ICHINO/TIRABOSCHI: DUE OPINI0NI A CONFRONTO SUL LIBRO BIANCO DEL MINISTRO SACCONI

ALCUNI PUNTI DI CONTATTO CI SONO; MA LA FASE DI ELABORAZIONE DELLA POLITICA DEL LAVORO DEL GOVERNO APPARE ANCORA MOLTO ARRETRATA: PER ORA NON SI VEDE NULLA DI CONCRETO

Interviste a Pietro Ichino e Michele Tiraboschi a cura di Francesco Riccardi, pubblicate  su l’Avvenire il 13 maggio 2009

Senatore Pietro Ichino, qual è il suo giudizio sull’impostazione generale, culturale, del libro bianco sul Welfare? Vi trova dei punti di contatto con le vostre riflessioni?

Alcuni punti di contatto certamente sì. Il principio di sussidiarietà, ad esempio, la necessità di aumentare il tasso di occupazione femminile, l’impegno a redistribuire meglio la spesa sociale, il programma di ristrutturare il sistema di protezione del lavoro. Ma su ciascuno di questi punti il documento enuncia soltanto delle linee di tendenza generiche: è estremamente vago e teorizza la necessità di rinviare tutto a tempi migliori.

A proposito del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali c’è la possibilità di armonizzare le due proposte: quella di Statuto dei lavori e quella di transizione alla flexsecurity, di cui lei è il primo firmatario?

Ci sarebbe, certo, questa possibilità. Per superare il regime di apartheid tra protetti e non protetti le soluzioni sono fondamentalmente di due tipi: la liberalizzazione all’americana, oppure la flexsecurity alla nord-europea. Lo “Statuto dei lavori”, se non vuole essere acqua fresca, deve collocarsi sulla linea della coniugazione tra il massimo possibile di flessibilizzazione delle strutture produttive e il massimo possibile di sicurezza del lavoratore nel mercato del lavoro.

Quali sono invece le maggiori distanze?

Non è facile dirlo, dal momento che da parte nostra c’è un disegno di legge nero su bianco, già presentato al Senato, mentre da parte del Governo non c’è neppure una bozza informale di progetto.

Il libro bianco dà molto spazio e valore agli enti bilaterali. Anche lei ne prevede lo sviluppo nel suo disegno di legge sulla flexsecurity. Eppure nella sinistra e anche da parte di alcuni economisti liberisti sono guardati con molto sospetto.

Effettivamente, tra le esperienze di “gestione bilaterale” dei servizi nel mercato del lavoro ve ne sono di molto positive e di molto negative. Per questo Il mio disegno di legge lascia totalmente libera la scelta del modello di “agenzia” cui affidare i lavoratori che perdono il posto, da parte di imprese e sindacati che decideranno di impegnarsi nella sperimentazione del nuovo modello. Poiché imprese e lavoratori rischiano insieme, lasciamoli liberi di scegliere, caso per caso, la forma che dà loro maggiore affidamento. E lasciamo che modelli operativi diversi si confrontino e competano tra loro.

Non crede che sussidi generalizzati, come richiesti dal Pd, uniti a una maggior libertà di licenziamento per motivi economici, possano portare le imprese, nelle fasi di crisi, a espellere moltissimi lavoratori?

Il progetto che propongo, accollando al sistema delle imprese il sostegno del reddito del lavoratore licenziato fino alla sua ricollocazione – con un massimo di 4 anni, nei quali l’indennità digrada dal 90 al 60 per cento dell’ultima retribuzione – di fatto produce un costo del licenziamento tanto più alto quanto più lungo sarà il periodo necessario per ricollocare il lavoratore. Il nuovo regime, in questo modo, produrrà automaticamente un marcato effetto anticiclico.

Il costo di questo sistema non è eccessivo per le imprese?

No: le imprese, anzi, ne avranno un vantaggio. Il costo esplicito che esse così si assumono è di molto inferiore al costo implicito, nascosto, di un sistema che consente di licenziare soltanto se il bilancio è in rosso, se l’impresa è in crisi.

 E i lavoratori che cosa ci guadagnano?

Pari opportunità di lavoro a tempo indeterminato, con stabilità crescente col crescere dell’anzianità di servizio, per tutti. La migliore allocazione delle risorse umane consentita dalla maggiore fluidità del tessuto produttivo, poi, significa migliore valorizzazione del lavoro e quindi retribuzioni più alte.

La Fiat si candida a diventare un leader mondiale. Ciò comporterà con ogni probabilità anche una profonda ristrutturazione. C’è la possibilità di innovare le relazioni industriali, di costruire un nuovo sistema più partecipativo? Come?

