LAVORO: ANCORA DATI BUONI, MA LE CONTRADDIZIONI RESTANO

L’occupazione continua a crescere in percentuale e in valore assoluto (23,8 mln); restano stabili al 15% i posti di lavoro a termine; ci sono anche i primi segni di recupero salariale rispetto a una inflazione ridotta al minimo – Ma l'”inverno demografico” rischia seriamente di diventare una minaccia grave per il sistema economico italiano

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Numero 161 del bollettino
Mercato del Lavoro News, organo della Fondazione Anna Kuliscioff, 7 maggio 2024, a cura di Claudio Negro – Su questo sito è disponibile il n. 156 dello stesso bollettino, sul tema L’occupazione cresce per effetto dell’export, ma… .

Per l’ennesima volta i dati ISTAT sull’occupazione sono ottimi: il tasso d’occupazione raggiunge il 62,1, record assoluto del XXI secolo. Poiché (legittimamente) si obietta che questo e altri dati espressi in percentuale possano risentire, nel loro miglioramento, di una diminuzione del denominatore che corrisponde alla popolazione in età di lavoro che come noto decresce per ragioni demografiche, è opportuno notare che il dato occupazionale cresce anche in termini assoluti: 23.849.000, è anch’esso record assoluto.

Per lo sconforto di Landini è inevitabile rimarcare che il numero dei contratti a tempo indeterminato cresce ancora (+10.000) stabilendo come ormai da diversi mesi il record storico; per una volta però non cala il numero dei contratti a termine: +6.000, che però sono dopo molto mesi di calo ben inferiori ai 3.118.000 di Aprile 2022. L’incidenza del lavoro a termine è ora del 15%, in flessione rispetto al 15,4% di gennaio.
Il tasso di inattività cresce leggermente (+0,1%) ma si ferma ai livelli di Gennaio 2023. Come prevedibile in presenza di una crescita dell’inattività si riscontra un calo della disoccupazione (- 0,2%). La corrispondenza tra i due valori è testimoniata anche dal curioso dato per cui su base trimestrale all’aumento in numeri assoluti degli inattivi (+40.000) corrisponde un identico calo del numero di disoccupati (-40.000). La stabilità di questi dati, insieme ad una crescita continua dell’occupazione descrive un mercato del lavoro stabile e discretamente solido.
Cominciano a dare segnali di movimento anche le retribuzioni contrattuali, rinnovate per una copertura di quasi l’80% dei lavoratori dipendenti: mediamente le retribuzioni orarie sono cresciute del 3% rispetto a marzo 2023 e dello 0,3% rispetto a febbraio 2024, segno che coi nuovi CCNL i salari sono in crescita modesta ma non occasionale. Interessante mettere a fuoco il rapporto tra inflazione e aumenti contrattuali: nel comparto industriale nel primo trimestre l’aumento medio salariale contrattuale è stato del 4,7% rispetto al primo trimestre 2023 e per i servizi privati del 2,3% a confronto di un’inflazione nello stesso periodo dell’1%. Segno che i nuovi CCNL tutelano con buon margine i salari dall’inflazione e consentono anche di recuperare parte (quanta? Per quanto tempo?) del potere d’acquisto perso prima del 2023. Resta il fatto che i salari italiani sono bassi in modo inaccettabile: ma questo argomento merita un’analisi precisa e ben documentata.
Fin qua le buone notizie.

È opportuno però un outlook su un futuro non lontanissimo: ammesso che la congiuntura economica non cambi verso, il mercato del lavoro italiano porta in sé un paio di bugs che prima o poi potrebbero scatenare una crisi. Il primo è quello del “gelo demografico” che progressivamente ridurrà il numero delle forze di lavoro (occupati e in cerca di occupazione) aggravando il deficit che già esiste tra domanda e offerta di lavoro. La risposta non potrà essere che in una (o in tutt’e due le seguenti opzioni: sostenere l’offerta di lavoro attingendo al serbatoio dell’immigrazione (occorrono però politiche mirate, soprattutto di formazione, come la Spagna sta già sperimentando); oppure convincere a cercare lavoro almeno una parte degli inattivi.
Secondo bug, il mismatch, per cui le imprese cercano lavoratori senza trovarli e i lavoratori cercano, senza trovarle, le imprese. In questo caso la risposta al problema dovrebbe essere quello di politiche che consentano alle imprese di trovare i lavoratori, e viceversa: si chiamano politiche attive del lavoro, e in Italia sono praticate solo raramente e in poche zone del Paese.
Eppure sono l’unica risposta ai problemi di crisi del mercato del lavoro che si profilano in un futuro non lontano, o che addirittura, come il mismatch, sono già qui. Tanto per dare un’idea delle condizioni delle politiche attive in Italia basta guardare il grafico sotto, che rappresenta i tempi di transizione tra un lavoro e un altro per un lavoratore europeo: si prende in esame il percorso di un lavoratore (rioccupazione, inattività, disoccupazione) in un periodo di 12 mesi dal 2021 al 2022

Come si può vedere l’Italia occupa bravamente gli ultimi posti della classifica.
È illusoria l’idea di mantenere la crescita dell’occupazione facendo sconti alle aziende sul costo del lavoro: nel 2023 solo il 18% degli avviamenti ha utilizzato le varie agevolazioni per assunzioni, quasi tutte peraltro con la “decontribuzione Sud”.
Risorse che andrebbero più opportunamente spese, finché siamo in tempo, per le politiche attive del lavoro.

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