PER I DIPENDENTI DEI PARTITI DEFUNTI, ALLE CAMERE TORNA L’IMPONIBILE DI MANODOPERA

UNA DELIBERA DELLA PRESIDENZA RIBADISCE LA SOSTANZIALE RENDITA VITALIZIA PER CHI NEGLI ULTIMI VENT’ANNI ABBIA LAVORATO ANCHE SOLTANTO PER POCHI MESI PER UN GRUPPO PARLAMENTARE POI ESTINTO

Editoriale per la Nwsl n. 244, 11 aprile 2013 – In argomento v. anche il mio intervento in Senato del 10 aprile e, nella legislatura passata, quello svolto il 22 giugno 2011 – Qui sotto i testi delle delibere con cui la materia è stata regolata alla Camera dei Deputati in questo avvio della XVII legislatura

icona-dwl8 Scarica la Deliberazione 10 aprile 2013 dell’Ufficio dei Questori della Camera sulla ripartizione del contributo unico tra i Gruppi

icona-dwl8 Scarica la Deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera 4 aprile 2013 n. 8 sul contributo annuale ai Gruppi

icona-dwl8 Scarica il testo della Deliberazione dell’Ufficio di Presidenza della Camera 21 dicembre 2012, integrato con le modifiche apportate dalla Deliberazione 4 aprile 2013 n. 9, sui rapporti di lavoro alle dipendenze dei Gruppi

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Mentre 2000 dipendenti di aziende private ogni giorno perdono il posto di lavoro e devono cercarne un altro affidandosi all’assegno di disoccupazione, ce ne sono alcuni che possono dormire sonni tranquillissimi anche se il loro datore di lavoro chiude. Anche se ha chiuso dieci o venti anni fa. Sono i dipendenti dei Gruppi parlamentari. Nel giugno 2011, al termine di un’indagine resa difficilissima dall’opacità della gestione del Senato e dei suoi Gruppi, in un intervento svolto in Aula avevo denunciato il modo incredibile, consolidatosi nel tempo, in cui dalle Camere viene affrontato il problema occupazionale di alcune decine di ex-dipendenti dei Gruppi della DC, del PSI, del MSI, dei Verdi, e di alcuni altri partiti non più esistenti (per la precisione, oggi le persone interessate sono 100 alla Camera e 59 al Senato): sostanzialmente si garantisce loro lo stipendio – e che stipendio! – anche quando non si ha alcun lavoro da assegnare loro. E per ottenere il risultato non si esita a imporre ai Gruppi una sorta di “imponibile di manodopera”: “se hai tot parlamentari, devi assumere tot dipendenti”.
Dopo il giugno 2011, quando svolsi quell’intervento, in Italia è accaduto il finimondo: lo spread è salito a quota 560, è caduto il Governo Berlusconi, lo Stato ha rischiato il fallimento, milioni di persone si sono viste aumentare bruscamente l’età della pensione, un milione di esse ha perso il lavoro senza ritrovarlo, un Papa si è dimesso, il Movimento 5 Stelle ha sconvolto lo scenario politico nazionale con la sua straordinaria performance elettorale in nome della lotta intransigente ai costi della politica, ma quei dipendenti dei partiti defunti non hanno nulla da temere: sia pure con un pizzico di restyling, le delibere assunte quasi all’unanimità dagli Uffici di Presidenza dei due rami del Parlamento sono arrivate, puntuali come la cartolina di precetto, all’inizio di questa legislatura come delle precedenti, a rinnovare la garanzia di continuità dei loro stipendi (o vitalizi?). Ogni Gruppo esistente viene fortemente incentivato – alla Camera addirittura obbligato – a prenderseli in carico, ma quelli che nessuno vuole vengono assegnati d’autorità al Gruppo Misto. Con erogazione di 65.000 euro per ciascun dipendente a favore del Gruppo che lo assume (con contratto di diritto privato), a copertura dei relativi oneri retributivi e contributivi.
Chiedo a un senatore del M5S: “voi su questa voce di costo della politica non avete niente da dire?” Mi risponde: “Non si può mettere tutta questa gente sulla strada da un giorno all’altro”. Ma tra il mettere la gente sulla strada da un giorno all’altro e garantirle lo stipendio a vita anche senza lavoro le alternative non mancano. Camera e Senato ben potevano in passato e tuttora potrebbero, per esempio, garantire a ciascuno di questi un robusto trattamento complementare di disoccupazione, anche per due anni, e accompagnarlo con un buon servizio di outplacement, e magari anche con un premio per il datore di lavoro disposto ad assumerli. Sarebbe ancora un trattamento di gran privilegio rispetto a quello riservato alla generalità dei lavoratori italiani che perdono il posto; ma costerebbe al contribuente molto molto meno di quei 65.000 euro all’anno garantiti fino all’età della pensione.

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