SUGLI SKILL SHORTAGES E I SERVIZI PER L’IMPIEGO

Lettera pervenuta il 3 aprile 2012 da Romano Benini, in riferimento alla mia inchiesta in tre puntate: 1. La sorpresa del lavoro che non si vede ma c’è, sul Corriere della Sera del 1° aprile; 2. Due giacimenti occupazionali cui dobbiamo imparare ad attingere, del 2 aprile; 3.  Come aprire il mondo chiuso del lavoro, del 3 aprile 

Gentile professore, sono Romano Benini. Dopo aver lavorato anni fa al processo di riforma dei servizi per l’impiego e del mercato del lavoro (ero consulente dei gruppi parlamentari DS e del presidente della Commissione Lavoro) da ben 12 anni mi occupo professionalmente di servizi per il lavoro e politiche attive, per Italialavoro, regioni, province, servizi pubblici ed anche per il sistema delle agenzie per il lavoro. Insegno anche sociologia e politica del lavoro. Il mio punto di vista è empirico ed in questi anni ho potuto constatare il danno in termini reali sul nostro mercato del lavoro delle scelte fatte sulla base di posizioni ideologiche, dai diversi punti di vista.
A seguito della lettura dei suoi recenti articoli sul Corriere, dopo essermi confrontato con alcuni colleghi del settore pubblico e privato, mi premeva offrirle alcune considerazioni, sperando di non disturbarla.

DATI UnionCamere. Il mismatching tra offerta e domanda delle imprese è un dato presente e lo specchio del mancato funzionamento del nostro mercato del lavoro, tuttavia i dati UnionCamere sono a campione e si basano su dichiarazioni di intenti, sono quindi di solito, alla prova dei fatti, in parte sovrastimati. Appare interessante, invece, incrociare le rilevazioni UnionCAmere con l’effettivo flusso delle comunicazioni on line tramite i servizi per l’impiego: è un termometro attendibile su cui tuttavia il Ministero non riesce ad avere informazioni aggiornate così da posizionare in modo più realistico i programmi di intervento (il Ministero non sa nemmeno ufficialmente quanti e dove sono i disoccupati, in verità).

