PERCHE’ LA CGIL SBAGLIA, SVALUTANDO I NUOVI CONTENUTI DEL DISEGNO DI LEGGE SULLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

E’ INTERESSE PRIORITARIO DEL SINDACATO CHE NEL SETTORE PUBBLICO SI DIFFONDA E SI RADICHI LA CULTURA DELLA TRASPARENZA TOTALE, DELLA VALUTAZIONE INDIPENDENTE E DEL BENCHMARKING COMPARATIVO

Trascrizione dalla registrazione dell’intervento di Pietro Ichino al convegno promosso dalla Fondazione “Luoghi comuni” e dalla Cgil Funzione Pubblica a Roma, il 3 dicembre 2008, sul tema Il ritorno della legge per dominare il lavoro pubblico. Dove ci portano le (contro)riforme del Governo? Il convegno era stato aperto da una relazione di Pietro Barrera, fortemente critica sul disegno di legge uscito dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato. Due settimane dopo il convegno, il 18 dicembre 2008, il disegno di legge sulle amministrazioni pubbliche è stato approvato dal Senato: v. l’intervento di Pietro Ichino nella discussione generale, tratto dal resoconto stenografico della seduta. Dallo stesso resoconto risulta come i principi della trasparenza totale, dell’indipendenza della valutazione e del benchmarking comparativo, contenuti originariamente nel disegno di legge del PD (n. 746/2008), nel testo legislativo varato dal Senato siano stati ulteriormente rafforzati.

