SE GLI ARTIGIANI DIFENDONO LA CIG IN DEROGA

REPLICO LORO CHE NON HA SENSO STABILIZZARE UN PROVVEDIMENTO NATO COME RISPOSTA A UN’EMERGENZA, CHE PREVEDE L’EROGAZIONE DI UN TRATTAMENTO DI NATURA ASSICURATIVA SENZA CHE SIA STATO PAGATO IL RELATIVO PREMIO ASSICURATIVO

Lettera pubblicata da Linkiesta il 1° agosto 2013, in riferimento al mio intervento in Senato del 16 luglio 2013 e alla lettera di una lavoratrice del 23 luglio 2013 – Segue la mia risposta

Leggendo la lettera pubblicata sul quotidiano LINKIESTA titolata “Cassa Integrazione in Deroga, quante risorse sprecate”, già pubblicata sul sito del Senatore Ichino, mi sono sentito di reagire alle critiche mosse alla piccola impresa, quella che in Italia assicura lavoro dipendente alla maggioranza degli occupati .
Credo sia bene far sapere che nella mia provincia, Treviso, lo scorso anno, nel solo settore artigiano, che conta 28 mila dipendenti (edilizia esclusa che si paga la sua speciale cigo) sono stati 2.600 (circa 1 su 10) i lavoratori che hanno firmato con i sindacati, un accordo di CIGD (cassa integrazione in deroga) in circa 700 ditte. L’effettivo utilizzo della stessa si è attestato al 30% delle ore richieste. L’esperienza dimostra quindi che quelle della CIGD non sono state “risorse sprecate”, hanno concretamente evitato migliaia di licenziamenti. Se un’impresa artigiana apre una procedura per l’utilizzo dell’ammortizzatore lo fa perché è certa di avere delle riprese lavorative a breve (orizzonte mese). Diversamente chiuderebbe i battenti.
Gli artigiani non usano la CGID per riorganizzazioni aziendali e/o per “dribblare” i perduranti vincoli sul licenziamento fissati dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori che non hanno. Sono consapevoli, utilizzandolo in via emergenziale dal 2008, che il provvedimento è una soluzione transitoria nell’attesa del definitivo modello di ammortizzatore sociale per la PMI, come previsto dalla riforma Fornero.
Sia ben chiaro poi che la CIGD nata per ditte senza cigo e cigs (quindi non utilizzabile dalle ditte industriali già difese dai loro ammortizzatori standard) è stata pesantemente utilizzata da tante ditte industriali decotte (che in un un colpo solo mandano in CIGD centinaia di lavoratori ossia l’equivalente di 50 ditte artigiane), per discutibili operazioni di salvaguardia in situazioni di manifesta e conclamata assenza di riprese lavorativa e senza che nessun professore o politico avesse nulla da ridire. Emblematico su tutti il caso dell’ALITALIA che in un mix tra cigs e cig in deroga è arrivata a garantire ai suoi dipendenti 10 anni di sussidio mai intervallato da lavoro .
Invito pertanto ad essere cauti nel criticare la cigd, uno dei pochi, concreti aiuti offerti ai dipendenti delle piccole ditte del manifatturiero.
Forse per il prof. Ichino sarebbe stato meglio optare per un’impennata dei licenziamenti, compromettendo ulteriormente la qualità della vita di molte famiglie della provincia produttiva italiana? Il prof. Ichino crede davvero che i centri per l’impiego, senza mezzi e risorse perché finanziati dalle provincie ormai al tramonto, o il sistema delle SPA della somministrazione, avrebbero salvato, senza un tornaconto economico, i licenziati per crisi senza fare un massiccio ricorso preventivo alla demonizzata formazione riqualificante?
Confartigianato nel Veneto ha, da oltre 25 anni, un suo modello di ammortizzatore sociale: la Sospensione dell’Ente Bilaterale integrata oggi dall’ASPI. Si tratta di 90 giornate, senza obblighi formativi, in cui l’ente bilaterale si sostituisce al datore di lavoro nel pagare il lavoratore sospeso per crisi con un sussidio di € 8,50 per ogni giorno di mancato lavoro, integrato da un contributo dell’Inps di circa € 20, arrivando su base mensile all’equivalente della cigo industria (80% dello stipendio medio mensile).
Da conoscitore dell’impresa artigiana e della PMI in generale, ritengo che l’alternativa alla CIGD sia il modello della sospensione Bilaterale/ASPI appena illustrato. Si dovrà negoziare il costo con il legislatore , rispettando l’autonomia negoziale del settore artigiano senza pretendere che gli enti bilaterali siano inglobati dall’INPS. Credo che aver destinato risorse pubbliche per salvare posti di lavoro sia stata una scelta vincente per il sistema produttivo, manifatturiero colpito da una vera e propria catastrofe.
Non si pensi poi che la stagione degli incentivi per assumere, varata dal Governo Monti, sia capace di ricollocare i tanti licenziati. Ricordo che:
• gli incentivi della Riforma Fornero, promessi la scorsa estate, per i datori di lavoro che ampliavano il loro personale arruolando donne e gli over 50 arrivano con 12 mesi di clamoroso ritardo e con ingestibili condizioni d’applicazione;
• i vantaggi ad assumere anche a termine, dalla lista della piccola mobilità (L.236/1993) sono spariti dall’inizio di quest’anno;
• i recenti incentivi Giovannini, specie quello per assumere giovani d’età compresa tra i 18 e i 29 anni, si stanno rivelando “spot” utili solo per chi li ha emanati e fonte di incertezze per le ditte che li dovrebbero ricevere. Si tratta di vere e proprie lotterie dove, a parità di assunzione, qualcuno nella stessa zona artigianale, vince l’incentivo qualcun altro no, con buona pace della concorrenza leale tra imprese sul costo del lavoro.
Questo sarebbe il meccanismo ideato per rilanciare l’occupazione? Grazie, la teoria non ci interessa continuiamo a privilegiare la concretezza che offre assumere con l’apprendistato (magari con meno formazione esterna) e a richiedere l’estensione del riscatto Aspi a favore del datore di lavoro anche per le assunzioni a tempo determinato.
*presidente Confartigianato Marca Trevigiana

