CUNEO FISCALE E NUOVO MERCATO DEL LAVORO

CONTRATTO A PROTEZIONI CRESCENTI, COMPLEMENTARIETÀ TRA SERVIZIO PUBBLICO E SERVIZI PRIVATI NEL MERCATO, ABBATTIMENTO DEL CUNEO FISCALE E CONTRIBUTIVO: LE RIFORME NECESSARIE E COME REALIZZARLE

Editoriale di Guido Tabellini pubblicato sul Sole 24 Ore il 22 dicembre 2013 – Segnalo la straordinaria corrispondenza tra le indicazioni proposte dall’autorevole economista e le proposte di Scelta Civica

Davvero è giunto il momento di dare una svolta all’azione del governo, per scuoterlo dal rassegnato immobilismo che ha mostrato finora? Se è così, non c’è dubbio che il lavoro è la questione centrale da cui partire. Sia per le conseguenze sociali e politiche di una situazione che minaccia di diventare intollerabile. Sia perchè il rilancio della domanda interna non ci sarà fino a quando non si ferma la crescita della disoccupazione.
Le riforme non sono difficili da realizzare sul piano tecnico, perché le distorsioni che bloccano l’occupazione in Italia sono evidenti e note da tempo (si veda da ultimo Tito Boeri su La Repubblica del 20 dicembre).
Al primo punto sta la riforma del mercato del lavoro che il governo Monti non è riuscito a fare. Per realizzarla occorre abbandonare le ipocrisie e riconoscere apertamente che il mercato del lavoro italiano è duale: da un parte chi è protetto da un lavoro stabile, dall’altro chi è senza lavoro o senza tutele. Poiché è politicamente troppo impegnativo scalfire le protezioni degli insiders, la riforma del mercato del lavoro dovrebbe riguardare esclusivamente i neo-assunti, e porsi come obiettivo quello di dare un lavoro migliore a chi oggi non ce l’ha o è completamente privo di tutele.
Per raggiungere questo obiettivo, le nuove assunzioni dovrebbero avvenire fin da subito tramite un nuovo contratto a tempo indeterminato che preveda tutele progressive con il passare del tempo. Il nuovo regime dovrebbe però rimuovere una delle principali inefficienze delle istituzioni italiane: il ruolo preponderante della magistratura nei licenziamenti individuali. L’incertezza sulle decisioni dei magistrati circa un eventuale reintegro del lavoratore licenziato scoraggia la domanda di lavoro, senza arrecare alcun beneficio al lavoratore. Come avviene nella maggior parte dei Paesi europei, un assetto equo ed efficiente dovrebbe affidarsi ai magistrati solo per impedire la discriminazione (con modalità che circoscrivano il più possibile decisioni arbitrarie della magistratura).
In tutti gli altri casi, e dopo un periodo di prova che può durare anche qualche anno, il lavoratore licenziato dovrebbe avere diritto esclusivamente ad un indennizzo monetario a carico del datore del lavoro e crescente con la sua anzianità di servizio, fino a raggiungere un limite massimo.
Una seconda ovvia distorsione da rimuovere riguarda il sistema di assicurazione contro il rischio di disoccupazione. La cassa integrazione è al tempo stesso iniqua e inefficiente. Iniqua perché protegge solo alcune categorie di lavoratori. Inefficiente, soprattutto in una crisi profonda come quella attuale, perché mantiene il lavoratore attaccato a posti di lavoro che di fatto non esistono più, incoraggiando il lavoro nero anziché la ricerca di nuove opportunità di impiego regolare. Con la disoccupazione che ha raggiunto e supererà il 12.5%, il problema non può più essere eluso. Bisognerebbe abolire la cassa integrazione in deroga, e introdurre un sussidio di disoccupazione decrescente nel tempo (fino a un reddito minimo di sussistenza) a cui possano accedere tutti coloro che perdono l’occupazione.
Come finanziare l’estensione della platea di beneficiari? Oltre ai fondi oggi destinati alla cassa integrazione, si potrebbero usare altre risorse male utilizzate, come quelle assegnate ai corsi di formazione gestiti dal sindacato. Inoltre, con una spesa pensionistica che supera il 15% del Pil e che è la più alta in Europa, risorse addizionali andrebbero cercate in risparmi di spesa sulle pensioni. Chi in passato è andato in pensione di anzianità, o chi ha usufruito di regimi pensionistici particolari, oggi percepisce un rendimento sui contributi versati che dal punto di vista attuariale è molto più generoso di quello previsto dall’attuale regime contributivo. Per le pensioni sopra una soglia minima, questo eccesso di rendimento rispetto al sistema contributivo potrebbe essere tassato, ad esempio con un aliquota del 10%, destinando i proventi ad un’estensione dei sussidi di disoccupazione. Ciò contribuirebbe a ristabilire più equità, sia tra generazioni che tra diverse categorie di lavoratori.
Il terzo capitolo delle riforme per l’occupazione riguarda l’abbattimento del cuneo fiscale sul lavoro, per stimolare la domanda di lavoro e la domanda interna, e aumentare la competitività della produzione italiana. Lo strumento più efficace è un taglio degli oneri sociali, che ha un effetto immediato (una riduzione dell’Irap avrebbe invece effetti ritardati), e che può essere ripartito tra minori costi per le imprese e più reddito disponibile per i lavoratori. Ma per essere efficace, il taglio deve essere significativo, nell’ordine dei 20 miliardi scaglionati su più anni ma annunciati subito.
Il problema è dove trovare la copertura finanziaria. Una risposta convincente potrebbe essere impostata in questo modo. La copertura per la riduzione degli oneri sociali pagati dalle imprese dovrebbe essere trovata in una riduzione dei trasferimenti pubblici alle imprese. Secondo le stime del rapporto Giavazzi, condivise anche da Confindustria, in questo modo dovrebbe essere possibile reperire circa 10 miliardi su un orizzonte pluriennale. Un taglio di dimensioni analoghe dovrebbe riguardare i versamenti a carico dei lavoratori. Applicando le regole del sistema contributivo, a questa parte della riduzione degli oneri sociali dovrebbe corrispondere una riduzione delle pensioni future. Nel lungo periodo quindi il provvedimento si autofinanzia. Nell’immediato e durante una fase di transizione, occorrerebbe accettare un maggiore disavanzo, quantomeno temporaneamente fino a che non vengano reperite nuove risorse grazie alla spending review o ad altri provvedimenti futuri.
Se inserito in un pacchetto di riforme come quello qui delineato, dovrebbe essere possibile convincere l’Unione Europea e i mercati finanziari che ora il nostro Paese fa sul serio, e che lo scambio più occupazione e più crescita subito e meno pensioni domani merita di essere incoraggiato, accettando un lieve e temporaneo allentamento del vincolo di bilancio. Naturalmente, perché lo scambio sia credibile, è indispensabile che esso sia parte di un programma ambizioso di riforme, e non una richiesta isolata ed estemporanea.
Riforma del mercato del lavoro, pensioni, tutela contro il rischio di disoccupazione, cuneo fiscale: sono questioni controverse, che vanno al cuore degli scontri ideologici degli anni passati. Ma dietro l’ideologia si nascondono privilegi e interessi corporativi che hanno contribuito in modo significativo al declino dell’economia italiana. Se davvero si vuole trasformare il Paese, sono questi i nodi centrali. Vedremo se le forze politiche che promettono un cambio di passo riusciranno ad affrontarli. Ma non illudiamoci che basti aspettare e procrastinare, per fare uscire l’Italia dalla peggiore crisi economica e sociale della sua storia.
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