LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA DEL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE

L’INTERESSE PER IL PROGETTO DALLE REGIONI MERIDIONALI E L’ENDORSEMENT DI OFFICINE DEMOCRATICHE 

Dei due articoli che seguono, il primo, di Tommaso Di Rino, è stato pubblicato il  7  febbraio 2014 sul sito Restoalsud; il secondo, di Guido Ferradini, presidente dell’associazione Officine Democratiche, sul sito della stessa – Una scheda tecnica e tutti gli altri documenti disponibili sul sito, relativi al progetto di sperimentazione regionale, si trovano agevolmente attraverso il portale del contratto di ricollocazione

L’INNOVAZIONE DIVENTATA LEGGE DI CUI NESSUNO  PARLA
 di Tommaso Di Rino

La silenziosa rivoluzione del comma 215. Nel corposo provvedimento identificato come Legge di Stabilità 2014, è rimasta stranamente lontana dai riflettori un’autentica innovazione – da attribuire all’iniziativa politica del senatore Ichino – che può significare moltissimo per il mercato del lavoro italiano del prossimo futuro: la possibilità di sperimentare nelle regioni il cosiddetto “contratto di ricollocazione”. E di invertire la tendenza di finanziare per lo più politiche passive di ammortizzazione sociale (ben 23 miliardi di euro nel 2012) e non anche politiche attive del lavoro (nelle quali investiamo appena lo 0,33% del PIL).

Il contratto di ricollocazione affronta in modo nuovo le crisi occupazionali e presuppone uno stretto collegamento tra politiche passive di sostegno al reddito e misure attive per il reinserimento del disoccupato nel tessuto produttivo. Ha bisogno di una stretta ed efficace collaborazione fra centri per l’impiego pubblici e agenzie private per il lavoro, in particolar modo quelle specializzate nell’outplacement. Offre ai disoccupati la possibilità di scegliere liberamente, tra quelle accreditate,  l’agenzia privata incaricata della loro ricollocazione; la quale si impegnerà moltissimo per trovar loro un nuovo impiego e non lavorare in perdita, dal momento che il pagamento del servizio reso viene corrisposto dalla Regione all’Agenzia solo a risultato ottenuto.
Per neutralizzare il rischio che le Agenzie si concentrino sulle persone più facilmente collocabili, lasciando perdere le altre, la sperimentazione prevede che l’entità di quanto può corrispondere la Regione sia differenziata in relazione al grado di “occupabilità” di ciascuna persona. In questo, vengono in soccorso alcune significative esperienze, degne di rilievo, già maturate in Lombardia, a Torino, Firenze, Pescara.
Il contratto di ricollocazione consente anche di tastare la disponibilità effettiva del disoccupato alla riqualificazione ed ad un nuovo lavoro. Nel caso di rifiuto ingiustificato di una iniziativa di formazione, o addirittura di un posto di lavoro, si prevede il dimezzamento dell’indennità di cassa integrazione o mobilità. In caso di secondo, ingiustificato rifiuto, l’interruzione.
La palla è in mano alle Regioni. Soprattutto quelle del Sud, infestate da tassi di disoccupazione a due cifre, non devono sprecare l’occasione.  La Legge di Stabilità stanzia soltanto 15 milioni per questo esperimento nel 2014, a fronte di quasi un miliardo stanziato per le politiche del lavoro passive. Ma è un primo passo. Se le Regioni rispondono e avviano interventi nei loro territori, potrebbero essere coinvolti, di qui a poco, migliaia di lavoratori, tra i più colpiti dalla crisi. Può essere l’occasione giusta per sottrarli al meccanismo perverso di ammortizzatori che durano anni e anni, sono a carico dello Stato (e della fiscalità generale) per oltre il 60% e non aiutano i disoccupati a rifarsi una vita professionale. Anzi, spesso li spingono nelle braccia del lavoro sommerso o, peggio, dell’apatia e della non ricerca del lavoro.