Servizi pubblici e privati. Da un suo articolo esce la frase: i servizi per l’impiego non fanno outplacement, le agenzie sì.
La questione è forse un po’ più complessa. Se per outplacement si intende i servizi mirati per il reimpiego di personale di fascia medio alta nei processi di ristrutturazione (con il tipo di remunerazione da lei citata), questo è in buona parte vero, ma è anche vero che le agenzie di outplacement in quanto tali in Italia sono poche, stanno su una parte limitata dei disoccupati e non sul “cuore” del problema, e non hanno dato spesso ovunque buoni esempi. Tenga conto che nei fatti da Firenze in giù il sistema dei servizi pubblici e privati è davvero in condizioni pietose, per vari motivi e che anche le esperienze di incarico a società di outplacement nei processi di reimpiego (es : Regione Lazio 2008-2011) si sono rivelate deludenti.
Questo non significa che non si debba sostenere la funzione delle agenzie specializzate in outplacement, come le francesi, ma serve un quadro chiaro e servono servizi di orientamento e bilancio di competenze che in genere fa il sistema pubblico (all’estero, ma anche in alcune province italiane questo è stato fatto dignitosamente). Questa mancanza di raccordo pubblico privato è all’origine del fallimento di alcune operazioni di outplacement.
Rispetto al placement, alla capacità dei servizi di incrociare domanda ed offerta sia in modo ordinario che in riferimento a casi di licenziamento collettivo, solo alcuni rilievi: il sistema pubblico dove ha le risorse riesce ad avere buoni risultati (al Centro Nord il dato medio è il sei per cento, contro il 4 delle agenzie private, tenga però conto che di solito il pubblico non verifica l’esito delle preselezioni delle candidature inviate alle imprese, quindi il dato è anche sottostimato, ovviamente la media rilevata dall’Isfol è più bassa per la situazione disastrosa da Firenze in giù, in cui i soldi sono stati usati anche per ben altro e la cultura del lavoro è ferma alla raccomandazione); in ogni caso, il fatto che il sistema pubblico e privato in Italia piazzi lavoratori quattro o cinque volte meno della Germania o della Francia è un segnale più ampio: riflettiamo sul fatto che i nostri servizi in questi dieci anni hanno avuto esattamente quattro o cinque volte meno risorse umane e finanziare della Germania e della Francia e magari anche un po’ sul fatto che, al di là di tre eccezioni tra le regioni italiane, la regionalizzazione estrema del governo del mercato del lavoro ha prodotto alla prova dei fatti un peggioramento del governo del lavoro sul territorio e privato il Paese di livelli essenziali del servizio. Pensi che secondo i dati della Commissione Europea solo in tre regioni italiane il funzionamento del mercato del lavoro migliora i dati delle potenzialità economiche.
L’orientamento europeo come lei mi insegna è quello di: migliorare l’efficacia delle politiche attive e degli incentivi posizionandole su efficaci servizi per il lavoro sostenere la collaborazione tra il sistema pubblico e privato, che è peraltro chiesta dai privati che ritengono che validi servizi pubblici che svolgono orientamento, bilancio di competenze e preselezione preparino le condizioni del placement non scaricandone i costi sul privato ( ed in questo caso mi creda una remunerazione di 1500 euro ad inserimento è già adeguata).
Dati alla mano, dove la pianificazione è provinciale il rapporto con il territorio e con le imprese è più efficace ed il mercato più regolato ( es: Genova, Parma, Torino, Varese etc…). Mantenere queste funzioni alle province, però sembra per il governo sia conservatore e sbagliato (eppure i dati mi danno ragione).
In ogni caso questo è l’altro tema: standard di servizio, responsabilità individuate e pianificazione sul territorio.
Infine i costi: il nostro è il paese in Europa in cui gli incentivi e le politiche del lavoro vanno a remunerare meno chi svolge il placement, effettua l’incontro tra domanda ed offerta. Solo da poco
tempo alcuni programmi nazionali prevedono il bonus per l’inserimento e le agenzie, quantomeno quelle con cui lavoro, da poco si stanno attrezzando a questa funzione. Pensi che di fatto quando Sacconi aveva previsto il bonus di 50 milioni per il reimpiego attraverso le agenzie di intermediazione le stesse agenzie ( non dichiarandolo, ma era così) non erano molto convinte di poterlo fare. Ora le cose stanno cambiando, ma in un quadro caotico e solo su singoli programmi.
L’unica regione che ha attuato questo sistema di finanziamento è la Lombardia col sistema dote. Da un recente confronto fatto con ISFOL, Varesi , Liso, Tiraboschi ed il sottoscritto emerge che:
a) il sistema pubblico accreditato in Lombardia ha fatto buon uso delle doti lavoro per il reimpiego del disoccupato, a dimostrazione che è una funzione che non è estranea al servizio pubblico in sè;
b) il sistema privato in Lombardia lamenta l’accentramento regionale del mercato ed auspica una collaborazione con il pubblico sulle politiche attive e sulla formazione, che il modello lombardo ( che vuole solo la concorrenza tra i sistemi ) invece non prevede.
Nei prossimi giorni seguirò su questi temi il confronto tra regioni e UPI sul ruolo dei servizi per il lavoro e continuerò ad affiancare alcune realtà private.
Sono molto preoccupato del fatto che le informazioni reali che provengono dalle centinaia (perchè sono centinaia e Manpower o Ggroup non fanno il sistema) di agenzie e dalle centinaia di servizi (anche qui la Toscana sarà brava ma è una eccezione) non arrivano a questa politica e devo dire che le prime uscite del governo su questo tema (la maxi agenzia a forte rischio di carrozzone ) mi sembrano un po’ approssimative. Per non dire dei partiti.
Spero che la sua attenzione a questi temi possa quantomeno evitare altri danni.
Romano Benini

jj

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