AL SENATO SI APRE IL CANTIERE PER LA LEGGE-DELEGA SUL LAVORO

IL DECRETO POLETTI COSTRINGE LA SINISTRA POLITICA E SINDACALE A RIFLETTERE SULL’IMPOSSIBILITÀ DI MANTENERE IL RIFIUTO DI QUALSIASI MODIFICA DELLA DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO: QUESTO FACILITERÀ UN ACCORDO DI MAGGIORANZA SUI CONTENUTI QUALIFICANTI DELLA LEGGE-DELEGA

Intervista a cura di Attilio Barbieri per Libero, 16 maggio 2014

 

Renzi si è dato un anno per portare in Parlamento, approvare e rendere operativa la legge delega sul lavoro e il relativo decreto delegato. Visto quel che è successo per la riforma del tempo determinato cosa dobbiamo attenderci ora sul terreno della riforma organica annunciata?
Risponde il professor Pietro Ichino, senatore e giuslavorista, fra i massimi esperti italiani di lavoro.
È vero, nella vicenda parlamentare del decreto Poletti si è visto il partito di maggioranza relativa poco in sintonia con le scelte del Governo. In modo più vistoso alla Camera; ma anche al Senato, nelle due lunghe settimane di discussione sul decreto in Commissione, il Pd è apparso frastornato, ridotto a cercar di arginare le proposte e le richieste di Ncd e Sc, ma privo di una visione strategica. Poi un po’ di spirito riformista è tornato a emergere negli interventi dei democratici nella discussione in Aula, quando però i giochi erano ormai chiusi.

Stando così le cose possiamo davvero aspettarci un provvedimento incisivo dal disegno di legge delega per il quale in Senato si è appena aperto il cantiere?
Dipende da quello che accadrà nei prossimi giorni. Perché proprio la vicenda del decreto Poletti ha costretto il Pd a chiedersi che cosa vuol fare da grande e quindi a riflettere sulla necessità di rinnovare profondamente la propria cultura del lavoro. D’altra parte, la liberalizzazione spinta del contratto a termine ha messo non soltanto il Pd, ma anche la Cgil, di fronte alla necessità di abbandonare la trincea dell’intangibilità dell’articolo 18. Perché a questo punto l’unico modo in cui si può ridare uno spazio alle assunzioni a tempo indeterminato consiste nel rendere anche questa forma di contratto molto più flessibile. Insomma, il decreto Poletti ha certo alcuni difetti, ma ha sicuramente il merito di avere sparigliato le carte e cambiato profondamente i termini del confronto politico sulla riforma del lavoro.

L’Europa continua a chiederci la vera riforma. Potrebbe partire dal contratto a tutele crescenti che lei propone da anni?
Sì, ma anche da una grande semplificazione della legislazione in materia di lavoro. Questo è proprio quanto annuncia il “preambolo” inserito nel decreto Poletti dal Senato: un Codice semplificato del lavoro, che avrà al centro un contratto a tempo indeterminato a protezione crescente.

Parliamo del famoso “contratto unico”?
No, perché “contratto unico” implicherebbe la soppressione di tutti i tipi di contratto alternativi rispetto al contratto a tempo indeterminato. Invece contratto a termine, apprendistato, lavoro temporaneo o stabile tramite agenzia, lavoro a domicilio, lavoro in partecipazione, devono poter continuare a essere a disposizione di imprese e lavoratori, per le situazioni in cui queste forme contrattuali sono le più appropriate. Ma è necessario che il contratto a tempo indeterminato possa tornare a essere la forma normale di assunzione. Per questo occorre che esso sia molto meno rigido di come è ora.

In che senso?
La soluzione che ho proposto nelle ultime due edizioni del Codice semplificato del lavoro – cioè nel disegno di legge 7 agosto 2013 n. 1006 e ultimamente nel testo che è stato discusso dal gruppo di lavoro promosso da Adapt – prevede nella fase iniziale un periodo di prova fino a sei mesi; dal settimo mese in poi il licenziamento non disciplinare non necessita di motivazione, ma deve essere accompagnato da un’indennità, pari a una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio. Dall’inizio del terzo anno, il lavoratore licenziato incomincia ad avere diritto anche a un trattamento complementare di disoccupazione a carico dell’impresa, della durata di tre mesi per ogni anno di anzianità oltre al secondo, che porta il trattamento ASpI al 90 per cento dell’ultima retribuzione. Per l’impresa è un onere leggero: solo il 15 per cento dell’ultima retribuzione per qualche mese; ma per la persona che perde il posto significa un sostegno del reddito migliore rispetto alla Cassa integrazione.

E’ sempre convinto che a partire dal terzo anno il lavoratore licenziato abbia diritto al contratto di ricollocazione?
Sì, ma questo non riguarda più l’ex datore di lavoro: riguarda il nuovo sistema di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, basato sul pieno coinvolgimento delle agenzie specializzate, in rapporto di complementarietà con i Centri per l’Impiego pubblici. Diciamo che è il completamento della parte security nel nuovo sistema di flexsecurity.

Se dovesse passare il contratto a tutele crescenti, quello a tempo determinato avrebbe ancora senso al di fuori delle attività stagionali o delle sostituzioni di lavoratori assenti?
A quel punto contratto a tempo indeterminato e contratto a termine potranno giocarsela ad armi pari. Il contratto a termine costerà un po’ di più, per via dell’1,4 per cento di contribuzione differenziale per l’assicurazione contro la disoccupazione, e sarà un po’ più rigido, per via dell’impossibilità di sciogliere il rapporto prima del termine. Quello a tempo indeterminato pagherà la sua maggiore flessibilità con l’indennità dovuta al lavoratore in caso di licenziamento. Ma, per il resto, nel primo triennio le due forme di assunzione saranno sostanzialmente equivalenti. E sarà bene che sia così. Dopo il primo triennio sarà poi comunque necessario che il rapporto, se prosegue, sia a tempo indeterminato.

E qui si confrontano le due soluzioni: la sua e quella del progetto Boeri, con il ritorno all’applicazione piena dell’articolo 18.
Sì: questa è la scelta importante che il Parlamento dovrà compiere. A me sembra meglio una soluzione che non crei uno “scalone” improvviso di rigidità allo scadere del triennio. Perché il rischio è che questa soglia sia difficilmente superabile per la metà più debole della forza-lavoro. Meglio prevedere che il costo di separazione tra azienda e lavoratore continui a salire gradualmente senza salti, senza “soglie”. La sicurezza economica e professionale del lavoratore non si può più costruire con l’ingessatura del contratto a tempo indeterminato.

Torniamo al Codice semplificato del lavoro, un’altra sua proposta ignorata dagli ultimi governi. In tutto 70 articoli facilmente leggibili da chiunque. Dalla multinazionale che volesse aprire in Italia al metalmeccanico. Renzi pensa a questo?
Renzi ha fatto sua questa proposta fin dal 15 novembre 2012, quando la presentò come capitolo rilevantissimo del suo programma nel corso della campagna per le primarie di quell’anno.

Dopo il confronto con il professor Tiraboschi sulla materia, la sua proposta è cambiata?
Alcune formulazioni sono state perfezionate, ma l’impianto è rimasto invariato, acquistando però una connotazione bi-partisan. Su cinque punti il gruppo di lavoro Adapt ha individuato una o due soluzioni alternative rispetto a quella proposta da me. Lo stesso ovviamente si può fare su numerosi altri punti. L’importante è che il formato e il linguaggio restino quelli.

 

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