L’ENDORSEMENT DI OFFICINE DEMOCRATICHE PER IL PROGETTO
di Guido Ferradini

Si dice che il diavolo si nasconde nei particolari. Per una volta, tanto rara quanto apprezzabile, nei particolari si nasconde invece un’interessante novità nella recente legge di Stabilità. Dai profili invero rivoluzionari e la cui portata potrebbe finalmente indurre – si spera – un cambio di passo nelle politiche del lavoro di questo nostro martoriato paese.
Ma facciamo un passo indietro; o forse due per capire il contesto in cui si inserisce.
Recentemente sono stati diffusi i dati OCSE sulla disoccupazione. Nei paesi facenti parte dell’organizzazione internazionale è scesa al 7,8%, dopo essersi mantenuta stabile al 7,9% per cinque mesi consecutivi. Che equivalgono a ben 47,1 milioni di disoccupati totali! Il dato rimane preoccupante se sol si pensa che rispetto al luglio 2008 vi sono ben 12,4 milioni di disoccupati in più. Ma almeno si registra una seppur lieve inversione di tendenza.
In Italia invece il dato già allarmante segna un nuovo record, raggiungendo una percentuale del 12,7%. Un ulteriore peggioramento che mostra come, in soli cinque anni di crisi, il tasso sia addirittura raddoppiato. Il dato più allarmante risiede nel fatto che le vittime principali della crisi sono stati, sempre secondo l’Ocse, i giovani sotto i 25 anni: sappiamo che molti hanno smesso di studiare o cercare lavoro (la categoria dei cosiddetti “Neet”) mentre chi lavora ha, in un caso su due, un contratto a tempo determinato.
E’ vero poi che nonostante questi tassi di disoccupazione record, i governi sono stati anche costretti a ridurre le risorse allocate per la protezione dei “non occupati” in ragione delle politiche restrittive e i minori gettiti fiscali. È purtroppo uno dei tanti paradossi di una crisi i cui effetti sono ancora destinati a durare per molto tempo. Sempre l’OCSE (ma lo stesso si legge in molti degli studi macroeconomici) ci induce a credere che la prossima sarà una jobless growth – ovvero una crescita senza un aumento dei posti di lavoro; e che almeno fino al 2016 non vedremo una crescita dell’occupazione.
Ne consegue che non si può continuare a limitarsi con le solite politiche passive di assistenza del reddito che non determinano – è un dato di fatto – alcun risultato nel miglioramento dell’occupazione.
In questo oramai drammatico scenario sono state rese note dal segretario del PD Matteo Renzi le linee guida del cosiddetto Jobs Act. La cui presentazione – si immagina – dovrebbe essere oramai prossima.
Rimandando un commento specifico ad un momento in cui le proposte saranno più sostanziate, è vero che nelle anticipazioni si legge, fra le altre cose, l’intenzione di voler introdurre un “Assegno universale” per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro.
L’idea è chiaramente tracciata e condivisibile e prende ad esempio le migliori esperienze europee (principalmente del nord Europa) per introdurre una qualche forma di condizionalità al trattamento di disoccupazione (oggi l’ASPI), richiedendo ai disoccupati di seguire una qualche forma di riqualificazione professionale.
Vengo al punto e chiarisco il perché all’inizio di questo contributo ho sottolineato che, come sempre, il diavolo sta nei dettagli.
L’intenzione mostrata da Renzi fa già parte (seppur in piccolo) del nostro ordinamento, visto che l’articolo 132 bis della legge di Stabilità ha introdotto, seppur con limitate risorse finanziarie (circa 20 milioni per il 2014), la possibilità di far ricorso ad iniziative, anche sperimentali… volte a potenziare le politiche attive del lavoro, tra le quali può essere annoverata ai fini del finanziamento statale anche la sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione, sostenuti da programmi formativi specifici.
Una piccola norma per una grande rivoluzione
La chiave di volta è proprio il “contratto di ricollocazione”. Che apre una nuova stagione per le politiche attive. Non più mero assistenzialismo ma strumenti per il ricollocamento dei disoccupati. Il funzionamento del contratto è apparentemente elementare.
I Centri per l’Impiego (già oggi esistenti) si limiteranno a valutare il grado di ricollocabilità del disoccupato; il quale, debitamente informato sulle caratteristiche del contratto potrà sottoscriverlo e scegliere una agenzia di outplacement accreditata dalla Regione di residenza. Riceverà quindi un voucher, che verrà corrisposto all’agenzia solo dopo che il disoccupato avrà ottenuto un nuovo impiego della durata superiore a sei mesi.  L’impegno contrattuale prevede specifici obblighi per il lavoratore cui sarà dato un tutor che eserciterà anche poteri di controllo circa la sua effettiva riqualificazione. Ma che avrà il potere di intervenire in caso di rifiuto ingiustificato di una offerta di lavoro con il diritto di porre in essere una riduzione o interruzione del trattamento di disoccupazione.
Fin qui tutto bello. Ma ovviamente non tutto è oro quel che luccica.
I fondi attualmente a disposizione sono scarsi, anche se è ipotizzabile l’accesso al fondo sociale europeo, oggi largamente inutilizzato. L’organizzazione è tutta da creare (se si esclude – forse – la Lombardia). E, fatto più rilevante, saranno le singole Regioni a doversi mettere in moto per creare le condizioni del successo di una norma sicuramente meritoria – un coordinamento delle stesse su questo fronte sarebbe auspicato.
E’ indubbio che questa piccola norma sia da considerare potenzialmente rivoluzionaria se debitamente capita e agita. In questo senso Officine Democratiche sente la responsabilità di mettere in luce quanto sarebbe stato un bene che mettessero in luce i media ma anche lo stesso Governo oltre e a tutti coloro che tanto parlano di lavoro.
Volevo da ultimo ringraziare il professor Pietro Ichino, al quale va l’enorme merito di aver suggerito l’inserimento della norme nel testo della legge di Stabilità ed al quale rimando per l’interessante “storia” dell’emendamento (e far notare come lo strumento è stato accolto con interesse sia in Lombardia che nel Lazio).
Il che lascia sperare che si potrà un giorno dire che sotto il profilo delle politiche attive del lavoro ci stiamo quantomeno avviando sulla strada dei paesi europei più virtuosi.
Dopodiché, se l’esperimento avrà successo, come sono convinto ne avrà, sarà molto più facile affrontare il tema spinosissimo dei licenziamenti per ragioni di tipo economico e le forme contrattuali.
E aprire una vera stagione di riforme.

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