POMIGLIANO: SE NON C’E’ VIOLAZIONE DI LEGGE, TUTTO E’ MATERIA NEGOZIABILE

SE NON C’E’ VIOLAZIONE DI LEGGE – E NELL’ACCORDO DI POMIGLIANO NON C’E’ – TUTTO IL RESTO E’ MATERIA NEGOZIABILE: I LAVORATORI, PER MEZZO DEL SINDACATO, DEVONO POTER VALUTARE E SCEGLIERE LIBERAMENTE SE SCOMMETTERE O NO SUL PIANO INDUSTRIALE CHE VIENE LORO PROPOSTO, TENENDO CONTO DELLE ALTERNATIVE DI CUI DISPONGONO

Intervista a cura di Ilario Lombardo, sul Secolo XIX del 21 giugno 2010

Partiamo dalla vicenda di Pomigliano. Fino a che punto si può arrivare a derogare al contratto nazionale per un investimento e posti di lavoro garantiti?
Fino al punto in cui non siano violate le leggi dello Stato.

Qui la Fiom-Cgil sostiene che sono state violate.
Non è così: entrambe le clausole denunciate dalla Fiom, in materia di sciopero e di malattia, sono pienamente legittime e sensate: sia nell’interesse dell’impresa sia in quello dei lavoratori. E aggiungo che sono anche molto ragionevoli: il sindacato farebbe bene a chiederne l’introduzione anche nel contratto nazionale. Un rifiuto dell’accordo avrebbe potuto essere motivato, semmai, sui ritmi pesanti di lavoro e le pause, ma non con le pregiudiziali indicate dalla Fiom.

Vuol dire che il sindacato può disporre nel contratto del diritto di sciopero dei lavoratori?
La clausola di tregua è la chiave di volta di qualsiasi sistema di relazioni industriali ben funzionante. L’alternativa è il modello della “conflittualità permanente”: se l’Italia vuole smettere di essere il fanalino di coda in Europa per capacità di intercettare gli investimenti nel mercato globale, non può far suo questo modello.

E secondo lei l’accordo aziendale può disporre del diritto del lavoratore alla retribuzione in caso di malattia?
La legge attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di stabilire quando e quanto deve essere retribuito il lavoratore assente per malattia. In una situazione come quella di Pomigliano, in cui il tasso di assenze si impenna regolarmente quando si gioca la partita al mercoledì, una clausola che escluda in questo caso, e solo in questo, il pagamento della retribuzione è più che opportuna. Nell’interesse dei lavoratori onesti, che sono la maggioranza, prima ancora che nell’interesse dell’impresa.

Da una parte si è parlato di un “ricatto”, dall’altra di “una necessità”. Chi ha ragione?
Se non c’è violazione della legge, tutto il resto è materia negoziabile. Il sindacato deve essere l’intelligenza collettiva che consente ai lavoratori di valutare il piano industriale e la credibilità dell’imprenditore che lo propone. Se la valutazione è positiva, deve saper anche scommettere su di esso.

Lei ha sostenuto che Pomigliano «costituisce l’ennesima conferma della grave inadeguatezza del sistema italiano delle relazioni industriali». Cosa intende?
Che in Italia, oggi, l’accordo che deroghi al contratto nazionale si può stipulare soltanto se tutti i sindacati sono d’accordo. Questo fa sì che in caso di dissensi insanabili si crea una situazione di paralisi. Come accadde due anni fa nella trattativa con Air France-KLM per Alitalia. È anche questo uno dei motivi per cui l’Italia non sa attirare gli investimenti stranieri: negoziare un piano industriale innovativo, da noi, è molto più difficile che altrove.

A quarant’anni dalla sua emanazione, cosa e quanto si può mettere in discussione dello Statuto dei Lavoratori?
Lo Statuto, come l’attuale contratto nazionale dei metalmeccanici, è stato scritto quarant’anni fa, quando nelle aziende non soltanto non c’erano i pc e internet, ma non c’erano neppure i fax e le fotocopiatrici; anche le indagini motivazionali e i test psicoreattivi avrebbero fatto la loro comparsa più tardi. Nel tessuto produttivo è cambiato tutto: è ovvio che anche la legge debba essere interamente aggiornata.

Come?
Con altri 54 senatori ho presentato il disegno di legge n. 1873 per un nuovo Codice del Lavoro semplificato, che sostituisce mille pagine di leggi oggi in vigore con 75 articoli leggibili da parte di chiunque, applicabili davvero a tutti e non soltanto a meno di metà dei lavoratori, come accade oggi per lo Statuto del 1970. E traducibili in inglese: un requisito indispensabile per rendere l’Italia più appetibile per gli investimenti stranieri. Per i dettagli devo rinviare al mio sito: www.pietroichino.it.

Cosa pensa del cosiddetto Collegato Lavoro, attualmente in discussione al Senato?
È il contrario di quel che occorrerebbe: complicatissimo, disorganico, illeggibile. Una greppia per avvocati e consulenti. Non è questo il tipo di riforma di cui il nostro diritto del lavoro ha bisogno.

Ci dia un ricetta semplice per migliorare il mercato del lavoro.
È quella della flexsecurity, cui si ispira il diritto del lavoro per le nuove generazioni delineato nella nostra proposta per il nuovo Codice del Lavoro: tutti a tempo indeterminato, tutti fortemente protetti contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. Libere le aziende di operare subito l’aggiustamento industriale quando occorre, accollandosi però il costo sociale delle loro scelte: quindi un trattamento complementare di disoccupazione e servizi di outplacement che garantiscano ai lavoratori licenziati per motivi economici od organizzativi una sicurezza di livello scandinavo.

L’Europa chiede all’Italia l’equiparazione delle pensioni tra donne e uomini. Non crede però che, accanto a questa riforma, ci sia bisogno di altre misure per colmare il gap del lavoro ?
Credo sia giusto accettare questo vincolo comunitario, non considerandolo una sconfitta o una imposizione, ma assumendo come interesse nazionale prioritario il passaggio a un nuovo equilibrio e l’abbandono del vecchio “equilibrio mediterraneo”. Ed è altrettanto giusto e opportuno, per ogni euro risparmiato nel bilancio pensionistico, destinarne quattro alla promozione del lavoro femminile e dei servizi alla famiglia. E’ un costo per il bilancio dello Stato che si ripaga da solo, con l’aumento del tasso di occupazione delle donne e il corrispondente allargamento della base produttiva.

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