LA “LINEA CHIARA” DEL PD NON È IL “PENSIERO UNICO”

SUL QUOTIDIANO DEL PD UN OPINIONISTA IMPUTA A ME UN ARTICOLO DELL’EDITORIALISTA DELLA STAMPA LUCA RICOLFI – MA DIETRO LO SVARIONE SI LEGGE UN FASTIDIO PER IL PLURALISMO DELLE IDEE E DELLE PROPOSTE IN SENO AL PD, MANIFESTATO ESPLICITAMENTE ANCHE IN UN INTERVENTO DI CESARE DAMIANO

La mia lettera a Europa, pubblicata il 25 giugno 2011, la risposta di Federico Orlando sullo stesso numero di Europa e la versione integrale di una mia controreplica pubblicata, con alcuni tagli per ragioni di spazio,  su Europa del 28 giugno – In argomento v. anche la lettera del senatore Paolo Giaretta a Europa del 1° luglio 2011

LA MIA LETTERA A EUROPA DEL 25 GIUGNO 
Caro Direttore,
era già curioso che un lettore di Europa, tale Andrea Terrigno, nella lettera pubblicata ieri a pagina 8, avesse attribuito a me un fondo di Luca Ricolfi comparso sulla Stampa il giorno prima, qualificandomi anche come politologo. Ma è ancora più curioso – anzi stupefacente – che il curatore della rubrica Federico Orlando, nella sua articolata e pensosa risposta ad Andrea Terrigno, sotto il titolo Perché l’intellighenzia critica il suo partito quando vince?, ripeta e convalidi quell’errore arricchendolo di corollari, senza chiedersi da quando io sarei diventato politologo, e da quando editorialista della Stampa.
Sia chiaro: che le mie gravi colpe di critica nei confronti del Pd siano confuse con quelle di Luca Ricolfi non può che onorarmi. Ma, in questo caso, chiedo di essere assolto per non aver commesso il fatto. Cordialmente
Pietro Ichino

LA REPLICA DI FEDERICO ORLANDO: “TROPPO FREQUENTE INSODDISFAZIONE VERSO IL PD”
Mi scuso col senatore Ichino, essendo soltanto mia – il lettore non c’entra – la svista e la sostituzione di nomi. Stavo leggendo in contemporanea (accade spesso nel mestiere) l’articolo di Ricolfi sulla Stampa, che mi ha spinto alla polemica, e le affermazioni di Ichino nella tavola rotonda con Fassina e Alleva sull’ultimo numero di Micromega: affermazioni già rese note nella sua mozione minoritaria di Genova su precariato e contratti. Il tema della mia lettera era la troppo frequente insoddisfazione di alcuni intellettuali verso il proprio partito, il Pd, anche quando vince. Non crede anche il senatore Ichino, quando dice che si sentirebbe onorato di far sue le critiche di Ricolfi, di spiegare un po’, se non di giustificare, l’equivoco del giornalista?
Federico Orlando