Il caso Fiat può essere un eccellente banco di prova di un nuovo sistema di relazioni industriali e di protezione del lavoro. Il sindacato deve scegliere: se seguire la vecchia prassi della resistenza passiva, oppure proporre all’impresa il new deal: nessun ostacolo alle ristrutturazioni necessarie, in cambio della garanzia che i lavoratori che perderanno il posto saranno presi in carico da un’agenzia capace di assicurare loro la continuità del reddito e di assisterli efficacemente nella riconversione a nuovi impieghi, di investire sul loro capitale umano per riconvertirli a nuove attività nelle quali il loro lavoro sia valorizzato come e anche meglio di prima.

INTERVISTA A MICHELE TIRABOSCHI

Professor Tiraboschi, il Libro bianco alla cui stesura lei ha collaborato come docente di Diritto del lavoro, indica gli interventi ancora solo a grandi linee. Si possono precisare più nel concreto i contenuti dello Statuto dei lavori? E quando questo progetto potrebbe vedere la luce?

Il libro bianco è un documento di visione. Non contiene indicazione di politiche né, tantomeno, indicazioni di dettaglio. Ciò nella convinzione che, nel nostro Paese, non basti fare buone riforme, ma occorra prima di tutto creare un ampio consenso politico e sociale su di esse. Altrimenti, come accaduto negli ultimi anni, rimangono al palo. Lo Statuto dei lavori, che è una idea di dieci anni fa di Marco Biagi, con tanto di progetti di legge già elaborati, potrà vedere la luce quando ci sarà ampio consenso sulla necessità di garantire un sistema di tutele progressive in ragione della anzianità di servizio e la reale debolezza del lavoratore.

Su mercato del lavoro e ammortizzatori sociali c’è la possibilità di armonizzare le due proposte: la vostra di Statuto dei lavori e quella di transizione alla flexsecurity presentata dal Pd? Quali sono invece le maggiori distanze?

La proposta di flexsecurity mi pare targata Ichino più che Pd. Anzi, nel Pd prevale un atteggiamento negativo verso proposte come questa che si muovono nell’ottica del superamento dell’articolo 18. Mi pare dunque difficile una convergenza politica sul punto. Di certo tra le due proposte v’è una grande distanza culturale. Da un lato, nella proposta del senatore Ichino, prevale l’idea di cristallizzare la multiforme realtà del lavoro in una unica tipologia contrattuale di lavoro dipendente, il cosiddetto “contratto unico”. Dall’altro lato, nella filosofia del Libro bianco, c’è l’idea, in linea con le tendenze del mercato del lavoro a livello mondiale, della necessità di garantire diritti di base a tutte le forme di lavoro rese indifferentemente in forma autonoma o subordinata.

Il Libro bianco, in coerenza con un’impostazione sussidiaria, dà molto spazio e valore agli enti bilaterali. La sinistra e anche alcuni economisti liberisti li guardano con molto sospetto. Non c’è il rischio che il loro ruolo sia esorbitante rispetto a quello di uno Stato garante della neutralità e si creino nuove discriminazioni fra lavoratori?

Nei nuovi mercati del lavoro e nella nuova economia lo Stato non può farsi garante di tutte le tutele e prestazioni sociali, per questioni di risorse, ma anche di efficienza. Le attuali garanzie offerte dall’attore pubblico discriminano del resto già oggi, in termini di effettività, i lavoratori a seconda che siano del Nord o del Sud, uomini o donne, adulti o giovani. Gli enti bilaterali sono uno dei pochi attori che possono costruire una rete di tutele sul territorio che danno valore alla persona a partire dal sostegno al reddito in caso di crisi, alla previdenza e alla sanità integrativa, alla formazione continua come diritto di tutte le persone.

La strategia scelta dal governo di ampliare il ricorso alla cassa integrazione ordinaria e in deroga per i settori non coperti ha permesso di evitare finora i milioni di disoccupati che si registrano invece in altri Paesi europei. Ma restano esclusi alcuni lavoratori deboli, come talune tipologie di collaboratori o i dipendenti di piccolissime imprese. Perché escludere comunque un sussidio di disoccupazione generalizzato?

I co.co.co. in mono-committenza sono coperti da un’una tantum del 20 per cento del loro ultimo reddito. E anche i dipendenti di piccole imprese sono oggi coperti dagli ammortizzatori in deroga. Quanto invece ai collaboratori con più committenze, tutele analoghe andrebbero previste per tutti gli autonomi (artigiani, negozianti, professionisti) che vedono calare le loro occasioni di lavoro. In generale, di riforma degli ammortizzatori si potrà parlare in futuro, non ora che stanno funzionando molto bene per fronteggiare la crisi in atto.

La Fiat si candida a diventare un leader mondiale. Ciò comporterà con ogni probabilità anche una profonda ristrutturazione. C’è la possibilità anche di innovare le relazioni industriali, di costruire contemporaneamente un nuovo sistema più partecipativo? Il processo può essere agevolato per legge?

Sì, è una grandissima opportunità di cambiamento nelle relazioni industriali, portando da noi esperienze di altri Paesi come gli Stati Uniti e la Germania. Non a caso, del resto, uno dei pilastri dello Statuto dei lavori è la partecipazione.

 

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