LA SORPRESA DEL LAVORO CHE NON SI VEDE MA C’È

ABBIAMO UNA PERCEZIONE DEL NOSTRO MERCATO DEL LAVORO COME DI UN BUCO NERO, DI UNA TRAPPOLA INFERNALE; MA OGNI ANNO, IN TUTTA LA PENISOLA, SI STIPULANO MILIONI DI CONTRATTI DI LAVORO – OCCORRE CHIEDERSI PERCHÈ QUESTE OCCASIONI DI OCCUPAZIONE RESTINO INACCESSIBILI

Prima puntata di un’inchiesta, pubblicata sul Corriere della Sera il 1° aprile 2012 – V. anche la seconda puntata, pubblicata il 2 aprile: Due giacimenti occupazionali cui dobbiamo imparare ad attingere; e la terza, pubblicata il 3 aprile: Come aprire il mondo chiuso del lavoroSui temi di questa inchiesta v. anche il fondo di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera del 4 aprile: Le verità nascoste sul mercato del lavoro

   Scarica il grafico relativo all’inchiesta in versione pdf  

     Monti e Fornero hanno dalla loro un argomento fortissimo: il progetto di riforma che il governo sta per presentare in Parlamento allinea il nostro diritto del lavoro a quello degli altri Paesi europei. Ma a questo argomento gli italiani che difendono l’articolo 18 ne contrappongono uno altrettanto forte: l’Italia non è come gli altri Paesi europei, perché da noi il lavoro manca; chi lo perde ha una enorme difficoltà a ritrovarlo.
     Ora, la difficoltà a ritrovarlo – e ancor più a trovarlo per la prima volta ‑, in Italia, è indiscutibile; e ne vedremo i motivi specifici nella prossima puntata di questa inchiesta. Ma di lavoro da noi ce n’è molto più di quanto si pensi, anche in questo periodo di vacche magre (e potrebbe essercene ancor di più se fossimo capaci di abbattere il diaframma che separa domanda e offerta di manodopera: sarà questo il tema della terza puntata).
     La tabella qui sotto mostra il numero dei contratti di lavoro dipendente che sono stati stipulati nel corso del 2010 in ciascuna delle nove regioni che sono in grado di fornire questo dato. Un numero sorprendentemente alto: nell’occhio del ciclone della crisi più grave dell’ultimo secolo, queste regioni hanno fatto registrare in un anno circa quattro milioni di contratti di lavoro.

Piemonte                 507.833
Lombardia            1.283.291
Liguria                    189.819
Trentino A.A.          250.369
Veneto                    625.850
Friuli V. Giulia        128.757
Emilia Romagna      703.866
Marche                   206.067
Umbria                   107.449
dati relativi al 2010, forniti dagli Osservatori regionali del lavoro

     Vero è che, se si disaggregano questi dati, ne risulta meno di un milione di contratti a tempo indeterminato. Ma anche solo questo è un bel numero, se si considera che le persone rimaste nello stesso periodo senza il posto per crisi occupazionali aziendali si misurano con uno o due zeri di meno. Per esempio: in Veneto, tra l’ottobre 2010 e il settembre 2011, gli assunti a tempo indeterminato sono stati 145.600. Nel corso del 2011, coloro che hanno perso il posto per licenziamenti collettivi sono stati 11.807; e per licenziamenti individuali (quasi tutti in imprese sotto i 16 dipendenti) 22.671. Dunque: nella stessa regione, pur in un periodo di grave crisi, per ogni licenziato sono stati stipulati quattro contratti a tempo indeterminato.
     Ancora nel Veneto – la regione che fornisce i dati più aggiornati, completi e analitici – risulta che negli ultimi anni quattro persone su dieci che hanno perso il posto lo hanno ritrovato in tre mesi, otto su dieci lo hanno ritrovato entro un anno. È all’incirca la stessa cosa che emerge, da una ricerca della Banca d’Italia su dati Inps per il periodo 1998-2005, in riferimento all’intero territorio nazionale: anche da quei dati, sorprendentemente, risulta che otto italiani su dieci ritrovavano il lavoro entro un anno da quando lo avevano perso. La differenza, fra prima e dopo lo scoppio della grande crisi, è che appare molto peggiorato il rapporto tra assunzioni a tempo indeterminato e a termine, o comunque con contratti precari.
     Se le cose stanno così, come si giustifica il fatto che diamo normalmente per scontata la prospettiva di anni e anni di cassa integrazione per chi perde il posto? Per esempio: in quello stesso Veneto nel quale sono stati stipulati 145.000 contratti a tempo indeterminato nel corso dell’ultimo anno, ci sono due aziende – la Iar Siltel di Bassano del Grappa e la Finmek di Padova ‑ dove poche centinaia di lavoratori sono in cassa integrazione da sette anni. Non è forse questo il segno di un modo profondamente sbagliato di affrontare il problema della perdita del posto di lavoro nel nostro Paese?
     Sento già l’obiezione: questi sono dati riguardanti il centro-nord, ma nel Mezzogiorno le cose vanno in modo molto diverso. È vero; ma al sud le cose vanno in modo meno diverso di quanto si pensi. La tabella che segue ci fornisce il dato complessivo dei rapporti di lavoro attivati al nord, al centro e al sud.

NUOVI CONTRATTI DI LAVORO IN ITALIA

  NORD CENTRO SUD
2010 4.128.632 2.430.977 3.573.730
1° sem. 2011 2.173.577 1.272.194 1.878.542

Fonte: Min. Lav., Sistema informativo delle Comunicazioni Obbligatorie

     Anche al Sud, dunque, le occasioni di lavoro ci sono. Certo, ne occorrono di più, perché anche così il tasso complessivo di occupazione in Italia è troppo basso, e poi perché se aumenta la domanda aumentano le retribuzioni e la forza contrattuale dei lavoratori; ma già oggi i nuovi contratti si contano a milioni ogni anno. La ricerca del posto dovrebbe apparirci all’incirca come un succedersi di gare di dieci concorrenti per nove posti. Perché invece percepiamo il nostro mercato del lavoro – e soprattutto di quello meridionale ‑ come un grande “buco nero”, una trappola infernale dalla quale tenersi il più possibile alla larga? Come si spiega che, con tutti questi contratti di lavoro stipulati ogni anno, sia effettivamente così difficile per i disoccupati trovare un posto nel tessuto produttivo italiano?
     Cercheremo di rispondere a questa domanda nella prossima puntata, mettendo a fuoco il muro – più alto e più spesso rispetto ai Paesi del centro e nord-Europa – che da noi separa la domanda dall’offerta di lavoro. Qui c’è ancora spazio per un’osservazione: dalla riforma costituzionale del 2001, le nostre Regioni hanno una competenza legislativa e amministrativa piena in materia di servizi al mercato del lavoro e tutte ovviamente spendono risorse rilevanti per questo capitolo di bilancio; ma, dal Lazio in giù, nessuna delle nostre Regioni è in grado di fornire neppure il numero dei contratti di lavoro stipulati sul proprio territorio. Per non dire di tutti gli altri dati disaggregati che sarebbero indispensabili per governare efficacemente l’incontro fra domanda e offerta. Se esse stesse non conoscono nulla del proprio mercato del lavoro, come possono farlo conoscere ai lavoratori che ne avrebbero bisogno?

(1 – continua)

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