Pietro ICHINO

Vi ringrazio per questo invito e mi scuso se l’impegno di presenza in Aula per il voto, questa mattina, priverà me e Paolo Nerozzi della possibilità di rimanere qui fino alla fine dei lavori.
Ho molto apprezzato la relazione di Pietro Barrera per la sua precisione e anche per l’approccio laico che la ispira, ma ho una critica strutturale da muoverle: la relazione individua quattro assi portanti della strategia del ministro Brunetta, ma non individua l’asse portante della strategia dell’opposizione su questo terreno. Questo potrebbe giustificarsi con il fatto che l’opposizione sta all’opposizione e non è in grado di incidere sulle scelte compiute dal Parlamento; se non fosse che in questa vicenda in particolare, nel campo su cui incide il disegno di legge di cui stiamo discutendo ‑ per una serie di circostanze fortunate, tra le quali una forte attenzione dell’opinione pubblica ‑ l’opposizione ha avuto un suo raro momento di efficacia parlamentare, riuscendo a far prevalere, per un verso, la neutralizzazione o quanto meno un forte depotenziamento di due degli elementi cardine della strategia governativa, come individuata dalla relazione di Barrera, per altro verso la propria impostazione come vero elemento caratterizzante, anzi vero e proprio asse portante, del testo legislativo che è uscito dal lavoro di Commissione.
Qual è questo asse portante? L’asse portante della nostra iniziativa, che si esprime nel disegno di legge n. 746, presentato un mese prima del disegno di legge governativo, è costituito da due grandi principi, anzi – per così dire – due e mezzo. Il primo principio è quello della valutazione indipendente: là dove non può e non deve essere il mercato a selezionare le strutture secondo la loro efficienza, a individuare i punti di sofferenza, di inefficienza in una struttura come quella dell’amministrazione pubblica, è necessario che ci sia un organo indipendente capace di svolgere una valutazione di efficienza attendibile. Oggi è disponibile una grande abbondanza di strumenti, di metodi, di esperienze accumulate in almeno tre decenni nei Paesi più avanzati del nostro su questo terreno. La valutazione, dicevo, deve essere affidata ad un valutatore di cui sia garantita l’indipendenza, in modo che il suo risultato possa essere immediatamente utile per il governo delle amministrazioni, ma anche per la contrattazione collettiva in seno ad esse e per la cittadinanza interessata al loro buon funzionamento: una valutazione credibile, oggettiva, autorevole, che possa costituire il punto di riferimento per il management nella sua attività organizzativa e direttiva, per i politici nella negoziazione degli obiettivi con il management e nella verifica della loro realizzazione, per l’opinione pubblica e la cittadinanza che deve poter chiedere conto del raggiungimento degli obiettivi stessi ai politici e al management. Questo è il primo punto.
L’altro punto è la trasparenza, trasparenza totale: quella che nei Paesi anglosassoni viene chiamata total disclosure. Perché trasparenza totale? Perché l’esperienza almeno ventennale dei Paesi più avanzati – che sono i Paesi del Nord Europa, ma anche la Nuova Zelanda, l’Australia, il Canada – ci dice che non c’è valutazione autorevole, valutazione oggettiva, valutazione a cui tutte le parti possano fare riferimento con fiducia, se non c’è trasparenza totale delle amministrazioni. La trasparenza non deve riguardare soltanto il risultato della valutazione. Badate che già questo sarebbe un passo avanti enorme perché in Italia il risultato dell’attività dei nuclei di valutazione, là dove essi esistono e funzionano, non è pubblico, non è visibile: per esempio, nell’università nessuno conosce le loro valutazioni sulle singole cattedre, i singoli Dipartimenti, eccetera. Ma la trasparenza deve riguardare immediatamente, fin dal momento della loro prima rilevazione, i dati su cui la valutazione viene esercitata; perché, se i dati sono immediatamente disponibili, accessibili per la cittadinanza, questo consente a tutti, alle associazioni degli utenti, ai ricercatori universitari, ai sindacati dei lavoratori, dei lavoratori pubblici come di altri, alla stampa specializzata, di effettuare la stessa valutazione in proprio, quindi consente che le valutazioni prodotte spontaneamente dalla società civile si confrontino con la valutazione svolta dal valutatore indipendente (ma pur sempre interno all’organizzazione), costituendo così un fattore di verifica e validazione di quest’ultima.
Il momento di confronto tra valutazione interna, l’internal auditing, e il civil auditing, la valutazione esterna, è costituito dalla public review, cioè da un incontro pubblico nel quale l’organo di valutazione indipendente propone una prima versione della propria relazione annuale, il proprio annual report in progress, e gli osservatori qualificati espressi dalla società civile la discutono. Un confronto, dunque, nel quale eventuali compiacenze, eventuali manifestazioni di non indipendenza effettiva del valutatore interno, o anche semplicemente eventuali difetti involontari della sua valutazione, potrebbero essere evidenziati e contrastati pubblicamente.
Dicevo che questi due – valutazione indipendente e trasparenza totale ‑ sono i cardini dell’iniziativa del Partito democratico su questo terreno, che nel corso della discussione in Commissione hanno finito col prevalere, come vere e proprie idee-forza. C’è poi un altro elemento importante, che in realtà è un corollario dei primi due: il benchmarking comparativo.
Se gli indici di andamento gestionale – o “indicatori di performance”, come li chiamano nei Paesi anglosassoni ‑ sono coordinati dal centro, in modo da essere correttamente confrontabili tra loro, se quindi c’è un coordinamento di metodo tra tutti i nuclei di valutazione che operano in amministrazioni omologhe, questo consente di mettere le amministrazioni stesse in ordine di efficienza in relazione ai vari indici. Questo consente, dunque, alla cittadinanza, agli utenti di una determinata zona, di esigere che la propria amministrazione, se non è tra le più virtuose, si riallinei almeno alla media; consente, cioè, di imporre al dirigente un obiettivo misurabile preciso, con scadenze ben determinate. E consente alla cittadinanza di chiedere conto del raggiungimento di questo obiettivo ai politici; e non soltanto al momento delle elezioni, ma anche mese per mese, in tempo reale; la trasparenza – appunto – consente di verificare passo per passo se e come l’obiettivo viene raggiunto.
