SUL PARERE ESPRESSO DAL CNEL IN TEMA DI SALARIO MINIMO

Se le idee chiare su quello che si vuol fare non ci sono ancora, rinviare il progetto di legge in Commissione non è di per sé una cosa sbagliata; purché i parlamentari ne approfittino per chiarirsele: anche quelli di opposizione, su alcuni nodi non risolti nel loro progetto

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Intervista a cura di Fabio Paluccio pubblicata da ADN Kronos il 19 ottobre 2023 – In argomento v. anche la mia intervista pubblicata dal quotidiano La Stampa il 10 ottobre 2023

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Professor Ichino, come giudica il rinvio di ieri del provvedimento sul salario minimo dopo il parere del Cnel?
Se le idee chiare su quello che si vuol fare non ci sono ancora, rinviare il progetto di legge in Commissione non è di per sé una cosa sbagliata. Purché maggioranza e opposizione ne approfittino per chiarirsele, le idee; e purché non sia, da parte della maggioranza, solo un modo per rinviare alle calende greche.

L’opposizione sembra averle abbastanza chiare.
Ma il CNEL ha posto una questione di importanza cruciale, sulla quale il progetto di legge dell’opposizione tace: la questione, cioè, delle differenze rilevanti di costo della vita e di potere d’acquisto della moneta tra le varie zone del Paese, con particolare riferimento alle aree metropolitane. Se lo standard minimo vuole affrontare la sostanza del problema, il provvedimento non può ignorare questo problema.

A parte questo tema, per lei la posizione del Cnel è corretta?
Il documento del CNEL contiene molte osservazioni utili e interessanti. Però non affronta la questione di fondo. Sostiene che la contrattazione collettiva, coprendo più di nove decimi del tessuto produttivo, costituisce lo strumento adatto per combattere il lavoro povero; ma non considera che in alcune pieghe del tessuto produttivo dove si annida il lavoro povero la contrattazione collettiva non arriva proprio. Anche in alcuni settori dove arriva, del resto, soprattutto nei settori dei servizi alle persone e alle imprese, i contratti collettivi prevedono dei minimi retributivi molto bassi.

A suo parere per contrastare il lavoro povero la strada giusta è il salario minimo o ci sono altre possibilità?
Uno standard minimo fissato per legge e debitamente modulato tenendosi conto delle differenze di potere d’acquisto della moneta è sicuramente uno strumento utile, che potrebbe essere introdotto in via sperimentale in alcuni settori più a rischio. Serve per correggere alcune distorsioni del mercato, causate da difetti di informazione e di mobilità delle persone. Ma certamente non è questa la sola arma contro il lavoro povero.

Quali sono le altre?
La povertà lavorativa si combatte soprattutto favorendo l’aumento della produttività del lavoro nelle fasce professionali più basse. E per aumentare la produttività del lavoro occorre favorire la transizione delle persone dalle imprese marginali a quelle più efficienti, che cercano personale qualificato senza trovarlo in un caso su due, in tutte le fasce professionali: anche nelle più basse. Per questo occorrono, ancora, servizi di informazione e assistenza alla mobilità; ma soprattutto formazione mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti, della quale venga monitorata capillarmente la qualità e l’efficacia.

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