LA MIA REPLICA

Al Presidente degli artigiani di Treviso rispondo con una osservazione: la Cassa integrazione è per sua natura un trattamento di natura assicurativa, che come tale dovrebbe basarsi su di un equilibrio fra la contribuzione versata dalle imprese e i pagamenti effettuati dall’Istituto previdenziale. Nel 2009, in via eccezionale e provvisoria, a seguito dello scoppio della grande crisi, si è deciso di erogare quel trattamento anche al di fuori del rapporto assicurativo, quindi in situazioni nelle quali esso non era sorretto da alcuna precedente contribuzione, e senza alcuna regola o requisito predeterminato. Dovrebbe essere evidente a tutti che un ampliamento dei beneficiari come questo, fondato sui principi per cui “paga Pantalone” e “tutti sono invitati alla festa”, può durare solo per un tempo molto breve. Invece siamo già al quinto anno, e – come questa lettera dimostra – c’è già chi teorizza che… “Pantalone deve continuare a pagare e tutti devono poter continuare a goderne”. Il risultato pratico è che questa manna piovuta dal cielo al di fuori di qualsiasi regola è andata e continua ad andare a sostegno non soltanto di persone e imprese che effettivamente lo avrebbero meritato, ma anche – e molto diffusamente – di vere e proprie truffe come quelle descritte nella lettera  su Cassa Integrazione in Deroga, quante risorse sprecate, che ha dato origine a questo utile dibattito. Basti pensare che – come lo stesso Presidente degli artigiani di Treviso riconosce – la Cassa integrazione dovrebbe per sua natura intervenire soltanto nei casi in cui è ragionevole prevedere la ripresa del lavoro nell’azienda da cui il lavoratore formalmente dipende, mentre di fatto più di tre quarti della Cig in deroga è stata erogata in situazioni nelle quali il lavoro era interrotto da molti anni (persino otto, dieci, e oltre) e nelle quali le prospettive di ripresa nella stessa azienda erano nulle.
Se vogliamo un sistema di sostegno del reddito dei lavoratori in difficoltà moderno e sostenibile, dobbiamo renderci conto di un dato che nel resto di Europa è considerato ovvio, mentre a sud delle Alpi è considerato ovvio il contrario: cioè che un trattamento di entità collegata all’ultima retribuzione del lavoratore è equo e sostenibile soltanto nell’ambito di un rapporto assicurativo, cioè sulla base di una contribuzione regolare e commisurata alla retribuzione stessa. Se invece si prescinde dalla contribuzione, si entra nel campo dell’assistenza; e questa, se non si vuol produrre posizioni di rendita ingiustificata e danni gravi al funzionamento del mercato del lavoro, deve essere erogata: a) soltanto in situazioni che rispondano a requisiti predeterminati e ben controllati e b) in misura proporzionata non all’ultima retribuzione, ma alla situazione di effettivo bisogno, sotto condizione della disponibilità del beneficiario a partecipare a tutte le iniziative necessarie per il reinserimento nel tessuto produttivo. A questi principi rispondono tutti gli schemi di reddito minimo di inserimento applicati nei Paesi più civili del nostro. Se vogliamo porci in grado di attivare quegli schemi anche in casa nostra, dobbiamo smettere di sperperare le risorse disponibili come le stiamo (in larga parte) sperperando con la Cig in deroga, erogata senza regole, che vuol dire in troppi casi erogata secondo le sole regole del clientelismo o addirittura del malaffare. Erogata, nel migliore dei casi, senza alcuna “condizionalità” riguardo alla disponibilità effettiva del beneficiario per la ricerca di una nuova occupazione.   (p.i.) 

 

 

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