Di tutto questo nel disegno di legge originario del ministro Brunetta non trovate una virgola. Quest’idea non c’era proprio! Era indicato in modo genericissimo l’obiettivo di una valutazione meritocratica, ma era un’enunciazione puramente verbale, priva di qualsiasi strumentazione, quindi velleitaria e non credibile. Il risultato rilevante del lavoro della Commissione in Senato è stato, per un verso, di inserire questi principi nel testo legislativo, per altro verso di correggere drasticamente i contenuti originari caratterizzanti dell’iniziativa di Brunetta, in particolare quello che riguardava la divisione dei compiti tra legge e contratto collettivo. E non è cosa di poco rilievo: a questo era dedicato l’art. 2 del disegno di legge originario del Governo; ora, di quell’art. 2 non è rimasto più quasi nulla! È stato sostituito con un emendamento che è citato testualmente nella relazione di Barrera: “è riservata alla contrattazione collettiva la determinazione dei diritti e delle obbligazioni pertinenti al rapporto di lavoro”: una formulazione amplissima, che risponde a tutte le preoccupazioni espresse dallo stesso relatore.
È vero, rimangono i punti interrogativi che sottolineava Barrera riguardo a questo risultato legislativo per quel che riguarda le progressioni di carriera e per quel che riguarda l’esercizio del potere disciplinare. Sono gli unici punti su cui è rimasta nella legge una formulazione vicina a quella originaria. È vero; però mettiamoci una mano sulla coscienza, noi che vogliamo difendere il ruolo della contrattazione collettiva: quest’ultima nel decennio passato ha ben meritato nel Paese su queste due materie? Io dico di no, purtroppo il Sindacato e le parti della contrattazione collettiva hanno esercitato male il potere che è stato affidato loro dalle riforme Cassese e Bassanini…
VOCE DAL PUBBLICO- Tu diresti che, prima della privatizzazione, la Pubblica Amministrazione era meglio di quella di oggi?
ICHINO – No, dico che in questi ultimi quindici anni l’autonomia collettiva su questi terreni è stata esercitata male e, quando si esercita male una prerogativa, prima o poi si paga il conto…
VOCE DAL PUBBLICO- Quando non c’era la contrattazione era peggio!
ICHINO– Certo! Ma qui non è stato sancito affatto un ritorno alla situazione di prima. Nel testo legislativo uscito dalla Commissione si dice, anzi, esplicitamente che la contrattazione resta competente in via esclusiva per tutto quanto attiene a diritti ed obblighi derivanti dal rapporto di lavoro. Sul punto delle progressioni di carriera ‑ questo è un punto dolente ‑ sono d’accordo, c’è un punto interrogativo; non c’è un vero e proprio ritorno indietro, ma c’è un punto sul quale il dubbio di Barrera resta rilevante, non può considerarsi senz’altro infondato. Ma non è facile difendere la competenza esclusiva dell’autonomia collettiva quando questa è stata esercitata come lo è stata nel recente passato, focalizzandosi esclusivamente sugli interessi economici degli impiegati addetti al singolo comparto, senza alcuna attenzione all’interesse fondamentale del buon funzionamento dell’amministrazione.
Quanto alla materia disciplinare, la contrattazione collettiva ha creato bardature di fatto paralizzanti per l’esercizio del potere disciplinare: procedure tali per cui adottare una sanzione, anche per mancanze gravissime, è diventato quasi impossibile. Era inevitabile che questa distorsione, questa anomalia creata dalla contrattazione collettiva generasse una reazione sul piano politico-legislativo; e sostenere che queste anomalie e distorsioni le deve correggere spontaneamente la stessa contrattazione collettiva, secondo me, è un po’ velleitario, è un po’ intellettualistico. Non possiamo non chiederci se sia credibile che la contrattazione sia capace da sola di fare piazza pulita di quelle bardature. Io non lo credo! Credo, invece, che il sindacato confederale dovrebbe essere molto più attento nella valutazione dell’impatto negativo che queste distorsioni producono sulla sua immagine di fronte all’opinione pubblica.
Il fatto, allora, che ci sia un intervento correttivo ‑ d’accordo ‑ può suscitare delle preoccupazioni; è giusto essere vigili; ma dobbiamo stare molto attenti a che questa vigilanza non assomigli a una difesa ottusa, pregiudiziale, di ciò che è accaduto negli ultimi 15 anni, perché questo sarebbe veramente sbagliato, si ritorcerebbe contro il sindacato stesso.
Questa è la critica che muovo alla relazione di Barrera: non ci si può limitare a sottolineare questi due punti di perplessità sul testo legislativo uscito dalla Commissione, come se essi assumessero un valore negativo cruciale, ignorando i contenuti innovativi positivi che in esso sono stati inseriti. A me sembra che il sindacato non possa compiere questo errore, non possa cioè chiudere totalmente gli occhi sulla svolta che in questo passaggio parlamentare è avvenuta, con l’assunzione all’interno del disegno di legge, come elementi caratterizzanti, dei principi di valutazione indipendente, trasparenza e benchmarking comparativo. Il sindacato non può ignorare che questi sono elementi fondamentali per una strategia di potenziamento della struttura pubblica, per ridare prestigio alla funzione pubblica, per consentire al sindacato stesso di uscire dai discorsi generici su questo terreno.
Questo è ciò che noi traiamo dalle migliori esperienze internazionali con cui possiamo confrontarci: è solo attraverso la creazione di strutture di valutazione indipendenti, attraverso la trasparenza e il benchmarking, che noi possiamo difendere la struttura pubblica dall’erosione, sia essa attuata attraverso le privatizzazioni o attraverso l’outsourcing.
La convergenza che si è determinata sulle nostre proposte tra noi e il presidente della Commissione, Carlo Vizzini, ma anche con il capogruppo del Pdl Maurizio Castro ha costretto il ministro a far buon viso a cattivo gioco. Più volte la Commissione ha detto: “La legge si fa in Parlamento, non la fa il Governo”; ed è questo che ha consentito la riscrittura quasi integrale del testo legislativo. È interesse anche del sindacato valorizzare questa svolta, difendere i nuovi contenuti che in questo modo sono stati introdotti nel testo: non dimentichiamo che esso deve ancora superare il vaglio dell’altro ramo del Parlamento. Sbaglierò, forse mi fa velo l’impegno speso direttamente e personalmente in questa vicenda; ma mi sembra sbagliato che, sparando a zero sul risultato di questo passaggio parlamentare, noi svalutiamo e quindi indeboliamo proprio quei nuovi contenuti che invece sarebbe interesse vitale del Sindacato difendere.
Senza una valutazione oggettiva e indipendente, senza la disponibilità sistematica di indici di andamento gestionale credibili, non è possibile introdurre gli incentivi giusti per il buon funzionamento delle amministrazioni, a tutti i livelli; non è possibile differenziare gli investimenti e la distribuzione delle risorse secondo l’effettiva efficienza e produttività delle strutture. Di questo, invece, abbiamo assoluto bisogno per valorizzare e potenziare le amministrazioni pubbliche. E il sindacato, o per lo meno la parte migliore del movimento sindacale, se non valorizza quello che si è ottenuto su questo terreno, rischia di privarsi dell’unica sponda di cui può disporre per un’azione progressiva e non regressiva.

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