LA MIA LETTERA A EUROPA DEL 28 GIUGNO: “TROPPE COSE CHE NON TORNANO E TROPPO FASTIDIO PER LA PLURALITÀ DELLE IDEE E DELLE PROPOSTE NEL PD”
Caro Direttore,
nella replica di Federico Orlando alla mia lettera pubblicata dal quotidiano da te diretto il 25 giugno ci sono troppe cose che non tornano.
   1. Su Europa del 24 giugno compare la lettera di tale Andrea Terrigno di Pescara, il quale se la prende con me per un fondo sulla Stampa di qualche giorno prima, non mio (in realtà scritto e firmato dal politologo Luca Ricolfi), lamentando che un parlamentare del Pd critichi la linea del suo partito anche quando questo vince le elezioni. Alla mia rettifica Orlando risponde: “il lettore non c’entra, essendo soltanto mia la svista e la sostituzione di nomi”. Ma come sarebbe a dire che “il lettore non c’entra”? Nella lettera non è stato sostituito solo il nome “Ricolfi” con “Ichino”, ma c’è l’aggiunta della qualifica: “illustre senatore del Pd”! Orlando vuol farci credere che per pura sbadataggine, oltre alla sostituzione del nome, nel trasferire in pagina la lettera gli è scappato anche l’inserimento della qualifica?
   2. E poi, se la lettera di Terrigno fosse stata davvero correttamente riferita, originariamente, a Luca Ricolfi, essa non avrebbe avuto alcun senso, perché il politologo editorialista della Stampa non è affatto, né è mai stato (a quanto mi risulta), iscritto al Pd. Che senso avrebbe prendersela con un opinionista indipendente, se l’intendimento è quello di criticare gli intellettuali del Pd che manifestano dissenso dal partito stesso?
   3. Dobbiamo dedurne che la lettera di questo Andrea Terrigno sia soltanto un artificio (in sé del tutto innocuo) cui sovente gli opinionisti fanno ricorso nelle rubriche di posta, quando hanno qualche cosa nel gozzo che vogliono tirar fuori: si creano l’occasione per farlo, scrivendosi da soli la lettera a cui rispondere. Dunque, Federico Orlando vuole scrivere un pezzo sul tema Perché l’intellighenzia critica il suo partito quando vince? e decide di creare una lettera fittizia che gli dia l’occasione per scriverlo. Niente di male. Senonché questa idea – dice ora Orlando – gli è venuta leggendo  “le affermazioni di Ichino nella tavola rotonda con Fassina e Alleva sull’ultimo numero di Micromega”,  che poi ha confuso con l’editoriale di Ricolfi sulla Stampa. Ma come è possibile costruire una polemica sulla confusione fra le 30 pagine di una  tavola rotonda in tema di politica del lavoro pubblicate in una rivista mensile con l’editoriale pubblicato in prima pagina da un quotidiano, dedicato a tutt’altro argomento (l’esito dei referendum)?
   4. La cosa più curiosa di tutte, poi, è che in quella tavola rotonda pubblicata da Micromega non esprimevo alcuna critica nei confronti del Partito democratico: per la precisione, né il Pd né alcun suo atto o documento è mai nominato, in alcuno dei tre interventi che ho svolto in quel dibattito. Mi limitavo a discutere molto pacatamente con il responsabile dell’Economa dello stesso Pd e con un giuslavorista molto vicino alla Cgil sul modo migliore per superare il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro. Che senso ha indicare nella mia partecipazione a quel dibattito la manifestazione di una “troppo frequente insoddisfazione di alcuni intellettuali verso il proprio partito”? O dobbiamo pensare che secondo Federico Orlando la disciplina di partito vieti di discutere le opinioni del responsabile dell’Economia del partito stesso?
   5. Quella tavola rotonda, per essere pubblicata  sul numero di Micromega uscito in edicola il 16 giugno, doveva comunque essersi svolta – come effettivamente si era svolta – prima delle elezioni amministrative e del referendum. Come potevano, dunque, i miei interventi in quel dibattito stimolare Federico Orlando a una polemica contro “l’intellighenzia che critica il suo partito quando vince”?
       Per pura coincidenza venerdì scorso stavo partecipando alla Direzione del Pd, nel corso della quale, poco dopo aver letto su Europa la risposta di Federico Orlando all’immaginario Andrea Terrigno, ho sentito Cesare Damiano concludere il suo intervento con la stessa frase con la quale egli aveva commentato pochi giorni prima le conclusioni dell’Assemblea programmatica del Pd sul lavoro e le relazioni industriali: “C’è stato un dibattito aperto, ma ora sulla politica del lavoro il partito ha deciso la sua linea e tutti devono farla valere con una voce sola; non deve accadere che il giorno dopo leggiamo la solita intervista su di una linea diversa”. Mi è parso di percepire, in questa conclusione dell’ex-ministro del Lavoro, il vero significato dell’intervento un po’ sgangherato di Federico Orlando su Europa: basta con questi intellettuali saccenti e permanentemente insoddisfatti, il partito ha bisogno di più
unità e più disciplina da parte di tutti! Ma nell’intervento di Orlando c’è qualche cosa di più rispetto a quello di Damiano: ora che il partito ha vinto le elezioni, viene meno il motivo del discutere. E un avvertimento implicito: comunque il partito, ora che ha vinto, ha anche la forza per far valere quella disciplina.
       Se è così, non posso che dissentire da questa istanza di Federico Orlando (e di Cesare Damiano): a norma dello statuto, oltre che di un elementare buon senso democratico, la disciplina di partito vincola soltanto nel momento del voto, non nel momento dello studio, dell’elaborazione e del dibattito, neppure di quello che si svolge pubblicamente sulle pagine dei giornali. Sono convinto di quel che ho detto in apertura del mio intervento all’Assemblea di Genova:  l’unità che rende forte il Partito democratico non è quella che nasce da un “pensiero unico”, secondo il modello del partito monolitico del secolo scorso, ma è quella che nasce dalla volontà di stare insieme di persone con idee e retroterra culturali diversi. Il partito ha bisogno di una linea chiara, certo, ma anche di una attività di elaborazione e dibattito continuo, fonte di un patrimonio di idee e materiali programmatici che guardino anche al di là del politicamente possibile oggi, per costruire fin d’ora anche il politicamente possibile domani.
       Dell’utilità di questo patrimonio, del resto, proprio in materia di politica del lavoro abbiamo una prova evidente proprio in questi giorni: il partito dovrà pur aggiornare rapidamente il suo programma su questo terreno, dopo che le due parole d’ordine principali approvate dall’Assemblea di Genova due settimane fa – in materia di parificazione della contribuzione previdenziale e in materia di apprendistato – sono state immediatamente fatte proprie dal Governo.
        Con immutata cordialità,  Pietro Ichino

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