IL METODO SPERIMENTALE VA APPLICATO ANCHE AL WELFARE

UN APPROCCIO PIÙ PRAGMATICO È NECESSARIO NON SOLTANTO NELLA MATERIA DEL DIRITTO DEL LAVORO, MA ANCHE IN QUELLA DELLA PREVIDENZA E DELL’ASSISTENZA – LE FONDAZIONI BANCARIE POSSONO ESSERE PROTAGONISTE, SU QUESTO TERRENO, GARANTENDO LA NECESSARIA INDIPENDENZA DEI RICERCATORI CUI LA SPERIMENTAZIONE VERRÀ AFFIDATA

Articolo di Giuseppe Guzzetti sul Corriere della Sera del 2 aprile 2011 – In argomento v. anche gli atti del convegno di Lucca del 25-26 marzo 2011

Caro Direttore, lo scorso 25 marzo, con un ottimo articolo su questo giornale (Serve un riformismo «sperimentale»), Maurizio Ferrera suggeriva di affrontare i problemi del sistema di welfare italiano con più pragmatismo e meno dogmatismo.
Ferrera ricordava infatti che – in molti Paesi europei (e negli Stati Uniti) – le riforme economiche e sociali sono sempre più spesso precedute da studi approfonditi e da esperimenti controllati che – grazie al crescente utilizzo della metodologia dei random controlled trial – consentono una valutazione accurata degli esiti possibili delle riforme, confrontando i risultati ottenuti da un gruppo sperimentale (cui si applica la riforma) con quelli di un gruppo di controllo (cui invece continuano ad applicarsi le misure vigenti). In tal modo solo le riforme che producono i risultati auspicati possono venire estese all`intera popolazione, evitando sprechi. Come ricordava ancora Ferrera, il nostro Paese è invece «tradizionalmente incline al dogmatismo dei principi piuttosto che al pragmatismo basato sui fatti».
L`approccio di Ferrera è pienamente condivisibile e vi è da ritenere che la stia adozione consentirebbe un radicale miglioramento del modo in cui vengono ideate e realizzate le politiche sociali ed economiche in Italia, così come – molto probabilmente – anche un radicale risparmio di spesa, grazie alla possibilità di attuare solo riforme che dimostrano di essere efficaci, così come di controllare e correggere gli effetti perversi ed inattesi delle riforme stesse.
E’ dunque utile prendere spunto da questo ragionamento per compiere un ulteriore passo avanti.
Infatti, il nostro sistema di welfare – lungi dal presentarsi come un monolite – vede ormai la presenza attiva di una pluralità di soggetti – pubblici e privati – che operano come finanziatori ed erogatori di servizi. Molti servizi sociali, sanitari ed educativi – infatti – non sono più erogati esclusivamente da soggetti pubblici (Asl, ospedali, case di riposo, scuole e così via governate dalla pubblica amministrazione) ma anche da soggetti non-profit (cooperative sociali, fondazioni, organizzazioni di volontariato e di solidarietà sociale), come pure da imprese a scopo di lucro a cui i cittadini possono liberamente rivolgersi. Allo stesso modo, non tutta la spesa di welfare è finanziata dalla pubblica amministrazione perché molti servizi godono dei sussidi derivanti dai contributi delle fondazioni filantropiche o di quelli derivanti dal lavoro volontario (o pagato meno del mercato) di molti lavoratori del non-profit.
In questo sistema di «welfare plurale» è dunque lecito interrogarsi su quale debba essere il ruolo che – più opportunamente – i diversi soggetti debbono giocare, così da consentire ad ognuno di loro dì esercitare solo i compiti che può portare a termine meglio. Per quello che riguarda le fondazioni di origine bancaria – e la Fondazione Cariplo in particolare – da tempo affermiamo che il nostro ruolo non possa essere quello di finanziare a piè di lista i servizi che il settore pubblico non riesce più a coprire. Infatti un ruolo sostitutivo delle amministrazioni pubbliche come finanziatore dei servizi non sarebbe sostenibile, prima di tutto dal pinto di vista quantitativo: se anche le fondazioni decidessero di dedicare integralmente le proprie risorse al finanziamento della spesa sanitaria nazionale, i denari sarebbero esauriti già dal 6 gennaio.
Se le fondazioni non sono il soggetto adatto a «finanziare la risoluzione dei problemi dei cittadini» in maniera universale (ruolo che spetta alla amministrazione pubblica, al mercato e al settore non-profit), esse si trovano invece nella peculiare condizione di potere giocare meglio di altri il ruolo dello sperimentatore pragmatico di possibili innovazioni nelle politiche sociali ed economiche, proprio la funzione che Ferrera invoca per il nostro Paese. La loro natura privata e non-profit (che consente loro di prendere rischi senza scontentare elettori e azionisti e di guardare al lungo periodo e ai “rendimenti sociali differiti”) mette le Fondazioni di origine bancaria nella condizione ideale per progettare, sperimentare e valutare modi nuovi per affrontare i problemi del nostro welfare, cioè per sottoporre a test interventi di riforma del nostro sistema: un ruolo che possono svolgere più facilmente e con minori criticità rispetto all’amministrazione pubblica (poco attrezzata per affrontare eventuali fallimenti) e al settore non-profit (che spesso non dispone di risorse per sperimentazioni su larga scala).
Se le fondazioni si eserciteranno sempre più in questo ruolo – e se a questo le solleciteranno le amministrazioni pubbliche ed il terzo settore, anziché limitarsi a chiedere loro di tappare qualche falla nel sistema dei finanziamenti – il sistema di welfare italiano potrà agevolmente aumentare il proprio tasso di pragmatismo e – di conseguenza – di efficacia.
La Fondazione Cariplo si è già indirizzata in questa direzione avviando, due anni orsono, una della prime sperimentazioni controllate in campo sociale svolte in Italia; si tratta del progetto Lavoro & Psiche che sta testando – attraverso un random controlled trial – una nuova metodologia per facilitare l`inserimento lavorativo di disabili psichici in Lombardia, in collaborazione con la Regione e con molte organizzazioni del settore. Con la stessa metodologia della sperimentazione controllata sono in fase di avvio anche interventi nel campo delle politiche dell`istruzione (con l`obiettivo di aumentare la percentuale di alunni di origine straniera che frequenta percorsi di istruzione superiore) e nel campo delle politiche sociali (per affrontare il tema dei senza fissa dimora).
È un approccio poco ideologico che mira ad offrire, alla amministrazione pubblica e all`intero Paese, ciò che le fondazioni possono sviluppare meglio: conoscenza – pubblicamente disponibile e scientificamente testata – su ciò che funziona e ciò che non funziona nel campo delle politiche di welfare.

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