, cinque anni dopo, nella Seconda appendice delle sue Esperienze pastorali. Sono passati settant’anni ma ci si chiede: è cambiato qualcosa?

 Quasi tre anomalie

La Chiesa, di solito, non manca di santificare i suoi martiri. In alcuni casi, tuttavia, prima di santificarli li crea, nel senso che martirizza lei stessa, come fosse una matrigna, i suoi specialissimi figli. Questa è una prima anomalia della vicenda di Don Milani: un figlio devoto della Chiesa, che la Chiesa stessa ha duramente osteggiato e represso. Un martire “della Chiesa” nel duplice senso dell’appartenenza e della causa efficiente.

Ma c’è una seconda caratteristica del prete Don Milani che lo fa splendere nel grande firmamento dei santi. Ed è il fatto che non stiamo parlando di un uomo vissuto cinquecento anni fa e messo al rogo da un temibile potere temporale, sordo alla voce dello Spirito. Stiamo parlando di un uomo dei nostri giorni, che era tra noi fino a ieri, o – il tempo corre – fino all’altro ieri. Un uomo che ha vissuto in questa società moderna, industrializzata, consumistica, globale, vedendone e molto spesso anticipandone, con grande acutezza, le caratteristiche e i problemi che sarebbero esplosi negli anni e nei decenni successivi. Certo, la Chiesa non ha più fatto le cataste di legna per ardere l’uomo e la sua “eresia”: nel caso di Don Milani,

La Pira non è stato uno strumento del martirio ma un sindaco amico, anch’egli vicino alle istanze dei poveri. Il martirio di Don Milani è stato un martirio moderno, come si addice alla società dell’immagine e della comunicazione: l’umiliazione, la condanna, il bavaglio, l’esilio, il silenzio. Oggi la Chiesa ha capito l’errore. Papa Francesco, con gesto generoso e clamoroso, l’ha guidata a meditare sulla tomba del Priore, il 20 giugno 2017, a cinquant’anni dalla morte. Non ha chiesto esplicitamente perdono (“non si tratta di cancellare la Storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco” ha detto, purtroppo, il papa) ma ha comunque reso omaggio a Don Milani, riconoscendo “in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa”. Tuttavia, “circostanze e umanità in gioco” possono spiegare ma non giustificare una così lunga condanna né sono un modo di riconoscere gli errori davanti agli uomini e davanti a Dio. In vita, Don Milani non ebbe mai il perdono della sua amatissima Chiesa. Eppure – diceva – è più facile ottenere il perdono che il permesso, e su questo principio si era sempre regolato. Non ebbe il permesso e non ebbe nemmeno il perdono ma morì ugualmente in pace, perdonato direttamente da Dio: “Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza”, dirà sul letto di morte. “Un cammello che passa nella cruna di un ago” (Mt 19,24). Oggi è la Chiesa che deve chiedergli perdono e Don Milani, anima generosa e devota, è certamente pronto ad accordarglielo. Servirebbe un ultimo passo, un ultimo gesto di ringraziamento: riconoscere la santità di Don Lorenzo. Forse l’apprezzerebbe; ma, ovviamente, non per sé, bensì per la Chiesa che ha servito fino all’ultimo respiro, per rendere ancora più luminosa la via che ha percorso e indicato ai suoi ragazzi e a tutti i giovani del mondo. Altrimenti avremmo una terza anomalia per Don Milani: un santo del Paradiso invisibile alla Chiesa. Sarebbe una triste conferma, poiché è scritto: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai  rivelate ai piccoli” (Mt 11,25).

Un’indigestione di vita e di pensiero

La vita di Don Lorenzo Milani è durata appena quarantaquattro anni, dal 1923 al 1967, ma, fatta eccezione per le vicende della Prima guerra mondiale, ha attraversato tutti i grandi eventi del “secolo breve”: fascismo e nazismo, la Seconda guerra mondiale, la ricostruzione del dopoguerra, il passaggio epocale dall’agricoltura all’industria, dai monti ai campi alle fabbriche, dalla campagna alla città, il boom economico, la televisione e le comunicazioni di massa, il consumismo e la “mutazione antropologica” dei ceti medi (per dirlo con Pasolini), il Concilio Vaticano II, le guerre e la pace, la scuola dell’obbligo e l’educazione dei bambini, la contestazione giovanile e la rivendicazione femminile. In tutti i casi, il suo non è stato un passaggio marginale e banalmente necessitato ma un attraversamento in senso pieno, con piena consapevolezza e coinvolgimento, e segni durevoli del suo transito. Questa ricchezza di temi, esperienze e messaggi non è un dettaglio tra i motivi che spiegano il fascino della storia del Priore di Barbiana. Tuttavia, l’aver lasciato una così grande eredità senza aver mai cercato alcunché se non la Parola di Dio e le strade del suo annuncio fa pensare che ci sia qualcosa di speciale in Don Milani, più e prima che in “cosa ha vissuto”, nel “come l’ha vissuto”. Qui, in questa specie di “discorso sul metodo”, è forse uno degli insegnamenti più importanti che ci ha lasciato, e trovarne traccia lungo il percorso vario ma coerente, eterogeneo ma convergente, della sua vita, può essere a ben vedere la cosa più importante di tutte.

Io sono un economista e un quantitativo e quindi non mancherò di far vedere, forse per la prima volta, nonostante l’ampia letteratura che lo ha riguardato, la profondità metodologica e pratica delle analisi di economia applicata presenti in molti suoi testi. La figura di un Don Milani economista non è difficile da tratteggiare. Ma questo è solo uno degli aspetti “sorprendenti” (per chi lo ha letto poco e male) di questo singolarissimo prete. Si vedrà, infatti, che senza forzature e senza, da parte sua, il ricorso ad alcuna citazione dotta o ad alcuna esplicita elaborazione metodologica, il suo pensiero, le sue convinzioni, le sue scelte appartengono di diritto a un universo concettuale ricchissimo, dove noi, a posteriori, e probabilmente in modo incompleto, vediamo ben limpidi i collegamenti, non solo con Socrate, Simone Weil e Gandhi (che faceva leggere ai suoi ragazzi) ma anche con Fëdor Dostoevskij, Hannah Arendt, Galileo Galilei, Karl Marx, Antonio Gramsci, Piero Calamandrei, Giuseppe Dossetti, Franz Kafka, Michael Polanyi, Cartesio, sant’Agostino, san Paolo, Karl Barth, Cesare Beccaria, Georges Bernanos, Elinor Ostrom, Dietrich Bonhoeffer, Pier Paolo Pasolini, Jean-Jacques Rousseau, Pierre-Joseph Proudhon, Ignazio Silone, Ernesto Balducci, Michael Young, Alexis de Tocqueville, John Stuart Mill e persino Banksy.

In questa prospettiva, il Don Milani pedagogo, maestro e educatore, il cattolico obbedientissimo, il sociologo rivoluzionario sono solo una parte, per quanto fondamentale, di una figura con un ben più vasto spessore culturale, che dialoga idealmente con le grandi figure del passato, che hanno toccato vette  insuperate di pensiero, dove l’uomo, come diceva lui, “somiglia davvero a colui che l’ha creato, che è sola mente e solo sapere” (30 marzo 1956).

Lettera di don Milani ai miei genitori, 26 aprile 1959, di ringraziamento per l’ospitalità a lui e ai suoi primi sei allievi durante una settimana a Milano (riportata in appendice ne “La casa nella pineta”)

Domenico, Carlo e Lorenzo

Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti. Questo il suo nome all’anagrafe. Nato a Firenze domenica 27 maggio 1923 e morto a Firenze lunedì 26 giugno 1967. Chi non sapesse nulla della vita di Don Milani, da queste notizie anagrafiche direbbe: un nome lungo un chilometro, quindi un signore, morto relativamente giovane, vissuto sempre a Firenze, o giù di lì. Tutto vero, eppure tutto sbagliato. Appena quarantaquattro anni sono bastati a Don Milani per lasciare un segno indelebile del suo passaggio e del suo messaggio: ventiquattro anni per trovare la strada, vent’anni per percorrerla e farne modello di libertà per tutti e strumento di riscatto per molti, per i poveri, per gli ultimi della società. Ha vissuto sempre intorno a Firenze ma è arrivato, quasi senza muoversi, in tutto il mondo. Nel nome sembra

compendiata la sua storia.

Domenico Milani Comparetti: un fanciullo di buona famiglia, col doppio cognome, a indicare la posizione altolocata, erede di professori e senatori, gente illustre, illuminata, colta. Ricco, bello, vivace,

cresciuto nelle comodità della vita benestante, nella città di Dante e del Magnifico. Un vero signorino.

Poi Carlo: giovane inquieto, che studia le materie classiche nel miglior liceo di Milano, città di san Carlo Borromeo, dipinge e cerca ispirazione tra l’istinto estetico e artistico e la coscienza etica e iperattiva.

Infine Lorenzo: sacerdote cattolico che ha sentito la chiamata e la vive intensamente, con piena consapevolezza, interpretandola e realizzandola in un modo che nessuno mai aveva tentato prima. Oggi ci sono molte opportunità per conoscere “direttamente” Don Milani: guardando certe foto, ormai famose, ascoltando alcune registrazioni di suoi discorsi, guardando alcuni video, presenti anche in rete, leggendo i suoi testi, pochi ma intensi, o le sue lettere, tante, vivissime, spesso anche divertenti. Tra i tanti documenti rintracciabili online, quelli curati da Alberto Melloni sono, in assoluto, i più belli ed emozionanti: come il video Lorenzino Milani, con le canzoni di Fabrizio De André in colonna sonora.

Ma ancora oggi, il modo migliore per conoscerlo è leggerlo. Ne deriva una conoscenza che non lascia mai indifferenti, che coinvolge, affascina, indigna, trascina. Raccontando vicende quotidiane manda un messaggio universale: tu sei un uomo e una donna liberi, responsabili, di fronte al bene e al male. Scegli sempre la verità e la giustizia. Ma lo dice davvero bene, lo argomenta ancora meglio, dà gli strumenti per pensare e per scegliere. È un esempio, una guida, un maestro.

Non potendo essere tra i ragazzi della sua scuola (e non è detto che ci avrebbe preso) prendiamo, leggiamo, studiamo il tanto che ci ha lasciato. Può aiutare a salvare la nostra coscienza e, secondo me, può anche aiutare a salvare il mondo: in entrambi i casi, non mi sembra poco.

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